Il
volume a cura di Gianna Petrone raccoglie saggi di affermati studiosi
che ripercorrono la storia del teatro latino dalle prime performance dei fescennini
versus e delle saturae alle tragedie di Seneca. Il testo abbraccia
un arco cronologico di lunga durata includendo autori noti e meno noti, le cui opere
sono indagate sia negli aspetti letterari sia scenici.Nel
primo capitolo Salvatore Monda ripercorre le origini (pp. 21-67). Come è
noto, nel 240 a.C. a Roma avvenne la rappresentazione di una fabula di
Livio Andronico. La data segna non solo la nascita del teatro regolare ma anche
della letteratura latina. La coincidenza pone in rilevo il peso che i generi
teatrali assunsero nella costruzione del patrimonio culturale. Sono poi considerate
le diverse tipologie di ludi, lo spazio scenico, le performance e gli
attori, le maschere e i costumi, la musica. Laspetto spettacolare del teatro
latino emerge in modo evidente.
Il
contributo di Rita DeglInnocenti Pierini è focalizzato sul teatro
tragico nella Roma repubblicana (pp. 69-100), la cui nascita può verosimilmente
essere posta in relazione alla tendenza ellenistica in cui sembrano prevalere
la spettacolarità del dramma e lo spazio dato agli attori. È questa la tesi
dellautrice sulla base degli studi di Scevola
Mariotti, Sebastiano Timpanaro,
Alfonso Traina, debitamente
citati. Dopo queste osservazioni preliminari, sono trattati il “pioniere” Livio
Andronico, l“innovatore e conservatore” Nevio, il pater Ennio, il doctus
Pacuvio e lingeniosus Accio.
La
commedia dargomento greco è oggetto del terzo capitolo a firma della curatrice Petrone, specialista della palliata e in particolare di Plauto (pp.
101-110), tra le cui numerose pubblicazioni basti qui citare Quando le Muse
parlavano latino. Studi su Plauto (Bologna, Pàtron, 2009). La storia della palliata,
la commedia latina per eccellenza, è ripercorsa qui breviter: gli inizi
con Livio Andronico, limpronta di Nevio “comico”, la versatilità di Ennio, fino
allaffermazione con il Sarsinate, maestro del genere. Degna di nota la considerazione
anche di commediografi minori quali Licino Imbrex, Trabea, Atilio,
Aquilio e Turpilio che rientrano in quella letteratura sommersa non tramandata
dai grammatici (pp. 107-110).
Il
quarto e il quinto capitolo sono dedicati a Plauto, la cui produzione è riferita
al suo contesto culturale (pp. 111-116), allambiente teatrale contemporaneo
(pp. 116-121), ai modelli greci e alla tradizione romana (pp. 122-125). Si
segnala lampia sezione dedicata alla drammaturgia plautina in cui sono
approfonditi elementi costituitivi quali la fabula e la fallacia,
il metateatro, i personaggi dai nomina loquentia, la musica (pp.
130-148). Utili schede delle ventuno commedie plautine – tante furono incluse da Varrone, è risaputo, nellopera De
comoediis Plautinis – comprendono
la trama dettagliata e la “nota di lettura” in cui sono fornite informazioni sui
modelli greci, la tematica, la performance (pp. 149-196).
È a
cura di Maurizio Massimo Bianco la sezione su Cecilio Stazio, percepito
già dagli antichi, con una sbrigativa schematizzazione, come anello di
collegamento tra Plauto e Terenzio, i due più noti autori di palliate. Sono
riportati titoli, trame e temi delle opere frammentarie (pp. 197-207).
Bianco
è anche lautore del settimo capitolo dedicato a Terenzio (pp. 209-244) e
dellottavo sulla fabula togata (pp. 245-253). Il teatro terenziano è
indagato nei suoi aspetti tradizionali e innovativi e nel rapporto con il
pubblico. Sono quindi approfonditi i prologhi con le indicazioni
programmatiche, lo stile, la ricerca della verosimiglianza, la drammaturgia a
metà tra fabula stataria e fabula motoria. Seguono le trame, in
sintesi, delle commedie (pp. 238-244).
Salvatore
Monda ripercorre poi la storia della fabula Atellana (pp. 255-277). Lantico
genere teatrale era caratterizzato dalla presenza in scena di maschere fisse. Differenti
da quelle della tradizione greco-latina, esse corrispondevano a personaggi
grotteschi: Macco, lo sciocco; Pappo, il vecchio lascivo; Buccone e Dossenno, gli
ingordi mangioni. La comicità, fortemente farsesca, aveva come costante la
soddisfazione dei bisogni corporali e loscenità.
Il
decimo capitolo sul mimo e pantomimo a Roma, a cura di Bernhard Zimmermann,
(pp. 269-279), è fin troppo sintetico là dove questi generi performativi riscossero notoriamente
grande successo in età imperiale. Si pensi al celebre pantomimo Pilade indagato
a fondo da Stefano Mazzoni (Danzare la regalità: Pilade vs Ila [Macrob.
Sat. II 7,12], «Dionysus ex Machina», 2014, V, pp. 180-191;
Storie di pantomimo: Pilade a Pompei e altre questioni, «Culture
teatrali», 2011, XXI, pp. 287-298).
Alfredo
Casamento
si occupa del teatro di Seneca a cui sono dedicati lundicesimo e il dodicesimo
capitolo (pp. 281-338). Nella trattazione esaustiva si segnala la storia della
fortuna del teatro senecano (pp. 310-315). Linteresse crescente per il corpus
tragico dellautore latino iniziò nel Trecento in seguito alla riscoperta del
codice Etruscus nellabbazia di Pomposa. Il Quattrocento poi identificò
in Seneca lo stile degli antichi. Ricordiamo la Phaedra di Giovanni
Sulpizio da Veroli andata in scena tra il 1486 e il 1488 nellambito
dellAccademia Romana diretta da Pomponio Leto. Lo spettacolo
straordinario fu replicato in Castel SantAngelo alla presenza di papa
Innocenzo VIII. Tra il Cinquecento e il Seicento si moltiplicarono le
rappresentazioni dei drammi senecani, soprattutto nellInghilterra
elisabettiana dove ne furono apprezzati i toni melodrammatici e le riflessioni
moraleggianti. In ambito francese basti ricordare la celeberrima Phédre
di Jean Racine del 1677. Quando poi la tragedia senecana entrò in
competizione diretta con i drammaturghi greci, i cui testi, ormai letti e noti,
ricevettero attenzione e cure esegetiche costanti, lastro senecano iniziò la
sua fase di declino.
Lultimo
capitolo di Elena Rossi Linguanti è focalizzato sulla fortuna del teatro
latino (pp. 339-372). Sono proposti alcuni casi paradigmatici di influenza del
teatro antico sulla modernità. Apprezzabile il tentativo di evitare un semplice
elenco di rifacimenti e di evidenziare i vari modi in cui si combinano
riscrittura e reinterpretazione. Sono presi in considerazione Amphitruo
di Plauto (pp. 340-357) e Tieste di Seneca (pp. 357-372).
Chiudono
il volume una ricca bibliografia aggiornata e un utile indice dei nomi. Il
testo è leggibile e di facile consultazione grazie anche alla minuziosa
ripartizione interna segnalata nellindice. Un utile strumento di lavoro per i
docenti e di studio per i discenti.
di Diana Perego
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