L'invenzione dellattore nel Settecento A
chi ancora pensa che la storia dello spettacolo non sia una disciplina comparativistica
si consiglia la lettura del bel libro di Laurence Marie, dedicato a
quella che può essere forse definita come la tematica più importante della vita
teatrale settecentesca. Nel corso dellEtà dei Lumi lattore e le sue pratiche
sono stati infatti oggetto di unattenzione insistita e costante, sviluppatasi in
tutta Europa e declinatasi in varie forme, ora attraverso loperato dei
drammaturghi, ora per mezzo di una ricca trattatistica in cui talvolta si sono
cimentati gli stessi attori, oppure ancora grazie allopera di disegnatori e
pittori che hanno contribuito allo sviluppo della ritrattistica dattore, dando
così origine a veri e propri miti figurativi. La dimensione comparativistica appena
ricordata costituisce la pietra angolare in termini epistemologici dellintero
volume. Come sottolinea a più riprese la stessa autrice, la materia viene
affrontata sulla base di una duplice visuale, consistente da un lato nel
considerare il ruolo dellattore settecentesco secondo unottica di ampio
respiro, svincolata dallangustia di indagini incentrate su singole realtà nazionali
e fondata piuttosto sul confronto tra ciò che accadeva nei principali paesi
europei (Francia, Italia, Inghilterra, Germania); dallaltro prendendo in considerazione
non solo la pura e semplice dimensione teatrale e spettacolare, ma allargando
lorizzonte di studio a un più ampio ventaglio di discipline artistiche e
ambiti culturali, secondo una prospettiva dichiaratamente contestuale.
Il
volume si articola in tre parti. La prima (De lorateur à lacteur) ripercorre
levoluzione dellarte dellattore nel corso del Settecento partendo dalle
istanze di affrancamento dal modello recitativo tipicamente francese messo a
punto da lAbbé dAubignac ne La pratique du théâtre alla metà
del secolo XVII. Tale modello, fondato sullidentificazione dellattore con
loratore e della recitazione con la declamazione, e quindi sul primato
assoluto della voce, entrò progressivamente in crisi a partire dagli anni Venti
del Settecento anche grazie allemergere di nuove modalità recitative, di
ascendenza italiana o inglese, che privilegiavano al contempo pratiche
performative legate da un lato allimprovvisazione e dallaltro ai valori
espressivi del corpo dellattore. È lepoca in cui, attraverso diverse
generazioni di attori che coprono quasi tutto il secolo XVIII – da Michel
Baron a Adrienne Lecouvreur, da M.lle Dumesnil à M.lle
Clairon a Henri-Louis Lekain –, si fa strada il cosiddetto «jeu naturel
à la française» in parallelo allaffermarsi della cosiddetta «estéthique du
tableau», riprendendo un titolo di un celebre libro di Pierre Frantz. Vettore
importante nella trattazione di Laurence Marie lanalisi di testimonianze
iconografiche, oltre una ventina di soggetti che consentono di restituire con
sufficiente attendibilità pose, espressioni, gesti di alcuni attori dellepoca:
esemplare da questo punto di vista il caso di David Garrick, il più
importante attore inglese del Settecento che non a caso si era reso
protagonista di lunghe tournées in Francia. È questa, in termini complessivi,
la temperie da cui nascerà lesigenza di fondare, anche in termini teorici, una
nuova arte che, oltre a trovare una propria formalizzazione nella trattatistica
e in vere e proprie scuole, sarà soprattutto capace di elevare la figura
dellattore da mestierante ad artista, di farlo assurgere a una dimensione
creatrice e autoriale.
La
seconda parte del volume (Le corps en scène) si focalizza sullelemento
che nella nuova visione dellattore riveste un ruolo di primissimo piano: il
corpo, che di fatto costituisce il termine medio nelleterna dialettica tra
natura e artificio, passione e ragione, tematiche queste che troveranno la
sintesi più alta nelle riflessioni diderottiane del Paradoxe sur le comédien.
Centrale, a questo proposito, la riflessione sulla pantomima, nella quale
lattore recita «de toute sa personne», e sugli effetti della recitazione dellattore
sugli spettatori: unarte, quella dellattore, che proprio grazie al
particolare rilievo assunto dal corpo, arriva a competere a pieno titolo con la
pittura e prendendo le distanze allo stesso tempo dalluniverso della parola,
elaborando nuovi modelli di eloquenza strutturati sulla base dei codici visivi
legati alla dimensione più squisitamente performativa: gesto, mimica, pose
sceniche. Ugualmente centrale la prospettiva sviluppatasi a partire dal
trattato Le Comédien di Rémond de Saint-Albine, vale a
dire la necessità per lattore di arrivare a sentire le emozioni e i sentimenti
dei personaggi interpretati, e che diventa il fulcro di unaccesa dialettica
tra passione e «sang froid» ben evidenziata dallautrice che ne ripercorre le declinazioni
europee (da Sainte-Albine a Diderot, da Michel Sticotti a John
Hill, da Aaron Hill a Lessing…), sempre nellottica
comparativistica che costituisce il fil rouge del volume.
Questa
prospettiva si rafforza nella terza parte (Une révolution esthétique
1780-1815) nella quale Laurence Marie forza opportunamente la naturale
scansione del secolo, prolungandone la cronologia fino allintersezione tra la
declinante temperie neoclassica e lepoca romantica. Ed è qui, nello
svilupparsi della contesa tra “vero” e “bello” lungo un percorso che porterà alla
definizione del concetto di “bello ideale”, che la dimensione europea si
arricchisce ulteriormente, essendo infatti convocate le maggiori personalità della
cultura europea a cavallo tra Sette e Ottocento, che si dispongono attorno a
forti polarizzazioni. Da un lato la dimensione del “sublime”, finalizzata alla
ricreazione della natura sulla scena, principalmente declinata attraverso
loperato di Mlle Dumesnil, Larive e Talma; dallaltro il
polo della recitazione ragionata, che sfugge allimmediatezza della passione,
ovviamente rappresentata da Mlle Clairon. E ancora, nella vasta
campitura concettuale del “bello ideale”, lampiezza e la complessità delle
istanze teoriche, delle linee di tendenza estetiche frutto in larga parte delle
contaminazioni tra differenti forme espressione artistica, trovano corpo nelle
visioni e nelle pratiche artistiche di alcuni dei numeri tutelari della vita
culturale tra i due secoli, da Goethe a Schiller, da pittori come
Joshua Reynolds ad attori come Talma e i fratelli Kemble (Philip
e Sarah Siddons).
Inventer lacteur si configura quindi
come unopera di ampio respiro, che fa emergere la complessità di un secolo, il
Settecento, che può essere considerato non solo come un significativo punto di
svolta nella storia dello spettacolo occidentale, ma anche, come ben evidenzia
lautrice, un vero e proprio laboratorio per pensare il teatro moderno, capace
di riverberarsi nella teoria e nella prassi di maestri della regia del primo
Novecento quali Stanislavskij e Brecht, riattivando dialetticamente
opposte visioni dellarte dellattore.
di Renzo Guardenti
|
 |