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Théâtre/Public, n. 243, avril-juin 2022. Musique ! - Entretien: Guy Régis Jr.


128 pp., euro 16,90

Il trimestrale parigino intitola Musique! il suo dossier, per una riflessione sull’incidenza e il valore della componente musicale nel teatro. Raccolta di contributi complementari sul fenomeno, seguito nella sua evoluzione recente. Un bilancio in progress di tendenze e prospettive, nel quadro degli eventi negativi che tanto hanno condizionato il mondo dello spettacolo. 

Nell’Introduzione, il lettore viene rinviato alla Transnational Opera Studies Conference, un incontro sul Teatro Musicale del 2019, a sua volta debitore alla ricerca condotta da «Alternatives théâtrales» (n. 136, 2018), Théâtre Musique variations contemporaines. 

Quelle occasioni dimostravano la persistenza significativa del tema, ben riassunto nel binomio teatro e musica: «Musique ! envisage le théâtre musical comme une nébuleuse, dans son sens le plus large» e la domanda centrale è «comment le dialogue se reinvente-t-il de façon constante?» (p. 14). E i riferimenti vanno agli ultimi spettacoli rappresentati nei massimi teatri di prosa, quali Ma quelle comédie! (da Molière) e D’où rayonne la nuit -impromptu musical (su Molière e Lully).

Aurore Aubouin riflette sulla qualità e la misura della speciale forma compositiva ottenuta negli spettacoli che uniscono le due arti. In Réflexions sur le passage du théâtre à l’opéra, indaga sulla funzione delle Istituzioni nell’ambito della produzione operistica e sui loro problemi. Accanto all’importanza del repertorio, segnala il crescente rinnovamento in atto: «L’opéra est notamment attiré par les esthétiques radicales, parfois performatives, qui tranchent avec une imagerie désuète» (p. 20). Cita Milo Rau, regista di La Clémence de Titus. Risulta decisivo anche il “tempo”, sia quello della programmazione, sia quello intrinsecamente musicale, «parce que l’opéra est un art total», determinata da «autant de contraintes dont les artistes ont parfois l’impression qu’elles les éloignent de l’artistique» (p. 22). Camille Louis segue temi e stile nell’allestimento di Chant de la terre, con musica di Gustav Mahler. Mostra come la creazione di Philippe Quesne vi abbia inglobato temi molteplici, superando un ecologismo generico. Il bisogno di «ajuster l’écoute […] Dechirer le monde, pour le retrouver» (p. 28), s’avvale di un metodo che scopre poeticamente il rapporto Uomo/Natura. La musica di Mahler lo guida a percepire una scissione: «Nous avons perdu la Terre mais cette perte-là est aussi la condition d’un travail de recomposition» (p. 28). Accoglie musiche di diversi, opposti generi, nel fantascientifico Crash Park (Nanterre, 2018), ove Sinatra canta Fly me to the moon, mentre un viaggio in astronave si prepara e in Cosmic drama (2021), ove le canzoni suscitano comunanza e non semplice unificazione. In Notturno. Portrait en mouvement de Silvia CostaSimon Hatab testimonia d’un lavoro poliedrico dell’artista italiana, partito dal disegno e dalla fotografia e giunto alla regia d’opera lirica. Le sue performances e installazioni non escludono la recitazione: nella pièce di Pascal Rambert3 Annonciations, l’attrice mostra come «sur le plateau je penètre dans un univers doté de ses propres lois physiques» (p. 38). In La femme au marteau, la luce creativa giunge al limite del buio (p. 37). Sua, la regia dell’opera Julie (da Strindberg) di Philippe Boesmans (2022).   

Si apprendono novità sugli interessi del Théâtre de l’Aquarium (Cartoucherie de Vincennes), un «lieu atypique et engagé, qui promeut le déclosoinnement entre les disciplines et l’entremêlement de la musique et du théâtre» (p. 45). Motivi pedagogici si aggiungono nel laboratorio Dessiner la musique (p. 47). 

Dopo la ripresa di Le Crocodile trompeur (da Didon et Enée, 2013), l’ultima creazione si basa sull’interpretazione scherzosa, ma forte e sapiente, della figura mitologica di Baubo. Un importante Festival di Strasburgo, denominato Musica, è oggetto dell’intervista al direttore Stéphane Roth, da cui emerge la ridefinizione del ruolo del compositore e l’insofferenza per la separazione, burocratica, fra le discipline, causa di ritardo della loro funzionalità verso i loro obbiettivi artistici. 

