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Faire théâtre de tout. Espace, temps et place du spectateur

A cura di Jean Caune

Montreuil, Éditions Théâtrales, 2021, pp. 228, euro 24,00
ISBN ISBN 978-2-84260-840-8

Un gran lavoro di analisi, distinzione e classificazione di modalità di rappresentazione è alla base di questo saggio di Jean Caune. Lo sguardo iniziale appare rivolto al ruolo dello spettatore, uno spettatore “privilegiato”, “studioso” o “critico”, capace di riflettere sulla molteplicità delle forme teatrali e dedurne la fenomenologia storica dello spettacolo. La prima parte del titolo riprende la formula di Antoine Vitez, per la quale l’artista può e deve assumere ogni materiale – drammatico, letterario, documentario – per comporre la partitura scenica dell’evento, pure misterioso, che intende realizzare.

Metodo che non teorizza un processo creativo, ma rende possibili infinite ipotesi di spettacolo, di parola, di immagini e presenza poetica mediante l’attore. «La question était moins celle de l’énoncé susceptible de devenir matière scénique que l’acte d’énonciation de l’acteur qui devait pouvoir jouer tout, le tout» (p. 182). L’autore confessa l’approccio culturale del saggio: «J’ai souhaité aborder la représentation théâtrale à partir d’une approche contemporaine de la culture» e completa il programma impegnativo nel «participer au devoir de transmission, mission qui conjugue politique et esthétique» (p. 9).

Molte e diverse le conseguenze comportamentali e performative, in un’impresa di cooperazione fra autore e spettatore. Le domande insinuate riguardano l’efficacia “politica” attuale delle funzioni teatrali nella società francese e nel mondo. Viene così ripensata la nozione di «théâtre populaire qui a structuré les réalités et les rêves du théâtre au XX siècle» (p. 13). Nella varietà frammentata dei casi e dei temi, Caune costituisce una specie di manuale personale, introduttivo e riassuntivo, del secondo Novecento. E, nel periodo che va dall’inizio del secolo corrente, stabilisce un utile e perspicace raccordo tra epoche, mode e fatti memorabili che possono guidare verso una migliore e motivata comprensione dell’attualità e del futuro.

I dodici capitoli, in progressione logica più che cronologica, mirano quindi a porre domande essenziali, le cui risposte provengono da personaggi ed eventi significativi, condensati in sintetiche rievocazioni, anche di natura eterogenea: La médiation de l’acteur, Les mises en scène de Roger Planchon, Tchekhov: le père du théâtre moderne, Un dispositif pour transformer le monde, L’esprit du lieu: l’héritage de Vilar, ecc. Nel capitolo Transmettre? si riconosce il bisogno di diffondere il patrimonio costituito dai classici. «La transmission du théâtre, des textes et de leur représentation demeure une des conditions de survie de la mémoire sociale de la langue» (p. 17).

Casi concreti di lavoro (da Planchon a Mnouchkine, da Vilar a Lassalle) esemplificano interventi, scambi e interpretazioni, lungo teorie che evolvono fino al cambiamento di paradigma introdotto dalla “postdrammaticità” (p. 32). L’esame implica il formarsi d’uno statuto storicizzato della mise en scène, validato da una storia e una critica della critica specifiche, riferite a maestri quali Roland Barthes, Bernard Dort e Georges Banu, quasi a conforto della propria memoria già giustificata da estetica e gusto personali. Affiora la regia di Re Lear di Giorgio Strehler a verifica della presenza puntuale di Shakespeare sulle scene contemporanee. Ma i classici diventano “sempre” contemporanei (capitolo 3), come tende a dimostrare l’esame delle realizzazioni di Tartuffe di Planchon e di Vitez.

Traversare l’epoca del Théâtre Populaire presuppone, attorno alla centralità di Jean Vilar, richiamare idee e opere di quel periodo e in quel clima fervente di utopia. Nella nozione molto discussa, Caune cerca elementi d’attualità da comparare a quelli più caduchi della concezione vilariana di service public e nota «la liaison fonctionnelle entre la manifestation théâtrale et un projet social et politique. […] Dimension politique fondamentale pour parler de théâtre populaire» (p. 82).

Sorge allora un nesso logico tra la concezione dello spazio teatrale e la politica che ne orienta l’uso, supponendo – anche grazie a cambiamenti del rapporto scena / sala – modificabile la società e i costumi in essa vigenti. I temi della presa di coscienza politica e della democratizzazione culturale si alleano con la diffusione dell’opera di Bertolt Brecht in Francia. Un cambio di registro pone l’accento su altri aspetti collegati e dipendenti, quali Le temps du théâtre, Récit théâtral et temps de l’histoire, nella persistenza delle forme drammaturgiche. Così il tempo del “testo”, il tempo della “scena” e il tempo del “personaggio” incidono diversamente su percezione e fissazione mnemonica dello spettacolo, pure nella continuità d’una “tradizione” (se non d’un canone) di varianti estetiche.

Ancora di estetica si tratta, quando la corporeità emerge protagonista, negli anni Settanta del Novecento, e nel fervore della “pulsion du jeu” fa riscontare gli effetti della sensibilità di Nietzsche, Freud e Lacan. Saranno infatti i coreografi (Pina Bausch, Maguy Marin, Jean-Claude Gallotta) a iscrivere nuovi gesti distintivi nella sintassi corporale della danza “contemporanea” (p. 170). Il senso del lavoro dell’attore (Énonciation de l’acteur, p. 165) è colto nel dato “prettamente semiologico” del teatro, seguendo l’idea di Umberto Eco.

L’ultimo capitolo – dopo un Éloge de Vitez – annovera i nomi, a noi meno noti, di Gildas Bourdet, Magali Montoya, David Lescot, Georges Perec, Pierre Halet e Wajdi Mouawad. E proprio con Les Ondes Magnétiques di Lescot (2018) si chiude il discorso su una drammaturgia che esalta l’«actant de la situation dramatique» (p. 198), fondatrice di racconto verbale, musica e canzoni e «nous permet de penser notre époque socio-économique grâce à la médiation de l’art dramatique» (p.199). Considerata la rappresentazione non soltanto un oggetto artistico da analizzare nei suoi elementi costitutivi e strutturali, Caune la valuta innanzi tutto quale relazione pregnante e intelligibile fra la scena e la sala. Perciò questo volume si conferma dedicato alla presenza attiva dello spettatore nello spazio teatrale, considerato come «un lieu de pratiques culturelles spécifiques» (p. 9). A riprova, si richiama Cour d’honneur, pièce di Jérôme Bel (Festival d’Avignon, 2013), fonte di «plaisir de la réminiscence d’émotions vécues» (p. 171).

Nell’andamento articolatissimo (forse persino dispersivo) in paragrafi e titoli, molto alleggerite appaiono le Note, grazie ai rinvii a una Bibliografia ampia e dettagliata.  




di Gianni Poli


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