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Philip Steadman

Renaissance Fun. The Machines Behind the Scenes


London, UCL Press, 2021, 397 pp., euro 30,00
ISBN 9781787359178

Il volume di Philip Steadman, edito da UCL Press (2021), è dedicato alle macchine di scena. Attraverso un lungo e sfaccettato percorso che parte dal mondo antico per approdare al Settecento, l’autore assume molteplici punti di vista. Anzitutto propone una visione «from “round the back”» (p. 5), da dietro le quinte, propria dei professionisti di scena; in secondo luogo – in parte contraddicendosi – presenta il lavoro come un «entertainment» (p. 6) da fruire dalla posizione dello spettatore. D’altra parte, fin dalle prime pagine suggerisce un approccio simile a quello di John Evelyn, studente di Oxford che verso la metà del Seicento viaggiò in Europa tenendo un diario del proprio Grand Tour. Un’ulteriore prospettiva è quella di un architetto che si cimenta in una materia complessa come la Storia dello spettacolo.

Renaissance Fun è organizzato in tre parti. La prima consiste in una sorta di storia delle macchine sceniche; Steadman prende le mosse dalla riscoperta umanistica dell’antico, concentrandosi su Vitruvio e – soprattutto – su Erone di Alessandria. Riconosce poi, e a ragione, l’importanza delle conoscenze tecniche proprie delle sacre rappresentazioni medievali: gli ingegni di Filippo Brunelleschi allestiti in alcune chiese fiorentine – si pensi all’Annunciazione (1439) – e quelli di Leonardo da Vinci – come la Festa del paradiso presso il Castello Sforzesco di Milano (1490) – continuano a esercitare la propria influenza sulle scene rinascimentali.

Molti gli argomenti trattati: dalla scenografia prospettica agli “intermezzi”, dai lavori di architetti come Baldassarre Lanci e Sebastiano Serlio – codificatore delle tre scene canoniche (comica, tragica e boschereccia) – alle messinscene fiorentine di Giorgio Vasari, Bernardo Buontalenti e Giulio Parigi. Tra le macchine sceniche sono citati i periaktoi e le quinte piatte: nel primo caso si tratta di prismi girevoli atti alla mutazione della scena a vista, già descritti da Vitruvio e da Giulio Polluce (altro punto di riferimento nel mondo antico) e riproposti sia nei trattati rinascimentali sia in scena, per la prima volta, presso il Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio (Firenze, 1569). Mentre le quinte piatte sono adottate, tra gli altri, da Giovan Battista Aleotti nel teatro Farnese di Parma (1628). Paragrafi successivi introducono elementi emblematici della scena rinascimentale (e barocca): l’arcoscenico, il sipario, l’illuminotecnica, l’inferno (il sottopalco), il paradiso (la soffitta attrezzata) e la macchina-nuvola, cifra stilistica del dinamismo scenico. E ancora: lampi, tuoni e tempeste, macchine sceniche che attraversano la scena rinascimentale e, come tramanda Polluce, quella antica.

Uno spazio di approfondimento è dedicato, inoltre, a Giovanni Battista della Porta, autore di Magia Naturalis (1558): il trattato «describes a whole series of phenomena and effects that might seem to the innocent observer to be miracolous, but which nevertheless can be accounted for by physical causes» (p. 58). L’ultimo capitolo della prima parte è interamente dedicato alla Pneumatica e agli Automata di Erone e alla loro fortuna in età moderna con la realizzazione degli automi.

La seconda parte descrive gli ingegni che animano i giardini delle ville rinascimentali: animali artificiali, dispositivi semoventi e fontane. Ponendo l’accento sugli effetti di sorpresa, Steadman si concentra su alcuni esempi come il giardino di villa d’Este a Tivoli o quello di Pratolino. Una sezione è dedicata invece alla musica, in particolare all’organo idraulico, al clavicembalo a energia solare e al flauto automatico. L’autore accenna anche agli orologi di Giovanni Fontana.

Nella terza parte si affrontano due casi di studio. Il giardino di Pratolino e il teatro Farnese sono analizzati da un duplice punto di vista, quello del pubblico e quello di progettisti, costruttori, compagnie di attori e creatori di fontane. Se di Pratolino Steadman illustra grotte, fontane e automi, del teatro Farnese si concentra sullo spettacolo inaugurale, l’opera-torneo Mercurio e Marte, allestito in occasione del matrimonio di Odoardo Farnese con Margherita de’ Medici. Dell’evento sì dà solo in parte l’idea di un iter organizzativo complesso. Anche le macchine sceniche che attraversano il palcoscenico farnesiano sono mostrate attraverso un ridotto numero di fonti: i codici di Pietro Paolo Floriani, i disegni conservati presso la Biblioteca Palatina e l’Archivio di Stato di Parma, alcune attestazioni iconografiche più tarde riferite ai lavori di Fabrizio Carini Motta e di Giacomo Torelli.

La vastità dell’argomento trattato mette in evidenza una mancanza di organicità e di approfondimento. Incompleta anche la bibliografia. La definizione stessa di Renaissance, che intende coprire un arco cronologico così vasto, è forzata. L’autore ha tuttavia il merito di cogliere l’importanza della macchineria scenica nel suo complesso e in particolare del ruolo della meccanica nello spettacolo di Antico Regime.


di Benedetta Colasanti


Renaissance Fun. The Machines Behind the Scenes

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