In questo volume, che registra gli atti del colloquio Domitor del 2018, Paolo Cherchi Usai, Joanne Bernardi, Tami Williams e Joshua Yumibe propongono di studiare gli oggetti
filmici del primo cinema non solo come pellicole finite, compiute, ma tentano
di riscoprire la storia dellartifact in sé, del materiale residuo, dei
frammenti di film che rappresentano oggi un oggetto di studio fondamentale per
capire la nascita della Settima arte. Se gli artifacts erano essenziali,
lo sono diventati ancora di più nellera del digitale, oggi che tutto può
essere copiato, condiviso e scambiato. Ma qui non si tratta di interrogarsi solo
sulla conservazione dei film e sul futuro degli archivi nellera digitale, ma
anche sulle conseguenze che questultima avrà sulla conoscenza degli artifacts
(intesi come linsieme dei materiali cinematografici di particolare interesse storico
e culturale).Diviso in quattro macro-sezioni, il volume consente di analizzare il
concetto di “provenienza”, essenziale nello studio della storia del cinema. Il
primo capitolo (Studying provenance: from analog to digital) illustra diverse metodologie che
consentono di individuare la provenienza di una pellicola. La distinzione tra
le parole inglesi provenience e provenance, assente nelle altre lingue, risulta essere il fil
rouge di tutto il libro. Di fatto, se provenience designa il luogo
fisico nel quale loggetto è stato trovato, provenance riguarda invece
il percorso delloggetto dalla sua creazione fino al suo status di materiale
allinterno di una collezione.
Nello studio del cinema la “provenienza” nella sua seconda accezione è
stata spesso trascurata, vista anche la peculiarità delloggetto filmico: a
fronte di pellicole vendute, noleggiate, circolanti a livello internazionale,
diventa letteralmente impossibile ritracciare il loro percorso individuale dal
momento della distribuzione allarrivo nella collezione cinetecaria. Eppure il
concetto di “provenienza” consente non solo di affrontare importanti questioni sugli
oggetti filmici, ma anche di interrogare la storia delle proiezioni originali e
trarne insegnamenti per quanto riguarda i restauri, per ottenere il maggior
numero di informazioni possibili e ricostruirne filologicamente la genealogia.
Il secondo capitolo (Preservation and Collection) sposta lo sguardo verso un
approccio più pratico, prendendo in esame fonti estremamente diverse tra loro (ad
esempio i costumi cinematografici, la collezione Davide Turconi o ancora
il materiale delle Archives de la Planète), consentendo di indagare una vasta
gamma di pratiche archivistiche e istituzionali. Interrogarsi sui concetti di
conservazione e di collezione significa tornare alle origini delle fonti,
cercare informazioni inedite sulla provenienza degli oggetti filmici ed
evidenziare le relative relazioni tra materiali e archivi, tra storia del
cinema delle origini e formazione del nostro patrimonio, nonché sottolineare la
ricchezza di informazioni che possono essere raccolte a partire da vari
documenti.
Il terzo capitolo (Circulation)
pone lattenzione sulla circolazione del materiale cinematografico con lobiettivo
di comprendere come il contesto di produzione e di diffusione dei film abbia
potuto condizionare loggetto e, di conseguenza, il nostro modo di considerarlo
oggi. La circolazione in un certo senso “modifica” le fonti e quindi determina
la nostra conoscenza del cinema delle origini. Diverse le metodologie proposte per
affrontare tali problematiche a seconda degli eterogenei oggetti analizzati:
film pubblicitari degli anni Dieci, cartoline meccaniche, vetri ottici e così
via. I contributi qui proposti ci ricordano quanto le possibilità di studio siano
vaste ma anche quanto il percorso analitico sia ardimentoso.
Lultimo capitolo (Repurposing) analizza il riutilizzo dei
film delle origini oggi. Procedendo per casi studio si evidenzia lampiezza e
la complessità della provenienza delle fonti, riconducibile non solo agli archivi
tradizionali ma anche al web. Il riconoscimento e la conservazione delle
fonti, nonché la loro ricollocazione nella contemporaneità tramite pratiche di
riuso e di found footage, consente di (ri)scoprire il valore estetico del
materiale filmico e il suo uso originario. In un momento critico come questo per la ricerca internazionale, ricollocare
i nostri artifacts nel loro contesto produttivo sembra essere un dovere
sempre più urgente. Questo volume ha il merito di interrogarsi sulla ricerca di
un nuovo punto di vista, di una nuova via per lo studio delle fonti filmiche:
una prospettiva quanto mai necessaria nellera digitale, nella quale copiare e
condividere sono diventate operazioni fulminee.
di Coraline Refort
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