Felice
Laudadio,
presidente uscente del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, apre il
volume dedicato a Leonardo Sciascia e al suo rapporto con la settima
arte illustrando una delle maggiori peculiarità della scrittura sciasciana: la componente
“imaginifica”, di dannunziana memoria.
Segue
un dialogo tra due grandi amici e corregionali di Sciascia: Roberto Andò e
Giuseppe Tornatore. Al centro del loro scambio il rapporto tra il
racalmutese e il cinema, attraverso aneddoti, ricordi e suggestioni. A
proposito dellattitudine cinefila dello scrittore – assiduo frequentatore del
cinematografo sin dalladolescenza – Andò ricorda la sua predilezione per il
muto, per Eric von Stroheim e Louis Jouvet ma anche il suo ritrarsi
davanti proposte di collaborazioni come quelle pervenute da Sergio Leone o
Pasquale Squitieri. Il denso colloquio tra i due tocca il suo legame con
lindustria cinematografica, in particolare quello con le sceneggiature tratte
dalle sue opere alle quali Sciascia si è sempre rifiutato di partecipare, ricorda
Tornatore. Attraverso una serie di memorie, i due gettano luce sul suo avvicinamento
letterario al genere popolare, al giallo, alla cronaca e ai torbidi misteri,
oscuri e inafferrabili, dellintera penisola italiana.
Il contributo Tra diffidenza e ironia, sogno e
realtà del
nipote Fabrizio Catalano introduce dieci approfondimenti dedicati ad
altrettante trasposizioni cinematografiche dei romanzi del nonno, dal 1967 al 2002.
«Un cinema che, col trascorrere dei decenni, stenta a ritrovare se stesso, con
un tono leggero, a tratti persino scanzonato e divertito, utilizzando i
numerosi adattamenti dei romanzi sciasciani come mappa per orientarci in un
contesto tanto imperscrutabile quanto paradigmatico» (p. 22). I racconti di
Sciascia sono opportunamente contestualizzati nelle diverse fasi storiche del
belpaese: dalle tendenze culturali tra anni Sessanta e Settanta (quando sul
grande schermo dominano il western, il poliziesco, ecc.) allentrata della
malavita organizzata nel dibattito pubblico; dalloppressione fascista (Porte
aperte, 1990) alle contestazioni studentesche; dal terrorismo alle oscure
trame e alle strumentalizzazioni delle alte sfere governative (Todo modo,
1974).
I
curatori del volume Fabrizio Catalano e Vincenzo
Aronica, propongono una lettura dei film attraverso domande-suggestioni (Aronica) e risposte-narrazioni
(Catalano) che li intrecciano con altre opere letterarie, con fatti di cronaca
realmente accaduti, con le macchinazioni e le occultazioni dei governi negli
anni più oscuri dellItalia post-unitaria: da Bronte: cronaca di un massacro
che i libri di storia non hanno raccontato (1970) di Florestano Vancini
– unica sceneggiatura a cui Sciascia abbia collaborato – a Lantinomio (1960),
fonte di ispirazione per Una vita venduta (1976) di Aldo Florio.
La reiterata scelta di ambientare le vicende in Sicilia è una sorta di filo
rosso della sua produzione letteraria, in cui aspetti ricorrenti si inseriscono
in «quella vita fatta di compromessi, di gestione e brama di potere, di
scarnificazione degli ideali che, negli anni 60, iniziava a dilagare in
unItalia che si sentiva fin troppo sicura dei propri temporanei successi
economici» (p. 30). Se, alla sua uscita, Il giorno della civetta (1961)
provocò unondata di negazionismo (nazionale!) nei confronti della mafia, ciò
non dissuase affatto Sciascia, ma anzi lo convinse a insistere a proseguire
nella sua battaglia. Grande conoscitore e ammiratore del romanzo dinchiesta, nella
sua opera omnia sono rievocati nei vari capitoli personaggi memorabili vicini
al mondo dellinvestigazione, da A ciascuno il suo (1966) a Il
contesto (1971), restituiti sullo schermo rispettivamente da Gian Maria
Volonté e Lino Ventura.
Un
rapporto, quello tra Sciascia e i suoi film, sì “di amorosi sensi” ma spesso
anche burrascoso (prima e dopo la loro uscita), come testimoniato in chiusura da
Beppe Cino. Questi descrive il loro primo incontro, nel 1969, quando sottopone
allo scrittore una propria sceneggiatura e gli viene risposto che ha troppo
talento per il cinema. Incalzato sul fatto che il mondo del cinema attingeva a
piene mani dai suoi romanzi, Sciascia, con la sua affilata lucidità, ribatte: «da
quando hanno messo mano sui miei libri, oltre a non condividere i risultati che
si vedono sullo schermo, ho anche conosciuto la cosiddetta “gente di cinema”, e
ti assicuro che è gente dalla quale conviene stare alla larga» (p. 168).
La coesistenza
tra luomo, lo scrittore, il filosofo, il politico e il cinefilo nella stessa
persona emerge in questo volume che ritrae a tutto tondo il profilo di un intellettuale
di inestimabile valore, come un Pasolini o un Sartre.
di Giuseppe Mattia
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