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Journal de travail. Au-delà du désespoir, IV. 1974-1977

A cura di Julien Centrès

Arles, Actes Sud-Papiers - M/imec, 2022, pp. 336, 25,00 euro
ISBN 978-2-330-13617-8

L’edizione del Journal di Patrice Chéreau prosegue con il momento evolutivo segnato dalla svolta ideologica dell’artista nei confronti del marxismo. Julien Centrès lo documenta con le letture e le dichiarazioni che l’accompagnano, accanto alle riflessioni sugli spettacoli che il regista sta preparando. François Regnault, presentando il volume terzo, notava gli effetti di influenze precedenti e, a proposito di Toller, segnalava come l’interpretazione di Chéreau riuscisse a liberarsi del mito rivoluzionario: «Patrice réglait ses comptes avec tout militantisme dogmatique» (F. Regnault, Patrice Chéreau. Journal de travail. L’invention de la liberté. Tome 3, 1972-1974, Arles, Actes Sud-Papiers, p. 7). Quindi, appare più deciso il cambiamento, nel bilancio sulla posizione assunta verso il marxismo, considerate le letture di Louis Althusser (Pour Marx, Paris, Maspero, 1965) e di André Glucksmann (La Cuisinière et le mangeur d’hommes […], Paris, Éditions du Seuil, 1975) e la scelta di nuovo impegno militante per i diritti umani. 

L’artista trova nel “désespoir” la propria forza motrice: «Le désespoir fait agir, non l’espoir ni l’optimisme» (p. 20), afferma, ispirandosi a Dostoevskij e a Kierkegaard (Traité du désespoir, 1849). Così la nuova condizione in cui si trova e agisce, motiva il titolo scelto dal curatore: «Nous souhaitions donc pour ce nouveau volume […] lui donner le titre Au-delà du désespoir» (p. 20). Mentre il metodo del lavoro creativo si consolida nell’elaborazione contemporanea di diversi progetti, con gli attori il regista mantiene un certo riserbo sullo scopo finale di ogni impresa avviata. Più diffuso e concentrato sull’enorme e prolungato impegno per l’allestimento dell’Anneau du Nibelung (la celeberrima tetralogia wagneriana), il Diario è da esso condizionato. Pure non restano marginali Lear (1975) dell’inglese Edward BondLoin d’Hagondange (1977) di Jean-Paul Wenzel, la ripresa, profondamente ripensata, di La Dispute (1976) di Marivaux (la cui gestazione era registrata nel volume precedente) e l’opera Les Contes d’Hoffmann (1976) di Jacques Offenbach. Per il cinema, guida la lavorazione del film L’homme blessé, distribuito però nel 1983. Fra le tante istruttive notazioni, immancabile un riferimento a Journal du voleur di Jean Genet (p. 47) e ai suoi scenari urbani degradati.

L’allestimento di Lear è all’origine di forti critiche alle scelte ideologiche dell’artista, firmate da Anne Ubersfeld e Gilles Sandier. Il filosofo Guy Hocquenghem gli rimprovera «un manque de courage politique» (p. 19). Ma il creatore difende il suo pensiero: «Il s’agit d’être honnête avec soi-même et de s’éloigner de ce qui se dessine désormais non comme une science mais comme une idéologie» (p. 20). Precisa la sua poetica: «Un monde industriel et un monde du plaisir prolétaire qui doit être l’univers de cette pièce […]. La violence générique de l’œuvre de Bond n’a pas de sens si on ne décrit pas les mécanismes de chaque jour […]. La façon dont les êtres s’entredéchirent dans la politique et la clandestinité. […] Tout cela est mélangé et terrible» (p. 31). E sull’interpretazione promette: «Il faut que Lear progresse. Construir le rôle sur la progression la découverte des choses. […] La mise en scène évidente, sèche, pas spectaculaire» (p. 34). 

La pièce Loin d’Hagondange rappresenta la coppia formata da un operaio metalmeccanico (pensionato) e da una casalinga che rimpiangono sogni irrealizzati, ormai lontani dalla realtà stringente e mortificante in cui hanno vissuto a causa del lavoro. Quindi sopravvivono, ancora a disagio per gli impegni creati da se stessi. Testo fra i pochi d’autore vivente e soggetto attuale, allestiti da Chéreau.

