Così riservata e
così vibrante, perfezionista e acuta, libera. Felice Laudadio –
presidente del comitato scientifico della Fondazione CSC – inaugura il numero
599 della rivista quadrimestrale dedicata alla settima arte introducendo una
delle più grandi personalità artistiche italiane contemporanee cui il volume è
dedicato: Mariangela Melato. Lintroduzione, cucendosi sulle dimensioni
immaginifiche straordinariamente significative della diva dagli “occhi che
divoravano la faccia” (p. 40), si fa più estesa e comprensiva. Il critico
cinematografico Maurizio Porro, curatore di questo numero monografico
della rivista, offre un fulminante e frammentato profilo biografico-emozionale
dellamica attrice, restituendone lirrequietezza espressiva e la totale
apertura ai suoi personaggi, che trovavano la loro potenza proprio nellicasticità
della sua personalità. Sandro Avanzo riprende la biografia dellartista
definendone più saldamente e cronologicamente i confini (ma ne ha mai veramente
avuti?) delle sue attività in campo teatrale, cinematografico e televisivo, con
un ampio apparato di commenti e recensioni che ne “telecronacano” la crescita
nella ricezione specialistica. Silvio Danese traccia con prosa
trascinante lo spostarsi della Melato – quando ancora non era “la Melato” –
nella Milano degli anni 50 e 60.
La
prima sezione (Mariangela sullo schermo)
conduce il lettore in un viaggio attraverso le partecipazioni cinematografiche
dellattrice. Emanuela Martini ne seziona il corpo attoriale, per esaltarne
il miracolo di assunzione al coro dei “mattatori”. Alla luce delle riflessioni
di Piera Detassis sulle problematiche della creazione di un corpo comico
femminile in Italia, la studiosa illustra come la Melato, sulle orme
dellantesignana Monica Vitti, riesca in questa vocazione. E ancor di
più in coppia con Giancarlo Giannini. È un duo che rompe gli schemi
tradizionali del mito su cui si fonda il divismo: forti del loro carattere
teatrale, danno corpo a un riequilibrio del rapporto tra i sessi, che si attua
nella grottesca messa in scena di Lina Wertmüller in Mimì
metallurgico ferito nellonore (1972), Film damore e danarchia
(1973) – parentesi “seria” – e Travolti da un insolito destino nellazzurro
mare dagosto (1974). Gabriele Porro continua sulla scia
dellenumerazione virtuosa dei ruoli al cinema della Melato, con tante
testimonianze di prima mano delle personalità coinvolte direttamente nel
percorso artistico dellattrice. Anna Bandettini si concentra su
unaltra collaborazione che ha segnato la carriera dellartista, quella (improbabile
quanto efficace) con il regista Giuseppe Bertolucci: tre film e uno
sceneggiato televisivo focalizzati sulle psicologie di donne. Maurizio
Nichetti racconta che chiunque, chi amico intimo, chi ammirato collega,
rimaneva toccato dallanima privata e artistica della Melato, mentre Alberto
Anile dà conto delle sue esperienze cinematografiche allestero, segnate da
alti e bassi, da molte occasioni perdute scevre dall“ossessione di
conquistare platee straniere” (p. 79).
Si
passa poi a Mariangela sul palcoscenico.
Maurizio Porro fa una disamina della collaborazione della Melato con Luca
Ronconi, protrattasi per quarantacinque anni e dieci spettacoli tra cui lOrestea
(1972), Laffare Makropulos (1993) e Quel che sapeva Maisie
(2002). Recettiva agli insegnamenti del regista, la Melato ha sempre mantenuto
una sua indipendenza creativa, astenendosi da una recitazione in “ronconese”.
Gli ultimi due spettacoli menzionati vengono ripresi da Bandettini in quanto interessanti
rappresentazioni di personaggi agli estremi dello spettro anagrafico, mentre Orlando
furioso (1969) viene esplorato grazie a diversi punti di vista interni alla
produzione, tra cui quello di Ottavia Piccolo e Massimo Foschi. Daniela
Zacconi dà conto delle parti “ballerine”, da rivista, che la Melato ci ha
regalato al cinema, a teatro e in televisione, senza tralasciare il suo one
woman show, Sola me ne vo. Silvana Zanovello traccia il
percorso dellattrice presso il Teatro Stabile di Genova – che lha
accompagnata fino alla fine della sua carriera – con le naturali preoccupazioni
dovute allarrivo della star in un ensemble di professionisti, presto
scongiurate dallanimo antidivistico della Melato, mentre Claudia Cannella
racconta del suo rapporto con Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani,
registi del Teatro dellElfo, negli spettacoli prodotti dal Teatro Stabile di
Genova: Un tram che si chiama desiderio (1994), Tango barbaro
(1995) e Lanima buona del Sezuan (2008). Sara Chiappori racconta
Mariangela vista da Gabriele Lavia con cui recitò in Chi ha paura di
Virginia Woolf? (2004) e insieme al quale progettava di mettere in scena Il
giardino dei ciliegi. Segue un focus di Rodolfo di Giammarco su Il
dolore (2011), ultima, sofferta, apparizione teatrale dellattrice.
Nella
terza parte (Mariangela in tv) Felice
Laudadio ripercorre la carriera della Melato sul piccolo schermo, dal 1974 al
2010, tra trasposizioni televisive di successi teatrali, programmi di varietà,
sceneggiati, miniserie e film. La sezione è arricchita da interviste: Massimo
Ranieri e Alessio Boni, per fare solo due nomi.
Nellultima
sezione (La chiamavano ‘la Melato), Simona
Argentieri e Patrizia Carrano si interrogano sullesistenza di una
personalità specifica dellattore, sconfessandone la sondabilità generale e
concentrandosi sulla manifestazione specifica di quella della Melato, prendendo
in prestito le nozioni freudiane di Super-Io e ideale dellIo. Come in
precedenza con Lavia, Chiappori lascia spazio alle riflessioni di Federica
Fracassi, che con la Melato condivise il Premio Ubu nel 2011. A conclusione
della sezione, Laudadio presenta un testo che lascia parlare direttamente
Mariangela Melato, in un insieme di “suggestioni, pensieri, progetti,
impressioni, ricordi, notizie” (p. 189), a suggello di ciò che di lei è stato
scritto nelle suggestive pagine precedenti.
Lintero volume è impreziosito da interviste e
testimonianze di amici, colleghi, professionisti, che sono in grado di
restituirci tanto la Melato artista quanto la Mariangela persona: più che due
facce della stessa medaglia, stratificazioni costitutive di una stessa anima.
di Alessandra Vignocchi
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