Il volume è pubblicato nella
serie dei manuali Bloomsbury, il cui intento è quello di delineare i parametri
salienti e lo stato dellarte delle discipline e sotto-discipline accademiche; tuttavia,
per le caratteristiche del tema che affronta – le “metodologie sonore” – la
raccolta curata dal sound scholar Michael Bull e dallo
specialista di cultura uditiva e filosofia della musica Marcel Cobussen
presenta di necessità un taglio fortemente interdisciplinare. Gli autori degli oltre
cinquanta saggi qui raccolti afferiscono
infatti tanto ai diversi campi dellumanistica quanto a quelli delle arti e
delle scienze “dure”; ossia, nelle intenzioni dei curatori, a tutti i diversi
settori in cui il suono può rivestire una centralità. Teorici, operatori e
artisti sono dunque invitati a riflettere tanto sul ruolo del suono nelle
proprie discipline di riferimento quanto sulle proprie pratiche espressive e di
ricerca. Lobiettivo è fornire una panoramica ampia sulle materie e metodologie
in cui il suono rappresenta propriamente loggetto dellindagine, oppure il mezzo
privilegiato attraverso cui questa si costruisce.
Nellintroduzione, pensata come un informale dialogo a distanza tra
Bull e Cobussen (confinati nei rispettivi paesi a causa della pandemia di Covid-19), i due curatori toccano
brevemente alcune questioni cruciali. In primo luogo, la sostanziale
marginalizzazione del cosiddetto global South negli studi sul suono,
recentemente al centro di un dibattito stimolato da Gavin Steingo e Jim
Sykes (Remapping Sound Studies, Durham-London, Duke University Press,
2019): in questo senso, si problematizzano e giustificano i limiti del volume, che
pur trattando esperienze distribuite su tutto il globo, contiene in larga
misura contributi di autori
attivi nelle istituzioni del wealthy West. In seconda istanza, si critica
il “dualismo metodologico” che connoterebbe i sound studies e che
rifletterebbe la presunta differenza ontologica tra fare e pensare, tra pratica
e teoria che caratterizza il sapere accademico: si privilegia piuttosto una
visione dinamica che guarda alle metodologie della ricerca come a pratiche
materiali-discorsive attraverso le quali è possibile esplorare le relazioni tra
suono ed esseri umani e non-umani. Daltronde, un certo post-umanesimo informa
la riflessione sul metodo proposta da Bull e Cobussen, che si nutre delle
prospettive di Donna Haraway e Karen Barad e che intenzionalmente
contrasta il sogno occidentale di una conoscenza pura, non mediata. Gli
orizzonti prospettati dai curatori
sono ulteriormente argomentati nei densi testi introduttivi che si collocano in
capo alle tre sezioni in cui si struttura il libro.
Aperta da un saggio “vertiginoso” di Bull attorno alle
connessioni sonore che è possibile tracciare (nel senso di Ernst
Bloch) attraverso tempo, spazio e cognizione, la prima sezione offre una
panoramica teorica di rara ampiezza su come il suono viene indagato o usato in
diverse discipline. Si fa il punto sulle metodologie sonore e sul ruolo del
suono in campi quali lantropologia (Alexandrine Boudreault-Fournier), la
biologia ambientale (Wouter Halfwerk), la letteratura (Justin St. Clair), la filosofia (Elvira
Di Bona, Naomi Waltham-Smith), la medicina (Jos J. Eggermont), la
pedagogia (Neil Verma), gli studi su scienza e tecnologia (Joeri
Bruyninckx e Alexandra Supper), lurbanistica (A. Lex Brown).
Altri contributi sono dedicati
a questioni teoriche più propriamente afferenti ai sound studies: James
G. Mansell si concentra sul modo in cui si configura la percezione uditiva in
epoche e contesti storici differenti; Tyler Shoemaker affronta i nodi
che emergono dallimpatto del new materialism sugli studi sul sonoro; André Fiebig e Brigitte
Schulte-Fortkamp danno conto
delle metodologie di indagine del paesaggio sonoro nel contesto della
psicoacustica, soffermandosi in particolare sul soundwalk; infine, Salomé Voegelin
critica la tendenza a “ventriloquizzare” le pratiche sonore attraverso il
paradigma visivo e logocentrico del “pensiero muto”, proponendo piuttosto un approccio basato
sulle possibilità conoscitive della sound art, dello storytelling
sonoro, delle “parole-gesto”, del canto, sulla falsariga delle riflessioni di Luce Irigaray,
Rosi Braidotti e della stessa Barad.
La seconda sezione raccoglie
descrizioni di progetti di ricerca in cui le metodologie proprie dellarte
sonora (come la registrazione ambientale, gli esercizi di improvvisazione, il soundwalk,
la performance musicale) sono adoperati come peculiari strumenti gnoseologici
per esplorare aspetti diversi della realtà. Questi artisti-ricercatori guardano
alle pratiche creative come a mezzi per dischiudere esperienze e affetti
inediti, sensibilità e consapevolezze altre, attivando procedure sperimentali
non teleologiche, ossia creando le condizioni perché possa verificarsi
linaspettato. Sulla sperimentazione e sul trinomio arte-metodo-conoscenza si
sofferma Cobussen nellinteressante testo introduttivo, mettendo in evidenza la
dimensione performativa della ricerca artistica, in cui teoria e pratica
coincidono. Si dà così spazio a
etnografie sonore (Stefan Östersjö e Nguyễn Thanh Thủy, Paul Thompson), esplorazioni tecnologiche (Edwin van der Heide, Jana Winderen), performance e
installazioni che possono anche contribuire al benessere individuale e collettivo
agendo, per esempio, sullambiente acustico (Jordan Lacey), o
stimolando una maggiore consapevolezza sui problemi del cambiamento climatico (Jonathan Gilmurray).
Nella terza sezione, dedicata ai casi di studio, lindagine della
dimensione sonora permette di riflettere su questioni molto variegate – dalla
crisi economica argentina del 2001 (Violeta
Nigro Giunta) alle
strategie di rigenerazione urbana adottate a Liverpool (Jacqueline Waldock), dalle tematiche del genere e del
femminismo (Marie Thompson) a quelle del post-coloniale (Annette
Hoffmann). Le diverse metodologie sonore fin qui illustrate trovano così
nuova concretezza e nuovi significati. Laccostamento di un numero così ampio
di approcci differenti e perfino
contraddittori permette di
comporre, per “diffrazione”, un quadro sfaccettato e complesso che ci
insegna molto sulla interrelazione fra regimi di ascolto e regimi discorsivi, così
come sulla inevitabile e al tempo stesso fruttuosa precarietà di ogni
metodologia sonora.
di Giulia Sarno
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