Per l’ex-dj Fabrice Melquiot, la temporalità della musica permette di sfruttare l’effetto del “tormentone” sulla memoria inconscia dello spettatore. L’autore di Tarzan Boy (2010) - in cui ogni scena è determinata da una canzone – ricorre al titolo dei Baltimora. Nella pièce il  brano celeberrimo assume il potere di rievocare ed esaltare le impressioni più profonde dei due protagonisti adolescenti, Betty e Lui.    

Gli incontri artistici personali determinano spesso efficacia e valore degli elementi a confronto nella creazione dell’opera. La musicista Severine Chavrier considera l’esperienza maturata nella collaborazione con il regista Jean-Louis Martinelli dal 2005, esemplare per le condizioni creative presso il Théâtre des Amandiers. La sua vocazione espressiva si alimenta allo spirito di Glenn Gould: «Au fond, nous voulons être piano» (p. 81). Riesce a riconciliare l’essenza delle due arti, poiché «l’écriture sonore est inextricable de son écriture de plateau» (p. 81). Dopo il lavoro per Nanterre-Amandiers passa a dirigere (anche da regista), il C.N.D. di Orléans, dove mette in scena Les Palmiers sauvages (2014 e 2018) e Aria da capo (2020). Suo criterio operativo: «Le son est mon endroit de travail. C’est mon premier rapport aux interprètes […]. Je continue à apprendre sur cet équilibre entre le son et le plateau» (p. 82). Il gruppo La Pop si autodefinisce un «incubateur artistique et citoyen» (p. 90). Agisce in un barcone ancorato nella Senna parigina, luogo di residenze, oltre che di produzione, di artisti provenienti dalla danza e dalle arti visive. Anche in tempo di pandemia, sempre animato da installazioni e conferenze.   

Sull’arte di Joël Pommerat discute con passione Cécile Auzolle in Les figures chantantes dans les spectacles de Joël Pommerat. Le premesse estetiche, nell’autore che si dice folgorato dall’incontro con Pelléas et Mèlisande di Debussy, si colgono anche nella sua   formula di «opéra sans musique» (p. 91) e nella ricerca sul rapporto tra voce e uditorio, modificato con l’amplificazione. Negli anni 1990 si precisa il senso del canto nello spazio, la funzione delle “figure” che cantano soltanto, negli spettacoli Pôles (1995), Grâce à mes yeux (2002), Les Marchands (2006), Pinocchio e Je tremble, 1 -2 (2008). Molto sensibile al pubblico più giovane (ha riscritto favole classiche), lo coinvolge quale personaggio, come in Contes et Légendes (1974). Al contempo l’autore tende a un universo composito, fonte di impressioni visive e auditive assieme, sensorialmente suggestive. I mezzi sono brani in play-back, di canzoni popolari e d’arie operistiche. Risultato, «sous couvert de paroles universelles et d’une musique choisie pour sa lisibilité rythmique […] renvoie le spectateur à ses propres temporalité, mémoire et imagination» (p. 94). Il presupposto di un’arte “dialogica” è investigato da Muriel Plana con metodo rigoroso in tre casi di drammaturgia al femminile: Les Petits bonnets, di Pascaline Herveet, esempio di «débordement dialogique queer» (p. 97); nel genere circense. Éclairs, di Alice Tabart, storia di «transmission de femme à femme, grand-mère à petite-fille» (p. 98). Chantons sous les néons, di Lucie Dumas, promuove parità di musica e parola, entrambe «ironiques, pour représenter et critiquer le langage postmoderne comme origine occulte de nos alienations» (p. 99). Il bisogno della formazione risalta in David Bobée, direttore del Théâtre du Nord e della sua Scuola. Il problema della trasmissione del sapere professionale è affrontato nell’intervista Question de transmission. Sugli allievi: «Au cours de leur formation, ils seront invités à penser les questions de l’engagement citoyen et de la necéssité de la creation» (p. 105). Voir la musique è l’ampio inserto illustrativo (pp. 57-72) delle esperienze-campione che caratterizzano il periodo esaminato. Pare evidente che molte delle proposte presentate andrebbero verificate a posteriori nei risultati attesi, nell’efficacia e nella durata delle tante novità e peculiarità dei fenomeni illustrati e studiati.  

In Miscellanées interessa la recensione di Mireille Losco-Lena, approfondita nell’esame della situazione culturale, suggerita dal libro L’artiste en habit de chercheur, di Carole Talon-Hugon (Presses Universitaires de France, 2020) sul rapporto fra arte e ricerca scientifica, problema avvertito di crescente attualità.  


di Gianni Poli


copertina

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