Scopriamo con questo libro linsolita,
raffinata sensibilità del Richard Peduzzi narratore, avendone apprezzato
lopera scenografica in tanti spettacoli e allestimenti espositivi. Il nuovo
aspetto si rivela quando lautore organizza i suoi ricordi – dalle impressioni
profonde alla palingenesi creativa – in tempi e spazi nuovi, con rielaborazione
fantastica. È soprattutto etica lesigenza di inseguire e interpretare loccasione
fortunata, la chance che gli appariva irraggiungibile, nellinfanzia tormentata
trascorsa in una Le Havre deturpata dalla guerra. Là dove riceve cure dai nonni
materni, quando la madre è costretta a lasciarlo; poi, da quelli paterni (cfr. Sur
des ruines, pp. 19-24), quando più grandicello li aiuta nel loro lavoro.
Finché la madre muore lontana da lui.
Ma sono gli amici scomparsi, evocati
nel Prologo, a suscitare la sua voce sommessa e man mano più nitida che
ricostruisce tanti profili intimi e affettuosi. Saranno la Toscana e la Roma in
cui dirigerà villa Medici a fornirgli il panorama naturale e culturale sul
quale campire la propria avventura non soltanto artistica. «À un certain moment
de sa vie, si on ne veut pas participer au naufrage de la veillesse, on doit
retrouver une enfance, chercher indéfiniment cette terre nouvelle» (p. 12).
Ancora lItalia, la Portofino dei turisti di lusso, negli anni Settanta offre
luogo e momento dellincontro con la donna, scesa da una barca nel porticciolo,
che gli sarà compagna nella vita.
Il passo dalla strada al teatro, Richard lo compie per tappe faticose. Mutuata
dal padre la voglia di dipingere, giunge a Parigi per frequentare la scuola di
disegno di Charles Auffret. «Je côtoyais deux mondes contradictoires. Celui de la rue mentraînait
vers des souterrains dangereux […] celui de Charles Auffret me tirait vers le
haut» (p. 37). Insoddisfatto, accetta il consiglio del costumista Jacques
Schmidt, si presenta a Patrice Chéreau, animatore del Théâtre de Sartrouville,
e lincontro risulta decisivo per entrambi.
Il racconto subisce salti e
interruzioni. Disagio si avverte in partenza, nella volontà di chiarire loscurità
sorta nellinfanzia, le impressioni traumatiche di allora e prendere coscienza
di dover decidere del proprio destino: dopo esperienze di droga, recupera la
padronanza dun gesto creativo che lo gratifica dopo unattesa dolorosa. Oltre
un presagio di avvenire incerto e rischioso, minacciato da malattia incombente,
apre una ricerca ricca di tanti ritrovamenti, nel «chercher un trésor dans tout
ce que japerçois» (p. 51). Il giudizio sul lavoro richiesto dagli spettacoli in
prova, nelle paure e gli entusiasmi, mostra il metodo con cui affrontare i
problemi e scegliere le soluzioni concrete, più che il bisogno di appagarsi nel
successo. Si incontrano così lavori impegnativi: la prima scenografia firmata, Toller
di Tankred Dorst (1973) al Piccolo Teatro di Milano, e la sequenza condotta
da Chéreau nelle prove memorabili di La Dispute (Marivaux, 1973),
Peer Gynt (Ibsen, 1981), Combat de nègre et de chiens e Quai
Ouest (Koltès, 1983 e 1986), Hamlet (Shakespeare,
1988), Phèdre (Racine, 2003). E opere musicali: dal famoso Der Ring
di Wagner (1976) e Lulu di Berg (1979) a Wozzeck dello
stesso Berg (1992) ed Elektra di Strauss (2013).
Nel libro (i cui disegni non
illustrano tali capolavori) prevale la testimonianza schietta del creatore,
sottratta a qualsiasi compiacimento sul proprio contributo e del quale restano piuttosto
i dubbi o le ansie, che lo inducono a un confronto severo con sé stesso, nella
ricerca dellessenziale. Linsicurezza precoce e irrisolta propaga il senso di una
corsa obbligata verso la morte, condivisa con lhomme pressé, comera definito
il regista compagno da giovane. Già in comunione estetica, quando Patrice gli
propone di lavorare a Dom Juan di Molière, lui accetta subito: «Jai
saisi cette chance au vol. […]
Mes palais en ruine à même les quais, mélangés aux architectures industrielles,
limpressionnaient» (p. 50). Nasce uno stile, riconoscibile in Le
Massacre à Paris (1972) di Marlowe, meno in Les Contes dHoffmann
(1974) di Offenbach, dove però emergono «les souvenirs de mon enfance au
Havre […] juxtaposition de palais de la Renaissance en ruine, darchitectures
industrielles […] un ciel étoilé peint par Dürer» (p. 53).
Maturando, Richard si convince che il décor sia un «acteur à part
entière qui participe au jeu». Ne applica le conseguenze anche collaborando con
Luc Bondy: per Roi Lear, ad esempio, il regista accumula accessori
che lo scenografo tende a eliminare, spingendosi «vers labstraction, la
semplification […]. Le vide a toujours été ma préoccupation majeure» (pp. 57-58).
In Le Conte dhiver accosta nellimmaginazione il Globe e il Teatro
Farnese e vi vede «la Bohème prise dans les brosses tourmentées de Goya» (p.
57). Con lo stesso regista, seguiranno felicemente molti allestimenti di opere
liriche.
Come Chéreau gli aveva mostrato
la funzione della machine-à-jouer, così Peduzzi sintetizza nella cage
de scène lo spazio necessario allazione. Evocatrice della morte, la cage
«en nous donnant lillusion de liberté […] dans la cage de scène Patrice et moi
mettions toutes nos pensées» (pp. 55-56). Particolarmente faticoso, lHamlet
al Festival dAvignon del 1988, durante il quale soffre di unemorragia interna.
Le indagini cliniche scoprono laffezione da epatite C. Più tardi, per il cancro
affronterà il trapianto del fegato. La malattia di Patrice allo stesso organo,
Richard la sente quasi segno di una crudele concomitanza di destini. Lagonia
dellamico è raccontata nellineffabilità delle parole e nel ricordo più
concreto di libri e gesti condivisi. Nellaccavallarsi delle emozioni, la descrizione
assume lesattezza di una diagnosi clinica e, in quel mistero, le parole pur anche
poetiche sfiorano appena la realtà.
LEpilogo (Bird) è omaggio
al jazz, a musicisti tanto amati come John Coltrane, Charlie Parker
e Miles Davis, dai quali trae il titolo del libro. Laccesso allalbum
dei disegni, in appendice, è guidato da Alizée David secondo sensazioni
che sorgono dalla familiarità con le tecniche espressive e con il pensiero dellautore.
Le immagini suggeriscono lenigma e il desiderio e in alcune si colgono
allusioni a geometrie di Appia o a sentimenti di Chagall. Quei volumi
verticali isolati, a confronto contrastato, paiono quasi segni di un surrealismo
umbratile, dal colore sfumato, nel vuoto, nel silenzio definitivo.
di Gianni Poli
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