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Livia Cavaglieri

Il sistema teatrale
Storia dell’organizzazione, dell’economia e delle politiche del teatro in Italia

Roma, Dino Audino, 2021, 160 pp., euro 19,00
ISBN 978-88-7527-479-5

«Questo libro nasce per raccontare, lungo uno sviluppo secolare, la rete dei fattori organizzativi ed economici e delle politiche culturali entro la quale lo spettacolo va in scena». Lo scopo è perseguito dell’autrice con paziente e metodica precisione, fino a fornire per la prima volta «un quadro generale e di lungo periodo […], collegando fra loro momenti e contesti finora studiati singolarmente e separatamente» (p. 19). Tre parti in dieci capitoli per documentare, attraverso atti legislativi e amministrativi, statistiche, bilanci e loro interpretazioni, lo sviluppo diseguale delle arti teatrali e delle attività connesse alla loro industria. Un esempio necessario di storia “materiale” del nostro teatro, sensibile alle sue ragioni ideali ed estetiche. Precedenti comunque meritori Livia Cavaglieri usa e integra nel suo studio, rendendo accessibile una bibliografia preziosa, spesso dispersa.   

L’indagine risale alle prime «fraternali compagnie» del Cinquecento, che attestano la professione dell’Arte a scopo lucrativo, nella prassi del «vendere teatro» (pp. 28-29). In seguito, «basato sul policentrismo urbano e sulla mobilità di artisti e spettacoli, il sistema acquisì rapidamente un profilo nazionale, secoli prima del raggiungimento dell’unità politica del Paese» (p. 27). L’iter produttivo è sintetizzato nelle tappe e nei settori organizzativi (La filiera teatrale) alla luce di teorie che ne misurino i parametri, come quelle meno note di William J. Baumol e William G. Bowen (1993). Frattanto si dichiarano i debiti verso altre fonti (Livio, Pedullà, Tessari, Scarpelli, Guazzotti, Gallina, ecc.) nel costituire un quadro interdisciplinare esteso ed efficace. Con un balzo a tempi più prossimi (precedenti l’Unità nazionale) appare il costituirsi di compagnie presso gli Stati autonomi, quali la Reale Sarda (1820-1853) in regime privilegiato e tendente alla stabilità: vocazione interrotta e poi ripresa nel Novecento.

In luoghi deputati si svolgerà da allora la vita artistica, a partire dalle città maggiori, dove la sala “barocca” (o “all’italiana”) si sarebbe imposta (come all’estero) nello stabilire rapporti di classe, specchio della società in atto. Vengono descritte le forme di investimento e di gestione secondo le quali è la redditività a orientare le imprese verso l’era della “cassetta”, nel momento in cui però difettano gli interventi statali. Fra gli eventi legati all’evoluzione dei rapporti fra artisti, proprietari e gestori, il riconoscimento del diritto d’autore, assicurato dalla SIA (1882), in ritardo sulla Francia di un secolo e la Scuola (Accademia d’Arte Drammatica a Firenze, 1882). In conseguenza, la valorizzazione del drammaturgo mediante una rete capillare di agenzie di controllo e riscossione.

Cavaglieri si sofferma a tratti sulla condizione, mutevole e precaria, dell’attore e ne rileva la diversità rispetto alla gente comune, poiché «lavorava sulle emozioni, esibiva il corpo e permetteva una inusuale promiscuità di vita fra uomini e donne» (p. 47). La preminenza del “grande attore” nell’Ottocento segna il ritmo delle compagnie capocomicali, cellule autonome della “microsocietà” teatrale (pp. 47-50). L’espansione comprende le tournées internazionali che uniscono al prestigio il guadagno. Funzionamento e regole, rapporti contrattuali e convenzioni d’uso sono esaminati nel concreto delle funzioni dei ruoli e degli apporti specifici dei componenti. La maggiore offerta di posti nei teatri documenta la diffusione dei luoghi di spettacolo e la crescente sensibilità verso il pubblico, considerato sempre più degno di un servizio sociale e culturale. La proprietà è divisa fra privati, amministrazioni locali e “palchettisti” (possessori di un palco riservato). Attorno ai teatri è notevole il sorgere di attività commerciali indotte, di agenzie teatrali e di una stampa specializzata a strumento della critica.   

