«I can take any empty space and call it a bare stage.
A man walks across this empty space whilst somebody else is watching him, and
this is all that is needed for an act of theatre to be engaged», “Posso prendere
qualsiasi spazio vuoto e definirlo come un palcoscenico nudo. Un uomo cammina attraverso questo
spazio vuoto mentre qualcun altro lo osserva, e questo è tutto ciò che è
necessario perché un atto teatrale avvenga”. Così Peter Brook in The Empty Space (New York, Atheneum,
1968). Il
nucleo di un atto teatrale, secondo il regista inglese, consiste nellazione di
un attore e di uno spettatore in uno spazio che può essere completamente vuoto.
Ne deriva che lelemento spaziale, anche minimo, è la condicio sine qua non
del teatro. A
partire da queste considerazioni Francesco Morosi indaga lo spazio delle
commedie aristofanee con un approccio semiotico. Nella lunga introduzione alcune
questioni di Theaterwissenschaft e di studio della performance sono prima
affrontate in generale e poi calate nel contesto specifico del teatro attico e
di Aristofane in particolare (pp. 5-50).
In
primis
è trattato lo spazio fisico della drammaturgia aristofanea: il teatro ateniese di
Dioniso nella seconda metà del V sec. a.C., la cui storia è sintetizzata con
rigore (pp. 24-41). Al di là della vexatissima quaestio sulla forma
originaria del theatron, è certo che la componente architettonica fosse
a quellaltezza cronologica molto limitata: non esisteva skené in
muratura, larea in cui recitavano gli attori era in terra battuta, gli
spettatori sedevano sul terreno in pendenza o sui cosiddetti ἴκρια, i sedili in
legno menzionati proprio da Aristofane in un passo molto discusso delle Tesmoforiazuse
(Th. 395). Intorno alla ricostruzione controversa della σκηνή del V sec.
si pone anche la questione della διστεγία menzionata da Polluce in Onomasticon
(4.127 ss.). Il lessicografo, riassumendo la strumentazione del teatro greco,
menziona questo elemento, da intendersi come un livello intermedio tra
lorchestra e il roof-stage della skené
che di norma rappresentava una stanza del palazzo reale o un tetto. Nel testo sono
analizzate alcune scene teatrali che potrebbero richiedere luso della distegia
(pp. 28-31). Anche il problema dellesistenza di un piccolo palco rialzato su
cui gli attori si esibivano è ripercorso in modo chiaro e documentato (pp.
36-38). Basandosi su passi specifici tratti da Acarnesi (Ach.
732) e Vespe (Ve. 1341), Morosi sostiene lutilizzo di una
piccola piattaforma ai tempi del commediografo greco.
Lo
studio dello spazio «come vettore di significato, e come strumento per
amplificare, e chiarire, limpostazione ideologica» (p. 50) delle commedie
aristofanee procede poi in due direzioni. La sintassi spaziale intesa come lorganizzazione
dello spazio, raccontato e mostrato, che contribuisce alla semantica delle
rappresentazioni (parti I e II). Lo spazio diegetico, ossia la descrizione di
mondi estranei allesperienza diretta del pubblico ateniese come il cielo e
laldilà (parte III). In questo caso lattenzione è posta in particolare su Uccelli
e Rane (parte IV). Entrambi i campi di indagine si rilevano di
grande utilità. Emerge con evidenza che il theatrical space è funzionale
alla vis comica e uno dei temi principali delle commedie prese in
considerazione.
Come
la critica ha messo in luce da tempo, elemento basilare della drammaturgia
aristofanea è la lotta tra poteri, lo scontro tra due istanze opposte: luna
incarnata dal protagonista oppresso, laltra dai suoi antagonisti oppressori.
Tramite la sintassi dello spazio tale dicotomia è amplificata. Non solo. Tale
sintassi è essa stessa binaria e procede per opposizioni su due assi:
dentro/fuori (pp. 51-180), su/giù (pp. 181-244). A questi si aggiunge lo spazio
fantastico (pp. 245-327).
Coerentemente
con il suo forte anti-naturalismo lo spazio aristofaneo è inoltre multiplo. Si
pensi alla dimensione performativa della porta che può rappresentare anche tre
o quattro luoghi differenti (cfr. M. Giovannelli, Lo spazio oltre la porta: luso della facciata scenica nel teatro di
Aristofane, in «Dionysus
ex machina», 2, 2011, pp. 88-108).
Quando invece sono messi in scena luoghi realmente esistenti – è il caso delle Rane
in cui il viaggio dei protagonisti tocca molteplici ambientazioni ateniesi
quali il tempio di Dioniso nelle Limne, lEleusinion cittadino, la via Sacra,
lagorà ecc. – tali spazi sono innanzitutto drammatici, quindi ficta.
Vale anche lopposto: molti luoghi fantastici assumono caratteri prettamente
ateniesi. Ne deriva che in Aristofane lo spazio reale ha caratteristiche
fittizie, e lo spazio fittizio ha caratteristiche realistiche. Largomentazione
è convincente e supportata da precisi riferimenti ai testi.
La
questione dello spazio investe anche la dimensione del tempo, si parla quindi
di “cronotopo”. Mentre la tragedia è ambientata in un passato mitico, la
commedia vive nel mondo iper-contemporaneo. Il focus sul presente
ateniese consente al drammaturgo di idealizzare il passato, come emerge con
evidenza ancora nelle Rane.
Uno
spazio-tempo multiplo consente una prossemica degli attori accentuata, tanto
che i movimenti di scena sono persino difficili da quantificare. Il testo non
può infatti registrare tutti i movimenti che avvengono (cfr. J.P. Poe, Multiplicity,
Discontinuity, and Visual Meaning in Aristophanic Comedy, in «Rheinisches
Museum für Philologie», 2000, 143, pp. 256-295). Esemplare sono gli Acarnesi
in cui sono ipotizzabili più di cinquanta stage configurations in
azione, inclusi i personaggi muti (κωφά πρόσωπα). Tale complessità e varietà non
sono sine ratio ma al contrario sono guidate in modo rigoroso e coerente
da Aristofane.
Nelle
conclusioni (parte V, pp. 329-336) lautore si sofferma sul materialismo del
teatro aristofaneo in cui ogni cosa – anche beni astratti – è tradotta in bene
di consumo esauribile. Ciò fa sì che i rapporti fra i personaggi siano
costantemente orientati in senso economico. In questo quadro lo spazio ha un
ruolo importante poiché essendo per natura fisicamente limitato, è lelemento
che meglio si presta a incarnare la limitatezza delle risorse cui accedere.
«Certamente
lo spazio aristofaneo è multiplo e aperto, e ammette molte configurazioni che
la tragedia esclude; tuttavia, la molteplicità e lapertura dello spazio comico
non comportano una completa disattenzione verso le dinamiche spaziali. Al
contrario, esse sono curate con coerenza, costanza e nettezza, e anzi sono
spesso essenziali per lintera costruzione – e per lintera significazione – del
teatro di Aristofane» (pp. 335-336). È questa la tesi di fondo del volume,
sostenuta sulla base dei documenti, in modo stringente e persuasivo.
Una ricca
bibliografia aggiornata e lindice dei passi antichi citati aumentano il valore
di un testo da leggere e custodire nella propria biblioteca.
di Diana Perego
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