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Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Seicento

A cura di Francesco Cotticelli, Paologiovanni Maione

Napoli, Turchini Edizioni, 2019, 2 voll., 1838 pp., euro 90,00
ISBN 9788889491188


Il volume, curato da Francesco Cotticelli e Paologiovanni Maione, esplora la vita musicale e spettacolare a Napoli nel corso del XVII secolo. Un periodo d’oro per la città che conquista un ruolo di grande prestigio nel panorama culturale europeo. Una corposa edizione di circa duemila pagine – frutto di oltre una decade di lavoro – che raccoglie visioni variegate della spettacolarità napoletana. Diversi gli argomenti trattati: dal fiorire della letteratura “in lingua nazionale” ai trionfi della pittura e della scultura barocca, dalla musica al dramma sacro alla commedia, tra feste pubbliche, private e “stanze” teatrali, in un tessuto urbano sempre più complesso.

 

Maione (La scena sfuggente) affronta il Seicento napoletano allargando i campi di indagini e di lettura, dissodando terreni ancora incolti come quelli relativi all’almanacco festivo e al ruolo dei maestri di cappella nella gestione degli artisti. Giovanni Muto (La Napoli spagnola) mette in evidenza il rapporto arte-potere nella cultura teatrale e musicale napoletana tra Cinque-Seicento, sottolineando il ruolo dei viceré come promotori di allestimenti di commedie nel palazzo reale.

 

Il saggio Mecenati e mecenatismo nella vita musicale napoletana del Seicento e condizione sociale del musicista. I casi di Giovanni Maria Trabaci e Francesco Provenzale di Domenico Antonio D’Alessandro è una sorta di “volume nel volume” (pp. 70-603), corredato da bibliografia finale. Attraverso fonti documentarie lo studioso propone un excursus storico, musicale e spettacolare che va dalla metà del Cinquecento agli inizi del diciottesimo secolo. Centrale il Concilio di Trento (10 settembre del 1562) in cui si discute l’uso della musica polifonica e organistica all’interno delle chiese: «nulla vi deve essere di profano in esse ma soltanto inni e divine lodi», e ancora «non deve essere composta per un vacuo diletto delle orecchie» (p. 71). Si mette inoltre in valore il ruolo dei mecenati, soprattutto stranieri (viceré spagnoli e banchieri fiamminghi), e il loro contributo alla diffusione della “scuola napoletana” presso i rispettivi centri di provenienza.

 

Due i saggi firmati da José Maria Dominguez. In Napoli e l’opera italiana nel Seicento si mette in luce il ruolo della politica nella gestione del teatro d’opera, facendone risaltare la funzione cerimoniale. In L’opera durante il primo periodo napoletano di Alessandro Scarlatti (1683-1702) si documenta (tramite ricca Appendice) l’attività di Alessandro Scarlatti alla guida della Real cappella sotto i rispettivi regni dei viceré Gaspar Méndez de Haro y Guzmàn, Francisco IV de Benavides y Dávila e Luis Francisco de la Cerda Aragón.

 

Francesco Cotticelli indaga le influenze dello spettacolo sulla pittura e sulla scultura nonché sulla letteratura, «soprattutto quella fiorente di poemi e racconti nella lingua nazionale, orgogliosamente esibita contro l’austero, formale, talvolta distante toscano» (pp. 739-740). Lo studioso mette in rapporto le principali componenti dello spettacolo: l’organizzazione teatrale, gli spazi (in primis quello del teatro San Bartolomeo), i repertori, le maestranze e gli attori (Carlo Fredi, Silvio Fiorillo, Bartolomeo Zito), i generi drammaturgici (come la commedia cinquecentesca, la farsa, la pastorale, il racconto magico e fantastico, la tragedia storica e, più avanti, la commedia per musica).

