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Guido Salvini. Un figlio d’arte nel tempo della transizione

A cura di Livia Cavaglieri

Milano, Scalpendi, 2020, 240 pp., euro 30,00
ISBN 979-12-5955-000-2

Ambizioso progetto curato da Livia Cavaglieri, il volume raccoglie gli atti del convegno omonimo tenutosi a Genova presso il Museo Biblioteca dell’Attore l’8 e il 9 maggio 2019.

I numerosi contributi, che portano la firma di storici dello spettacolo affermati ma anche di giovani studiosi, tentano di restituire «l’ingombrante» (p. 11) personalità teatrale di Guido Salvini (Firenze, 12 maggio 1893-4 maggio 1965), rimasta immeritatamente nell’ombra per molto tempo. Discendente di una delle più illustri famiglie d’arte del XIX secolo, nipote del più celebre Tommaso, l’artista fiorentino è stato rimosso dalla storiografia teatrale novecentesca, forse per quella conclamata collaborazione artistica con le istituzioni fasciste che, se decontestualizzata, rischia di svilirne il ruolo nel panorama culturale dell’epoca. Salvini appartiene infatti a quella generazione di artisti attiva tra gli anni Venti e il secondo dopoguerra, momento di transizione tra il teatro all’antica italiana – il teatro delle compagnie capocomicali organizzate per ruoli, squisitamente attorecentrico – e l’avvento della regia. 

Uomo di teatro a tutto tondo, Salvini non fu soltanto regista ma anche organizzatore, direttore di scena, scenografo, pubblicista, direttore artistico di festival e docente di regia. Attento conservatore, negli anni ha raccolto e ordinato un numero consistente di documenti e materiali inerenti alla propria longeva carriera, oggi conservati presso il citato Museo dell’Attore. Un primo approccio storiografico alla vita di Salvini e al suo archivio è avvenuto nel 2005 con la pubblicazione del volume di Daniela Vanni e Marina De Luca, Guido Salvini o della nascita della Regia in Italia, edito per Edizioni del Sud, con prefazione di Alessandro d’Amico, comprendente un incontro con Luigi Squarzina e un’appendice iconografica curata da Giandomenico Ricaldone

Il convegno del 2019 è nato dall’esigenza degli studiosi di riavvicinarsi con spirito critico a una così importante mole di fonti inedite, interrogandosi sulle ragioni della damnatio memoriae di questo personaggio eclettico. L’analisi biografico-artistica su Salvini procede, dunque, a partire dal fondo archivistico dell’artista, in cui si conservano lettere, documenti amministrativi, copioni, bozzetti, fotografie di scena, locandine, ritratti e copioni. Materiale originale che ha permesso agli autori di ricostruire fedelmente alcuni dei processi creativi, pratici e teorici, relativi agli eventi spettacolari da lui diretti. 

I quarant’anni di carriera del regista-scenografo sono così riproposti attraverso gli avvenimenti salienti di una prassi teatrale abbracciata in ogni sua forma: dal “praticantato” presso il Teatro d’Arte di Luigi Pirandello (1925-1927), di cui divenne ben presto fidato assistente, alla collaborazione con il Maggio Musicale Fiorentino (1933), per cui diresse la prima edizione; dai grandi spettacoli all’aperto degli anni Trenta, che permettono un focus sul suo ruolo nei primi dibattiti sulla regia, alla sua attrazione per l’elemento musicale; dalle dodici regie al Teatro Olimpico di Vicenza (1935-1956) al rapporto con la scena tedesca e alla collaborazione con Max Reinhardt e Carl Erbert; fino alle regie liriche sia in Italia che all’estero. E ancora le regie cinematografiche: Regina della Scala (1937), Orizzonte dipinto (1941), Quartetto pazzo (1945). Infine, l’incarico di docente di regia presso la Regia accademia d’arte drammatica di Roma (1938-1945) e i suoi tentativi falliti di fondare e dirigere un teatro stabile a Roma. 

Emergono così i vari volti dell’uomo di teatro Salvini. Scopriamo il Salvini scenografo: dapprima allievo apprendista di Virgilio Marchi, poi braccio destro del drammaturgo siciliano con il quale ha dato vita a una serie di scenografie interpretative i cui numerosi bozzetti sono in buona parte riprodotti in volume. Segue il Salvini regista teatrale: dalla citata collaborazione con Reinhardt, che gli aprì un orizzonte sulla scena tedesca, alle regie goldoniane e shakespeariane, come il Romeo e Giulietta del 1937 con Memo Benassi, dal sapore reinhardtiano, di cui si conserva il copione. E ancora il Salvini regista cinematografico che tra il 1937 e il 1955 realizza ben sei film, progettandone alcuni rimasti nel cassetto. Un breve focus si concentra anche su un potenziale Salvini letterato, o meglio sui suoi tentativi di approccio alla poesia e al romanzo. 

Non mancano documenti che ricostruiscono il rapporto dell’artista fiorentino con le grandi personalità del tempo: le collaborazioni con pittori e scenografi come Giorgio De Chirico e Mario Sironi, con il direttore d’orchestra Tullio Serafin, con l’attore Benassi; ma anche la corrispondenza con autorità, impresari e teatri (si pensi allo scambio di lettere con il Comitato Permanente per le rappresentazioni classiche nel Teatro Olimpico di Vicenza). A questo aspetto della sua vita offre un contributo notevole il ricco apparato iconografico, distribuito omogeneamente a corredo dei diversi contributi in volume. La ricognizione fotografica sul fondo Salvini, che ha rilevato la presenza di più di millecinquecento fotografie tra istantanee di scena, immagini documentarie o promozionali, album, reportage e ritratti, è affidata a Samantha Marenzi e riproposta per casi specifici. 

Concludono il volume una voce biografica firmata dalla curatrice Cavaglieri, ventidue tavole a colori di soggetti selezionati tra i vari materiali del fondo e gli Apparati, che registrano la cronologia degli spettacoli teatrali e delle regie cinematografiche. 

In breve, il volume contribuisce ad arricchire notevolmente la storiografia teatrale del primo Novecento, colmando non solo una vistosa lacuna che lasciava orfano di una biografia artistica questo «alfiere del teatro moderno» (p. 164), ma portando all’attenzione degli studiosi un periodo storico teatrale su cui molto è ancora da dire.




di Giulia Bravi


La copertina

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