Dopo un primo capitolo introduttivo, Petrini individua nellopera di Bene due diverse fasi: quella che va dagli esordi agli anni Settanta, più spiazzante e conflittuale, in cui prevalgono «componenti espressive più vicine alle poetiche allegoriche e grottesche», e quella successiva, cupa e “raggelata”, in cui predominano le «sottolineature liriche e simbolistiche» (p. 29). Lautore segue quindi il dipanarsi del tragitto beniano selezionando e approfondendo alcuni «lavori esemplari» (dalla quarta di copertina).
Il primo a essere scandagliato è inevitabilmente quel Caligola in cui lesordiente Bene catalizzò come attore lattenzione del pubblico e mise in campo (pur non essendo «ancora regista di sé stesso» (p. 36) alcuni tratti peculiari della sua proposta artistica poi mantenuti nelle esperienze successive. Assurti a paradigma del primo periodo, vengono poi osservati
Amleto,
Majakovskij e
Nostra Signora dei Turchi, mentre del secondo si analizzano
Romeo e Giulietta,
Manfred,
la
Lectura Dantis,
Lorenzaccio e
La cena delle beffe. Il confronto tra edizioni diverse delle stesse opere (gli
Amleto, i
Majakovskij e i
Pinocchio) offre un punto di osservazione particolarmente efficace alla comprensione delle trasformazioni nella poetica di Bene e del suo rapporto con il pubblico. A
Pinocchio in particolare viene dedicato il capitolo di chiusura del libro (rimaneggiamento di un saggio contenuto in altra pubblicazione) che porta lautore a riaffermare che, pur nelle varietà delle forme e al netto di cambiamenti, tutto il percorso di Bene è segnato da «un antagonismo di fondo» ovvero dalla costante «contraddizione alla rappresentazione» (p. 119).
Petrini indaga loperato di Bene
in primis come quello di un artista, privilegiando un taglio storico, tendenzialmente storico-teatrale. Ciò detto, sia chiaro che lautore è perfettamente consapevole che Bene è stato molto di più di un uomo di teatro: lo definisce come uno dei massimi protagonisti della cultura
tout court del Novecento e, nel panorama italiano del suo tempo, gli riconosce il primato (condiviso con il solo
Pasolini) nella capacità di passare, con immutata genialità, «da un linguaggio allaltro: teatro, cinema, televisione, radio, letteratura, critica» (p. 70).
Conscio delle trappole sapientemente intessute Da Bene in vita tramite unaccorta operazione di costruzione della propria memoria, Petrini mette in dialogo le affermazioni dellartista con fonti primarie coeve, principalmente recensioni, e testimonianze di suoi collaboratori. Proprio lancoraggio alle fonti consente allo studioso di ricostruire e mettere in ordine fatti e avvenimenti, per poi rileggerli e risoppesare lintero percorso beniano. Per dirla in breve: in questo volume Petrini ha fatto dellottima “storia materiale” dello spettacolo (i lettori ci perdonino luso di questo termine che Bene certamente non ci avrebbe perdonato). Non sarebbe in sé uninnovazione, se non fosse che il magnetismo di questo artista ha finora di norma irretito gli studiosi, rendendo difficile parlare di Bene senza finire per essere parlati
da Bene (c.v.d.).
Da questo punto di vista si segnalano anche le riflessioni di Petrini sul rapporto tra Bene e lindustria culturale, e le sue ricadute sulle sue produzioni artistiche. Lautore del libro evidenzia come la svolta dalla prima alla seconda delle fasi sopra descritte corrisponda anche al suo passaggio dal ruolo di
enfant terrible a quello di riconosciuto
maestro del teatro di ricerca. Spingendosi ancora oltre, evidenzia come proprio i passaggi televisivi “salottieri” abbiano contribuito alla fama di Bene e alla sua ammissione, – in un modo tutto suo, ma inconfutabile – all
establishment culturale del nostro paese.
Gli spunti offerti dal volume spaziano su molto altro (dalle considerazioni su Bene attore, già espresse altrove dallo stesso autore, ma estremamente precise e incisive e giustamente qui ribadite, a quelle sulla Biennale di Venezia). Nellambito di una trattazione il cui filo rosso è la verifica delle circostanze e della modalità di demolizione della rappresentazione da parte di Bene, alcuni di questi stimoli non possono (condivisibilmente) trovare ampio sviluppo. Si ha pertanto limpressione – o forse ci piace pensarlo – che Petrini, che ha già fatto molto – con il pregio tra laltro di una scrittura svelta, chiara e molto poco “beneggiante” –, non abbia ancora detto la sua ultima parola su Bene. Confidiamo che sia così e restiamo dunque in attesa di sviluppi.