 

Nicola De Blasi (Teatro, letteratura in dialetto, città) esamina le riflessioni dei trattatisti del tempo intorno al problema della lingua da usare di fronte a un pubblico numeroso, nella predica religiosa come a teatro. Bianca Maurmayr (Sirene e Cigni coreutici) affronta il problema delle fonti sul ballo nella Napoli secentesca a causa dell’assenza di informazioni negli avvisi e/o gli opuscoli relativi, in cui ci si limita a registrare il dato cronologico e storico senza soffermarsi sugli elementi descrittivi. A concludere il tomo primo è Pier Luigi Ciapparelli (La scenografia a Napoli) con un approfondimento sulla favola pastorale, con le sue varianti di ambientazione (boschereccia, marittima, piscatoria) e la duplice declinazione in toscano e in lingua napoletana. In assenza di materiali iconografici, le annotazioni riportate sui testi e le mutazioni contenute nei libretti d’opera costituiscono una fonte imprescindibile per la conoscenza della prassi scenica e della scenotecnica di questo genere spettacolare (p. 883), cui contribuirono in maniera decisiva Cosimo Fanzago, Jacopo Barberini, Jacopo Aniello e Francesco Dattilo, Nicola Vaccaro, Francesco della Torre, Filippo Schor, Andrea Maffei e Ferdinando Galli Bibiena.

 

Il secondo tomo si apre con il denso contributo di Alberto Mammarella, incentrato sul tema della musica sacra, con un Appendice di esempi da Alessandro Scarlatti, Gaetano Veneziano, Jean de Macque, Francesco Provenzale. Di particolare interesse il saggio di Teresa M. Gialdroni che, attraverso lo studio di fonti musicali, fa il punto su un universo composito, quello della cantata da camera. Il repertorio delle canzonette, villanelle e arie è indagato da Cesare Corsi, evidenziando come la musica «leggera» ebbe un ruolo di primo piano nella produzione musicale dei primi venti-trenta anni del secolo. A questi generi si affianca il madrigale, oggetto di indagine di Paolo Sullo (Il madrigale a Napoli) e Simone Ciolfi (Dalla cadenza all’affetto: madrigale e recitativo nel Seicento napoletano). Entrambi gli studiosi sottolineano come questo tipo di musica costituisse uno strumento didattico importante per gli scolari dei conservatori napoletani, «un conoscimento dell’arte speculativa del comporre» (p. 1653).

 

Secondo Guido Olivieri, già verso la fine del XVI secolo la musica strumentale, fiorita a Napoli grazie all’attività di Giovanni Maria Trabaci, era considerata minore nel repertorio musicale, analogamente a quanto avveniva nelle altre capitali italiane. Enrico Baiano redige una rassegna di alcuni brani e/o partiture dello stesso Trabaci, de Macque, Scipione Stella e Ascanio Maione, evidenziando come il linguaggio tastieristico si trasformasse radicalmente con la successiva generazione di clavicembalisti quali Gregorio Strozzi e Giovanni Salvatore. Alessandro Abbate e Rosa Cafiero tracciano una mappatura dell’attività di Domenico Scorpione attraverso le edizioni delle sue opere dal 1672 al 1702 tra Bologna, Roma, Napoli, Benevento e Messina. Non manca infine l’attenzione all’Industria creativa, a Gli strumenti musicali e L’editoria – rispettivamente a cura di Rossella Del Prete, Francesco Nocerino e Francesca Seller – a conclusione di un quadro che può dirsi esaustivo, amalgamato secondo una visione d’insieme che scava nelle singole realtà in un continuo ribollire di idee e sperimentalismi.

 

La massiccia documentazione registrata nelle note e nel CD rom allegato, a cura di D’Alessandro, rende l’idea dell’imponente mole di lavoro e di materiali non sempre facilmente consultabili, in nome di quella trasversalità di cui spesso questo tipo di indagine deve nutrirsi. Il volume offre al lettore la possibilità di inquadrare l’intero circuito culturale napoletano seicentesco, incamminando la ricerca verso rinnovati orizzonti. 




di Stefania Prisco


La copertina

cast indice del volume


 

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