Il
volume di Philip Steadman, edito da UCL Press (2021), è dedicato alle
macchine di scena. Attraverso un lungo e sfaccettato percorso che parte dal
mondo antico per approdare al Settecento, lautore assume molteplici punti di
vista. Anzitutto propone una visione «from “round the back”» (p. 5), da dietro
le quinte, propria dei professionisti di scena; in secondo luogo – in parte
contraddicendosi – presenta il lavoro come un «entertainment» (p. 6) da fruire dalla
posizione dello spettatore. Daltra parte, fin dalle prime pagine suggerisce un
approccio simile a quello di John Evelyn, studente di Oxford che verso
la metà del Seicento viaggiò in Europa tenendo un diario del proprio Grand
Tour. Unulteriore prospettiva è quella di un architetto che si cimenta in
una materia complessa come la Storia dello spettacolo.
Renaissance
Fun è organizzato
in tre parti. La prima consiste in una sorta di storia delle macchine sceniche;
Steadman prende le mosse dalla riscoperta umanistica dellantico,
concentrandosi su Vitruvio e – soprattutto – su Erone di Alessandria.
Riconosce poi, e a ragione, limportanza delle conoscenze tecniche proprie
delle sacre rappresentazioni medievali: gli ingegni di Filippo Brunelleschi allestiti
in alcune chiese fiorentine – si pensi allAnnunciazione (1439) – e quelli
di Leonardo da Vinci – come la Festa del paradiso presso il Castello
Sforzesco di Milano (1490) – continuano a esercitare la propria influenza sulle
scene rinascimentali.
Molti
gli argomenti trattati: dalla scenografia prospettica agli “intermezzi”, dai
lavori di architetti come Baldassarre Lanci e Sebastiano Serlio –
codificatore delle tre scene canoniche (comica, tragica e boschereccia) – alle
messinscene fiorentine di Giorgio Vasari, Bernardo Buontalenti e Giulio
Parigi. Tra le macchine sceniche sono citati i periaktoi e le quinte
piatte: nel primo caso si tratta di prismi girevoli atti alla mutazione della
scena a vista, già descritti da Vitruvio e da Giulio Polluce (altro
punto di riferimento nel mondo antico) e riproposti sia nei trattati
rinascimentali sia in scena, per la prima volta, presso il Salone dei
Cinquecento in Palazzo Vecchio (Firenze, 1569). Mentre le quinte piatte sono
adottate, tra gli altri, da Giovan Battista Aleotti nel teatro Farnese
di Parma (1628). Paragrafi successivi introducono elementi emblematici della scena
rinascimentale (e barocca): larcoscenico, il sipario, lilluminotecnica,
linferno (il sottopalco), il paradiso (la soffitta attrezzata) e la
macchina-nuvola, cifra stilistica del dinamismo scenico. E ancora: lampi, tuoni
e tempeste, macchine sceniche che attraversano la scena rinascimentale e, come
tramanda Polluce, quella antica.
Uno spazio di
approfondimento è dedicato, inoltre, a Giovanni Battista della Porta,
autore di Magia Naturalis (1558): il trattato «describes a whole series
of phenomena and effects that might seem to the innocent observer to be
miracolous, but which nevertheless can be accounted for by physical causes» (p.
58). Lultimo capitolo
della prima parte è interamente dedicato alla Pneumatica e agli Automata
di Erone e alla loro fortuna in età moderna con la realizzazione degli automi.
La
seconda parte descrive gli ingegni che animano i giardini delle ville
rinascimentali: animali artificiali, dispositivi semoventi e fontane. Ponendo
laccento sugli effetti di sorpresa, Steadman si concentra su alcuni esempi
come il giardino di villa dEste a Tivoli o quello di Pratolino. Una sezione è
dedicata invece alla musica, in particolare allorgano idraulico, al
clavicembalo a energia solare e al flauto automatico. Lautore accenna anche
agli orologi di Giovanni Fontana.
Nella
terza parte si affrontano due casi di studio. Il giardino di Pratolino e il
teatro Farnese sono analizzati da un duplice punto di vista, quello del
pubblico e quello di progettisti, costruttori, compagnie di attori e creatori
di fontane. Se di Pratolino Steadman illustra grotte, fontane e automi, del
teatro Farnese si concentra sullo spettacolo inaugurale, lopera-torneo Mercurio
e Marte, allestito in occasione del matrimonio di Odoardo Farnese
con Margherita de Medici. Dellevento sì dà solo in parte lidea di un
iter organizzativo complesso. Anche le macchine sceniche che attraversano il
palcoscenico farnesiano sono mostrate attraverso un ridotto numero di fonti: i codici
di Pietro Paolo Floriani, i disegni conservati presso la Biblioteca
Palatina e lArchivio di Stato di Parma, alcune attestazioni iconografiche più
tarde riferite ai lavori di Fabrizio Carini Motta e di Giacomo
Torelli.
La
vastità dellargomento trattato mette in evidenza una mancanza di organicità e
di approfondimento. Incompleta anche la bibliografia. La definizione stessa di Renaissance,
che intende coprire un arco cronologico così vasto, è forzata. Lautore ha
tuttavia il merito di cogliere limportanza della macchineria scenica nel suo
complesso e in particolare del ruolo della meccanica nello spettacolo di Antico
Regime.
di Benedetta Colasanti
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