Inizia più d’un anno prima della rappresentazione la ricerca dedicata all’Anneau, negli appunti del 24-25 maggio 1975. «Commençons. La naissance de l’humanité. Les idées révolutionnaires (l’or et le pouvoir, la jeunesse: Siegfried - Wotan). Et des situations psychologiques formidables à jouer» (p. 38). Interessato a edizioni recenti, considera quella di Luca Ronconi (Siegfried, Teatro alla Scala) a cui non ha potuto assistere. Il giudizio è negativo: «Ronconi est un professeur qui voit court» (p. 38) e cerca in Vsevolod Ėmil’eviĉ Mejerchol’d la soluzione dei problemi posti dalla concezione wagneriana (p. 279). Le note testimoniano saggi sia sul complesso dell’opera, sia sui personaggi e su aspetti specifici. S’incontrano «un paysage dévoré par les constructions de plus en plus violentes et modernes. Habits de toutes les époques […]. Supprimer tout ce qui peut exister de pompier […] et le faire exister par rapport à la révolte, à la rébellion pour la liberté individuelle, l’affirmation libre […]. Retrouver cette vibration, cette psychologie par une liberté égale dans les équivalences. Dans la description de l’ordre imaginaire du monde (la puissance des dieux)» (p. 44).

Gli scambi con il direttore musicale Pierre Boulez, poco frequenti, all’inizio riguardano la recitazione in rapporto alla vocalità: «Les instruments et les voix… Jouer en chantant (respirer – Faux parlé. Emotivité qui casse le chant) – Idée que le spectacle continue après la musique» (p. 50). Più oltre, alludono appena a scambi in concordia di due autonomie. I rapporti appariranno meglio nella pubblicazione a più voci sull’evento wagneriano, Histoire d’un “Ring” (P. Boulez-P. Chéreau, Paris, R. Laffont, 1980). Nella varietà dei generi, lo attraggono la foire e il guignol, per rendere le atmosfere di Siegfried e di L’Or du Rhin e «à la fin du Crépuscule des dieux, c’est le théâtre qui apparaît…» (p. 52). La necessità è motivare le scelte concrete, nelle quali è prioritaria la coerenza fra l’idea e l’intento e l’esito rappresentativo. Se nel progetto complessivo, appare basilare un «monde industriel qui tend au mythe… la nature disparaît-elle ou au contraire augmente-t-elle? L’image se complexifie» (p. 61), in casi particolari la denominazione diventa tecnicamente esatta, come per gli attrezzi impiegati nella forgiatura dell’acciaio.

La massa delle comparazioni, dai concetti alle immagini, aumenta progressivamente, con balzi dalle situazioni specifiche di una “giornata”, a visioni che possano unificarle tutte esteticamente. Si pongono richieste alla produzione di Bayreuth per le esigenze materiali legate agli obiettivi prefissi: «Notre méthode est d’expérimenter sur le plateau» (p. 145). Sono frequenti le questioni sulle necessità luministiche, anche di ambito tecnico che, accostate a dettagli e oggetti scenografici, sono decisive per il risultato d’assieme. Ancor più insistenti e scrupolose le riflessioni sulle situazioni drammatiche, per le quali l’analisi si affina nei dettagli, caratteristici di un personaggio o relativi a rapporti plurali, come fare emergere il carattere infantile di Siegfried e connotare quello di Brünnhilde (p. 265). A corollario, diversi esempi di schizzi, indicativi delle posizioni ipotizzate per i personaggi. La poetica essenziale si conferma nella ricerca di un andamento “narrativo”: «Le Crépuscule. Le ton de la musique. A l’écoute la musique du Ier acte. Il s’agit d’un voyage, des gens qui voyagent comme dans de romans picaresques. Ce n’est pas du théâtre mais du roman, des gens qui circulent» (p. 176).

Certe allusioni, incomplete o oscure negli Appunti, si trovano spesso chiarite nelle Note, dove appare l’importanza del lavoro preparatorio del drammaturgo e consulente letterario François Regnault. A lui si devono i documenti da cui il regista attinge mitologia e significati dei simboli e dei personaggi tipici dell’opera (n. 126, p. 294). Fra i rari aneddoti, quello documentato dalla Lettera anonima, ricevuta l’estate del debutto a Bayreuth, contenente gli insulti di uno spettatore, tanto ostile al responsabile della rappresentazione  da minacciarlo di morte: «Chérau – If you appear before the curtain alone on the night of 17 August you will be shot. […]. I am writing in English because the only word I know in french is merde, which described you» (p. 298).

La Prefazione enfatica di Eva Wagner-Pasquier (nipote del musicista) abbonda di lodi alla personalità di Chéreau, ma sorvola sulle qualità e i motivi reali per i quali potremmo godere e molto imparare dalla sua arte.



Gianni Poli


Journal de travail. Au-delà du désespoir, IV. 1974-1977

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