Il
terzo volume della collana “Quaderni delle borse di alti studi e dei premi”
della Fondazione 1563 per larte e la cultura – curato da Michela di Macco – affronta un tema centrale e di lunga durata nel
pensiero europeo: la dialettica tra antico e moderno, qui indagata in unottica
interdisciplinare attraverso alcuni significativi esempi del Seicento e della
prima metà del Settecento. I cinque contributi sono lesito di altrettante ricerche
condotte dai vincitori di un bando promosso nel 2014 nellambito del Programma di Studi sullEtà e la Cultura del Barocco avente per titolo
Antico-Moderno. Parigi, Roma, Torino
1680-1750, che ha portato anche allideazione della bella mostra Sfida al Barocco. Roma, Torino, Parigi
1680-1750, allestita nella Citroniera juvarriana della reggia di Venaria
dal 30 maggio al 20 settembre 2020.
Lesposizione
«rendeva percepibile come la scelta, la sensibilità e la riappropriazione
interpretativa dei modelli antichi […] facessero emergere la sfida lanciata
dagli artisti nei confronti di quel passato tanto celebrato quanto ingombrante»
e dimostrava «il progressivo distanziarsi» degli italiani «che a Roma facevano
tesoro del confronto con quella stupefacente pluralità di modelli mentre lo
sguardo dei francesi si apriva in altre direzioni, rivolgendosi a Venezia e ai
maestri del Nord» (p. X). Tra i primi Giovanni
Benedetto Castiglione detto Grechetto
(1609-1664), alla cui formazione è dedicato il saggio di apertura del volume, a
firma di Giacomo Montanari.
Strettamente
legato al vivace milieu culturale genovese, lartista dimostrò sin dalle prime
prove un sorprendente aggiornamento sulle più avanzate novità letterarie e
filosofiche del tempo. Indubbi sia i suoi precoci contatti con lambiente
romano di Cassiano Dal Pozzo e
dellaccademia dei Lincei e con la raffinata ed erudita cerchia di
intellettuali che ruotava attorno ai Barberini; sia le forti suggestioni
ricevute da Nicolas Poussin, vicine
al sincretismo religioso propugnato dai Gesuiti: «un contesto ideale per la
genesi delle aspirazioni e del linguaggio criptico e filosofico del
Castiglione» (p. 4). A queste istanze già note, Montanari ne aggiunge di inedite
legate al sinora meno documentato primo momento genovese e al suo alunnato
presso Giovan Battista Paggi
(1625-1627). La lettura dellinventario della casa-studio del nobile – dove
sono elencati, accanto agli strumenti dellartista, oltre duecento volumi –
permette di formulare nuove ipotesi sullorigine delle peculiari scelte
iconografiche di Castiglione e di meglio «comprendere un quadro intellettuale
allinterno del quale inserire lintero “sentimento artistico” del pittore
genovese» (p. 5).
Valeria di Giuseppe di Paolo parte dalla
creazione della succursale romana dellAccademia Reale di Francia – inaugurata l11
febbraio 1666 – e dagli statuti che ne regolavano il funzionamento e le
finalità per riflettere sul significato più profondo dellesercizio della copia.
Se inizialmente questultimo fu pensato come il
principale strumento di attuazione del progetto di rinascita delle arti
francesi in funzione di un linguaggio nazionale, si rivelò presto unarma a
doppio taglio. I pittori furono costretti, durante lesperienza formativa del Grand Prix, a imitare fedelmente Raffaello e pochi altri maestri attraverso
una tecnica meccanica che lasciava poco spazio alla creatività e
allinnovazione, tanto da far dubitare dellefficacia del soggiorno romano.
Diverso il discorso per gli scultori, cui venne lasciata maggiore libertà interpretativa:
potevano infatti rielaborare e “correggere” autonomamente i propri modelli
tramite studi e disegni, con ben più proficue ricadute sulla loro formazione.
Alla
Francia e alla Académie Royale è intitolato anche lo scritto di Alessia Rizzo sullattività dei pittori
della cosiddetta “Generazione 1700”, di cui sono evidenziate le differenze di
cultura e di stile in relazione ai differenti luoghi e contesti di formazione,
ma anche il percorso di aggiornamento e le istanze che, da Roma, ne influenzano
la produzione.
Il
denso contributo di Claudia Tarallo è
incentrato su un tema apparentemente marginale: quello dellultima stagione del
poema eroico, che sul finire del Seicento entrò in una crisi che appare
irreversibile, sancita anche dalla scarsa qualità di una produzione comunque
copiosa. La studiosa dimostra come la narrazione in ottave restò di fatto il
genere più illustre della poesia italiana del tempo, anche se nelle numerose, “effimere”
prove epiche si sommarono da una parte la difficoltà di rispettare il rigido
dettato teorico e poetico tassiano, dallaltra quella di proporre elementi di
novità soprattutto dal punto di vista tematico.
Di
particolare interesse le pagine di Sara
Piselli sullattività del cardinale Pietro
Ottoboni, creatore di un vero e proprio “laboratorio” in cui pittura,
scultura, musica e teatro concorrevano nella creazione di un comune gusto
artistico e rispondevano a precise strategie culturali. Durante i quarantanni
in cui il nipote di Alessandro VIII ricoprì la carica di vice cancelliere
fecero parte del suo circolo artisti e scenografi del calibro di Filippo Juvarra, Carlo Fontana, Angelo de
Rossi e Francesco Trevisani, nonché
musicisti come Arcangelo Corelli e Alessandro Scarlatti che contribuirono
alla definizione di un linguaggio basato sui concetti di “buon gusto” e “buon
senso”.
di Lorena Vallieri
|
|