Bianco e nero, a. LXXXII, n. 599, gennaio-aprile 2021
Mariangela Melato
La
prima sezione (Mariangela sullo schermo)
conduce il lettore in un viaggio attraverso le partecipazioni cinematografiche
dell'attrice. Emanuela Martini ne seziona il corpo attoriale, per esaltarne
il miracolo di assunzione al coro dei “mattatori”. Alla luce delle riflessioni
di Piera Detassis sulle problematiche della creazione di un corpo comico
femminile in Italia, la studiosa illustra come la Melato, sulle orme
dell'antesignana Monica Vitti, riesca in questa vocazione. E ancor di
più in coppia con Giancarlo Giannini. È un duo che rompe gli schemi
tradizionali del mito su cui si fonda il divismo: forti del loro carattere
teatrale, danno corpo a un riequilibrio del rapporto tra i sessi, che si attua
nella grottesca messa in scena di Lina Wertmüller in Mimì
metallurgico ferito nell'onore (1972), Film d'amore e d'anarchia
(1973) – parentesi “seria” – e Travolti da un insolito destino nell'azzurro
mare d'agosto (1974). Gabriele Porro continua sulla scia
dell'enumerazione virtuosa dei ruoli al cinema della Melato, con tante
testimonianze di prima mano delle personalità coinvolte direttamente nel
percorso artistico dell'attrice. Anna Bandettini si concentra su
un'altra collaborazione che ha segnato la carriera dell'artista, quella (improbabile
quanto efficace) con il regista Giuseppe Bertolucci: tre film e uno
sceneggiato televisivo focalizzati sulle psicologie di donne. Maurizio
Nichetti racconta che chiunque, chi amico intimo, chi ammirato collega,
rimaneva toccato dall'anima privata e artistica della Melato, mentre Alberto
Anile dà conto delle sue esperienze cinematografiche all'estero, segnate da
alti e bassi, da molte occasioni perdute scevre dall'“ossessione di
conquistare platee straniere” (p. 79).
Si passa poi a Mariangela sul palcoscenico. Maurizio Porro fa una disamina della collaborazione della Melato con Luca Ronconi, protrattasi per quarantacinque anni e dieci spettacoli tra cui l'Orestea (1972), L'affare Makropulos (1993) e Quel che sapeva Maisie (2002). Recettiva agli insegnamenti del regista, la Melato ha sempre mantenuto una sua indipendenza creativa, astenendosi da una recitazione in “ronconese”. Gli ultimi due spettacoli menzionati vengono ripresi da Bandettini in quanto interessanti rappresentazioni di personaggi agli estremi dello spettro anagrafico, mentre Orlando furioso (1969) viene esplorato grazie a diversi punti di vista interni alla produzione, tra cui quello di Ottavia Piccolo e Massimo Foschi. Daniela Zacconi dà conto delle parti “ballerine”, da rivista, che la Melato ci ha regalato al cinema, a teatro e in televisione, senza tralasciare il suo one woman show, Sola me ne vo. Silvana Zanovello traccia il percorso dell'attrice presso il Teatro Stabile di Genova – che l'ha accompagnata fino alla fine della sua carriera – con le naturali preoccupazioni dovute all'arrivo della star in un ensemble di professionisti, presto scongiurate dall'animo antidivistico della Melato, mentre Claudia Cannella racconta del suo rapporto con Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani, registi del Teatro dell'Elfo, negli spettacoli prodotti dal Teatro Stabile di Genova: Un tram che si chiama desiderio (1994), Tango barbaro (1995) e L'anima buona del Sezuan (2008). Sara Chiappori racconta Mariangela vista da Gabriele Lavia con cui recitò in Chi ha paura di Virginia Woolf? (2004) e insieme al quale progettava di mettere in scena Il giardino dei ciliegi. Segue un focus di Rodolfo di Giammarco su Il dolore (2011), ultima, sofferta, apparizione teatrale dell'attrice.
Nella terza parte (Mariangela in tv) Felice Laudadio ripercorre la carriera della Melato sul piccolo schermo, dal 1974 al 2010, tra trasposizioni televisive di successi teatrali, programmi di varietà, sceneggiati, miniserie e film. La sezione è arricchita da interviste: Massimo Ranieri e Alessio Boni, per fare solo due nomi.
Nell'ultima sezione (La chiamavano ‘la Melato'), Simona Argentieri e Patrizia Carrano si interrogano sull'esistenza di una personalità specifica dell'attore, sconfessandone la sondabilità generale e concentrandosi sulla manifestazione specifica di quella della Melato, prendendo in prestito le nozioni freudiane di Super-Io e ideale dell'Io. Come in precedenza con Lavia, Chiappori lascia spazio alle riflessioni di Federica Fracassi, che con la Melato condivise il Premio Ubu nel 2011. A conclusione della sezione, Laudadio presenta un testo che lascia parlare direttamente Mariangela Melato, in un insieme di “suggestioni, pensieri, progetti, impressioni, ricordi, notizie” (p. 189), a suggello di ciò che di lei è stato scritto nelle suggestive pagine precedenti.
L'intero volume è impreziosito da interviste e testimonianze di amici, colleghi, professionisti, che sono in grado di restituirci tanto la Melato artista quanto la Mariangela persona: più che due facce della stessa medaglia, stratificazioni costitutive di una stessa anima.
di Alessandra Vignocchi