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The Bloomsbury Handbook of Sonic Methodologies

A cura di Michael Bull e Marcel Cobussen

New York, Bloomsbury, 2021, 825 pp., £ 134,00
ISBN 978-1-5013-3875-5

Il volume è pubblicato nella serie dei manuali Bloomsbury, il cui intento è quello di delineare i parametri salienti e lo stato dell’arte delle discipline e sotto-discipline accademiche; tuttavia, per le caratteristiche del tema che affronta – le “metodologie sonore” – la raccolta curata dal sound scholar Michael Bull e dallo specialista di cultura uditiva e filosofia della musica Marcel Cobussen presenta di necessità un taglio fortemente interdisciplinare. Gli autori degli oltre cinquanta saggi qui raccolti afferiscono infatti tanto ai diversi campi dell’umanistica quanto a quelli delle arti e delle scienze “dure”; ossia, nelle intenzioni dei curatori, a tutti i diversi settori in cui il suono può rivestire una centralità. Teorici, operatori e artisti sono dunque invitati a riflettere tanto sul ruolo del suono nelle proprie discipline di riferimento quanto sulle proprie pratiche espressive e di ricerca. L’obiettivo è fornire una panoramica ampia sulle materie e metodologie in cui il suono rappresenta propriamente l’oggetto dell’indagine, oppure il mezzo privilegiato attraverso cui questa si costruisce.

Nell’introduzione, pensata come un informale dialogo a distanza tra Bull e Cobussen (confinati nei rispettivi paesi a causa della pandemia di Covid-19), i due curatori toccano brevemente alcune questioni cruciali. In primo luogo, la sostanziale marginalizzazione del cosiddetto global South negli studi sul suono, recentemente al centro di un dibattito stimolato da Gavin Steingo e Jim Sykes (Remapping Sound Studies, Durham-London, Duke University Press, 2019): in questo senso, si problematizzano e giustificano i limiti del volume, che pur trattando esperienze distribuite su tutto il globo, contiene in larga misura contributi di autori attivi nelle istituzioni del wealthy West. In seconda istanza, si critica il “dualismo metodologico” che connoterebbe i sound studies e che rifletterebbe la presunta differenza ontologica tra fare e pensare, tra pratica e teoria che caratterizza il sapere accademico: si privilegia piuttosto una visione dinamica che guarda alle metodologie della ricerca come a pratiche materiali-discorsive attraverso le quali è possibile esplorare le relazioni tra suono ed esseri umani e non-umani. D’altronde, un certo post-umanesimo informa la riflessione sul metodo proposta da Bull e Cobussen, che si nutre delle prospettive di Donna Haraway e Karen Barad e che intenzionalmente contrasta il sogno occidentale di una conoscenza pura, non mediata. Gli orizzonti prospettati dai curatori sono ulteriormente argomentati nei densi testi introduttivi che si collocano in capo alle tre sezioni in cui si struttura il libro.

Aperta da un saggio “vertiginoso” di Bull attorno alle connessioni sonore che è possibile tracciare (nel senso di Ernst Bloch) attraverso tempo, spazio e cognizione, la prima sezione offre una panoramica teorica di rara ampiezza su come il suono viene indagato o usato in diverse discipline. Si fa il punto sulle metodologie sonore e sul ruolo del suono in campi quali l’antropologia (Alexandrine Boudreault-Fournier), la biologia ambientale (Wouter Halfwerk), la letteratura (Justin St. Clair), la filosofia (Elvira Di Bona, Naomi Waltham-Smith), la medicina (Jos J. Eggermont), la pedagogia (Neil Verma), gli studi su scienza e tecnologia (Joeri Bruyninckx e Alexandra Supper), l’urbanistica (A. Lex Brown). Altri contributi sono dedicati a questioni teoriche più propriamente afferenti ai sound studies: James G. Mansell si concentra sul modo in cui si configura la percezione uditiva in epoche e contesti storici differenti; Tyler Shoemaker affronta i nodi che emergono dall’impatto del new materialism sugli studi sul sonoro; André Fiebig e Brigitte Schulte-Fortkamp danno conto delle metodologie di indagine del paesaggio sonoro nel contesto della psicoacustica, soffermandosi in particolare sul soundwalk; infine, Salomé Voegelin critica la tendenza a “ventriloquizzare” le pratiche sonore attraverso il paradigma visivo e logocentrico del “pensiero muto”, proponendo piuttosto un approccio basato sulle possibilità conoscitive della sound art, dello storytelling sonoro, delle “parole-gesto”, del canto, sulla falsariga delle riflessioni di Luce Irigaray, Rosi Braidotti e della stessa Barad.

La seconda sezione raccoglie descrizioni di progetti di ricerca in cui le metodologie proprie dell’arte sonora (come la registrazione ambientale, gli esercizi di improvvisazione, il soundwalk, la performance musicale) sono adoperati come peculiari strumenti gnoseologici per esplorare aspetti diversi della realtà. Questi artisti-ricercatori guardano alle pratiche creative come a mezzi per dischiudere esperienze e affetti inediti, sensibilità e consapevolezze altre, attivando procedure sperimentali non teleologiche, ossia creando le condizioni perché possa verificarsi l’inaspettato. Sulla sperimentazione e sul trinomio arte-metodo-conoscenza si sofferma Cobussen nell’interessante testo introduttivo, mettendo in evidenza la dimensione performativa della ricerca artistica, in cui teoria e pratica coincidono. Si dà così spazio a etnografie sonore (Stefan Östersjö e Nguyễn Thanh Thủy, Paul Thompson), esplorazioni tecnologiche (Edwin van der Heide, Jana Winderen), performance e installazioni che possono anche contribuire al benessere individuale e collettivo agendo, per esempio, sull’ambiente acustico (Jordan Lacey), o stimolando una maggiore consapevolezza sui problemi del cambiamento climatico (Jonathan Gilmurray).

Nella terza sezione, dedicata ai casi di studio, l’indagine della dimensione sonora permette di riflettere su questioni molto variegate – dalla crisi economica argentina del 2001 (Violeta Nigro Giunta) alle strategie di rigenerazione urbana adottate a Liverpool (Jacqueline Waldock), dalle tematiche del genere e del femminismo (Marie Thompson) a quelle del post-coloniale (Annette Hoffmann). Le diverse metodologie sonore fin qui illustrate trovano così nuova concretezza e nuovi significati. L’accostamento di un numero così ampio di approcci differenti e perfino contraddittori permette di comporre, per “diffrazione”, un quadro sfaccettato e complesso che ci insegna molto sulla interrelazione fra regimi di ascolto e regimi discorsivi, così come sulla inevitabile e al tempo stesso fruttuosa precarietà di ogni metodologia sonora.



di Giulia Sarno


La copertina

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