Nel primo Novecento il teatro partecipa alla ricerca della modernità e condivide i condizionamenti del mercato con tutta la società. Lo slancio imprenditoriale cresce, gli organizzatori chiedono riforme strutturali e quando viene scisso il rischio d’impresa dalla responsabilità artistica, a risentirne è il capocomicato, mentre se ne avvantaggiano i trust. La difficoltà sofferta dal capocomico porta alla costituzione delle compagnie “impresariali”. Nuove anche le troupe a carattere “semistabile” e l’accesso dei drammaturghi alla loro direzione. Tanti interessi intrecciati comportano conflitti e la nascita di sindacati (Cfr. Dal mutualismo alle organizzazioni di categoria, p. 69). Con l’accentuarsi delle disparità di classe e i disagi della guerra, si manifestano proteste e scioperi finora inconsueti.

Risorgono esigenze per un teatro popolare (che in Francia suscitava ipotesi e tentativi ricorrenti) alimentate dall’idea di “servizio pubblico”, declinata dal fascismo e poi dalla repubblica in molte varianti. Nel Ventennio assumerà scopi educativi dichiarati, assetti più vistosi (teatro “di masse”) e controlli più severi (censura e sussidi discriminanti). È pure momento di sovvenzioni (anche con concorsi per le compagnie, 1921) in funzione di propaganda e di controllo ideologico. Dal lato artistico, «la prevalenza della voce degli intellettuali su quella dei teatranti avvalorò idee di riforma, incentrate su un modo di guardare che riconosce nella scrittura drammatica l’elemento base dello spettacolo e che al linguaggio dell’attore richiede fedeltà all’autore» (p. 75). Criteri diversi (nelle visioni di Praga e di D’Amico, di Bragaglia e di Pirandello) attorno al teatro “d’arte” generano un’oscillazione perenne (cfr. L’eccezione e la regola: piccoli teatri d’arte e teatri nazionali, p. 81). Con il risultato d’una crisi per defezione crescente del pubblico, distratto dalla seduzione del cinema.

In compenso, l’istituzione dell’Opera Nazionale Dopolavoro produce le filodrammatiche, caso significativo nelle sue formazioni parrocchiali. I Carri di Tespi (decentramento ambulante) e il sabato teatrale fascista saturano totalmente una “vocazione” espressiva davvero popolare, che il Minculpop di Corrado Pavolini e l’assenza di un sindacalismo libero ed efficace destinano a esercizio professionalmente marginale. Soltanto l’Accademia d’Arte Drammatica sembra dare un impulso originale preparando al futuro. Nel dopoguerra, quel futuro s’avvera nella rinascita e la valorizzazione di idee mai maturate. Ma pure avviato alla «conquista della stabilità» (p. 98), lo stato democratico continua a gestire il settore dello spettacolo secondo «l’impianto normativo di epoca fascista, che viene anzi confermato» (p. 104). L’AGIS (dal 1945) e la Direzione generale dello spettacolo intervengono in un quadro sempre incerto.

Una costante caratteriale è la rivalità fra pubblico (Stabili) e privato (compagnie), tendente comunque all’equilibrio, poi scosso dalle cooperative che negli anni Settanta tentano programmi artistici e politici al contempo. L’autrice segue la funzione legislativa – da parte della Direzione Spettacolo (confluita nel 1959 nel Ministero Turismo e Spettacolo) – nel suo procedere per circolari e non per atti unitari e completi. La mancanza in più di mezzo secolo di una legge per il teatro apre una discussione ben viva, che testimonia la centralità e la difficoltà di soluzioni adeguate. Il persistente dilemma è riassunto in due «macro questioni» (p. 107): programmazione di una politica culturale globale e superamento della precarietà degli strumenti finanziari. Problemi connessi, quelli della competenza ministeriale e del Fondo Unico Spettacolo (FUS, 1985). Una rassegna di “situazioni” locali significative (per luoghi, città e circostanze e tipologie d’azione) informa in misura finora inedita sullo stato generale. Infine, riforme e appuntamenti mancati (cap. 10), oltre che bilancio allarmante, sono invito (o riprova di necessità) alla formulazione di un «Codice dello spettacolo dal vivo» (p. 142).

Cavaglieri esprime responsabilmente, con dati statistici e passione intellettuale, giudizi anche severi sul funzionamento più recente del sistema. Davvero preziosa, la sua competenza illustra le variabili influenti sull’intero processo, sempre più complesso nel tempo, così da facilitarne la comprensione alle diverse categorie di lettori e operatori.


di Gianni Poli


La copertina

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Dino Audino

 
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