Con un trittico di atti unici, dal
soggetto e linguaggio sconcertanti (le battute sono in versi), lautore
africano francofono Koffi Kwahulé prosegue
unopera prolifica (2017 e 2019) dalla teatralità poetica affascinante
e impegnativa. Le strutture sorgono da un immaginario tra il subconscio onirico
e il ritmo affabulativo, da traumi psicologici fecondati dalla fantasia e con
essa interpretati. Il vocabolario accende surrealisticamente la realtà colta nel
presente e spiegata dal passato di mitologie anche ancestrali.
In Close up vige la
tecnica dellimmagine televisiva, secondo un montaggio frammentato in sequenze
e primi piani: “close up” è appunto lingrandimento del dettaglio rispetto
allinsieme dei personaggi e dellambientazione. Il protagonista si presenta subito
come un delinquente patologico, un serial killer mosso da pulsioni
sessuali distorte e da presunte aspirazioni artistiche. Si compiace dei suoi
crimini perché ambisce alla perfezione dellatto mortifero elevandolo a opera
darte. Ossessionato dal bisogno di un riconoscimento
sociale, nutre un sogno di celebrità illimitata, che soltanto un film di
Hollywood potrebbe garantirgli: «Je suis venu vous offrir mon œuvre / afin que
vous en fassiez un film» (p. 42).
Da uno stimolo visivo nasce lemozione
intima, descritta nella fisiologia anche sessuale. Forse lantefatto, la ferita
iniziale sono nella provocazione del fratello che lo invita a godere la bellezza
della sua amica. La reazione è sofferta come per un doppio incesto, che fonde
lattrazione per la ragazza con lammirazione per la madre, che in bikini gli
sembra “nuda”. Il turbamento ha crescendo
e pause di una musicalità inseguita nel ritmo e nellesposizione del tema con le
sue variazioni. Si prolungano le scene dellapprezzamento della sensualità
femminile, in sfumature sofisticate di sensibilità o lampi rivelatori degli
istanti dacme del piacere. La voce di Ézéchiel si moltiplica in quella degli
interlocutori, magari i poliziotti che lo braccano, impotenti a scoprirlo dagli
indizi sparsi ad arte. Fra gli elementi eterogenei cè la musica, sia ritornello
di canzone, sia il salmodiare polifonico del Miserere di Gregorio Allegri,
la citazione allusiva a passi evangelici distolti dalla connotazione della fede
e le tecniche del giornalismo mediatico. Scrittura scientemente sincopata per
infondere suspense a un “giallo” in parodia, che però rinvia a condizioni
allarmanti. Canterellando «I smell the blood of a little girl» (p. 21), leroe ha
la mano tremante. Però, alla fine, decide: «Jarme, je vise et je tire» (p.
41).
Unattrice in camerino si prepara
a recitare il ruolo di unattrice francese di cinema e teatro: così comincia la
storia, reinventata su quella “vera”, della famosa Arletty (1898-1992). Kwahulé la rappresenta in circostanze
e inquadrature dichiaratamente ispirate al film Les enfants du paradis (Marcel
Carné e Jacques Prévert, 1945) che Arletty interpretò da
protagonista. Così si presenta: «Je mappelle Arletty, / née Léonie Maria Julia
Bathiat, / et je suis le baiser de la vierge et de la câtin / une femme
dangereuse donc» (p. 47).
Gli episodi della sua carriera
avventurosa riemergono illuminati dalla consapevolezza forte e coerente sempre mantenuta
nelle scelte artistiche ed esistenziali decisive. Al centro, lamore per Soehring,
ufficiale tedesco delloccupazione, causa di uno scandalo che le costerà
larresto (1944), motivato dallessere ritenuta «individu dangereux» (p. 49)
per la sicurezza nazionale. Lautore insiste sullestremismo del personaggio
che contagia anche la sua interprete: la vocazione di Arletty a un sentimento
assoluto, motivo di rinunce e persecuzione, corrisponde nellattrice alla
scoperta della virtù liberatoria dellarte teatrale.
Più leggendario che documentario,
il testo composito di vari generi arricchisce di pathos e di ironia un personaggio
abnorme ed esemplare per stile di vita e comportamento. Nella finzione
drammatica, è spinto a conseguenze truci e paradossali, quasi fossero a tratti autentiche
le voci sul caso che alimentano lopinione pubblica. Nella lunga sequenza dellinterrogatorio,
linquisitore manifesta curiosità morbosa ed esasperazione dellaccusa per
limpassibilità e la sicurezza dellimputata. La donna subisce violenze, anche
fisiche – in un incubo che lei stessa denuncia falso (effetto dei “si dice”,
però plausibile, in quei frangenti) e dal quale esce glorificata. Altro sogno ossessivo,
il pubblico che la fischia, la insulta e dà fuoco al teatro. In alcune
allusioni alla fede cristiana, lautore smaschera lipocrisia sottesa a tanti
giudizi sulleroina, che confessa: «Je suis athée, Dieu merci, mais jessaie dêtre
catholique. […] Aimez-vous les
uns les autres. […] Juste chevaucher cette impossibilité. A cœur joie.
Jaime me croire catholique, cest-à-dire, le nœud de toute la sensualité du
monde» (pp. 72-73). Nella prestazione, che richiede unattrice superlativa, si è
da poco misurata Julia Leblanc-Lacoste in uno spettacolo creato nel
febbraio 2021.
Ancor più dettato dalla
musicalità è il match poetico combattuto in Boxer, ove un pugile donna,
atleticamente inferiore allavversaria, si costringe a uneroica opposizione a
oltranza. Sono lunghe riprese con crolli ripetuti e sforzi sovrumani per
rialzarsi. Senza alcuna presunzione epica di mimare seriosamente lo sport del
pugilato: unennesima analogia della situazione psicologica e fisiologica con
quella più largamente esistenziale. Anche qui leccesso metaforico – con andamento
impressionistico, se non “espressionista” della scrittura – induce
immedesimazione nel lettore, con mezzi anche tipografici, per disegnare levento
che dal ring trasmette violenza al pubblico. In mezzo, la figlia del boxeur
assiste quale patetica testimone e antagonista.
Nel clima di empatia da stadio, un dialogo si instaura tra vincente e
perdente, oltre che tra madre e figlia. Lo strumento di analisi è nella
proiezione del pensiero fatto voce trattenuta. Quando la scarica di colpi incassata
a un certo punto provoca la prossimità al ko, la donna, a terra tramortita, riesce
a rialzarsi e a salvarsi nel delirio. Il pubblico urla: «Tue-la, tue-la, tue-la»
(p. 98) e la combattente attraversa la sua storia di bambina che, dalla nascita
in un villaggio africano, risale al miraggio di conquista della corona
mondiale. La figlia le accorda lonore della sconfitta. E lesito della gara si
trasforma finalmente in danza.
di Gianni Poli
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