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André Gide et le Théâtre. Un parcours à retracer

A cura di Vincenzo Mazza

Paris, Garnier, 2021, 456 pp., euro 39,00
ISBN 978-2-406-10965-5


Negli anni Novanta del secolo scorso, Jean Claude aveva già affrontato l’argomento nei due tomi di André Gide et le Théâtre (Gallimard, 1992), con i quali mostrava il profondo e costante interesse di Gide per la problematica teatrale. E rivelava una faccia finora poco esplorata e misconosciuta dell’opera poliforme del famoso romanziere e intellettuale, la cui carriera di teatrante, in effetti mancata, era bilanciata da un’indubbia tensione all’arte dello spettacolo. Lo confermano i rapporti ripetuti con eminenti personalità della scena, da Jacques Copeau a Jean-Louis Barrault, per alcune imprese memorabili. Nel pensiero e negli scritti, Gide lasciava larga traccia delle sue ipotesi e delle sue prove originali e delle difficoltà incontrate sia nel concepire una propria drammaturgia, sia nel confronto con i registi e gli interpreti chiamati a rappresentarla.

 

Un convegno del 2017 riprendeva l’estesa, disparata materia per studiarla con sensibilità adeguata al mutamento storico e con competenze diversificate. Un necessario aggiornamento che con la pubblicazione degli atti, oltre a confermare la validità del bilancio già significativo del Claude, apre prospettive inedite alla ricerca di connessioni e significati fra i documenti primari e la relativa critica. Lo stesso specialista – cogliendo i suggerimenti del precursore Claude Martin – ripercorre nell’Avant-Propos il legame con la storiografia sull’autore, nella cui concezione teatrale la valenza letteraria prevale comunque su quella scenica: «Sa principale crainte a été que le texte échappe à son auteur […]. Tout, selon lui doit être soumis au texte» (p. 10). L’opera collettiva riunisce i contributi di numerosi relatori (molti dei quali di origine italiana) e stabilisce preziose implicazioni dell’opera gidiana con le teorie teatrali e le estetiche della scena novecentesca.

  

L’Introduzione del curatore è una guida articolata che segue gli intenti e le tematiche scaturiti direttamente dagli scritti. Un saggio riepilogativo e di bilancio di una produzione disparata, sorta nell’ambiente théâtrophile in cui vive l’autore, che partecipa dall’inizio a imprese culturali quali la fondazione della «Nouvelle Revue Française» e del Théâtre du Vieux-Colombier, incontrando i protagonisti del tempo: «Le théâtre représente pour Gide un dispositif supplémentaire à son écriture, qu’il ne cesse de tenter d’apprivoiser par une diversité d’approches» (p. 17). Così si comprende come Gide non si limiti alla scrittura drammatica, ma elabori pensieri e teorie sul fatto teatrale anche mediante articoli, conferenze e un’assidua corrispondenza con amici e personalità eminenti. Il suo Journal s’arricchisce di continue riflessioni sullo stesso soggetto mutante. Ma emergono pure, in un quadro strutturato storicamente ed esteticamente orientato, i testi, le fonti, le realizzazioni sceniche e le edizioni, compresa la bibliografia che li riguarda.

 

Fra i paradossi ricorrenti, quello dell’opera scritta e della sua rappresentazione è discusso nel paragrafo “Scripta manent”, mais le théâtre est corps et voix (pp. 39-45). Il lavoro critico di Gide agli esordi è situato da Peter Schnyder: «La critique dramatique de Gide est à la fois analyse et heuristique – prise de conscience e connaissance de soi […] auto-défense et auto-critique» (p. 68). Le possibilità soprattutto inespresse si riscontrano nel saggio Prolégomènes à une étude de ce qui aurait pu être di David H. Walker. L’inclinazione al “dialogismo” letterario, quasi formula rassicurante, è evidenziata da Stéphane Poliakov. La vocazione all’adattamento si rivela applicabile tanto ai drammi quanto agli scritti narrativi. L’elaborazione di Les Frères Karamazov per Copeau è iniziativa dello scrittore, capace di influenzare la scelta del regista. Importante rettifica interviene sul ruolo di Gide che, non citato nella locandina del 1911, riappare quale corresponsabile dello spettacolo (Floriane Toussaint, p. 316). Pure la creazione di Saül (1922) comporta un altro momento di collaborazione creativa con Copeau. L’incontro con Jean-Louis Barrault si verifica per Antoine et Cléopâtre (1945), poi per la traduzione di Hamlet (1946) e la versione scenica di Le Procès di Kafka (1947). Su quella realizzazione sono integrabili i due contributi di Ophélie Colomb e di Mechthilde Fuhrer. Lo stesso Mazza segue la traduzione di Hamlet, dall’inizio incerto fino «à un succès tardif» (p. 343). I tre drammi principali – Saül (1897), Le Roi Candaule (1899) e Œdipe (1930) – ottengono comparazioni ripetute. Un confronto insolito fra due soggetti simili offre Frank Lestringant, motivato dalla tragedia di Jean de La Taille, Saül le furieux (1572) e l’omonima gidiana. Il contrasto è netto ma fecondo di scoperte riguardanti l’ispirazione e le tecniche compositive.

 

Le teorie teatrali discusse da Gide promuovono indagini sul clima primo-novecentesco che informa le concezioni e le poetiche caratteristiche della scrittura scenica coeva. Due conferenze dell’autore, De l’importance du public (1903) e De l’évolution du théâtre (1904), confortano la proposta di una coerente e singolare «théâtralité gidienne» (p. 271). Gli scambi con Roger Martin du Gard, ad esempio, sono letti e motivati da Hélène Baty-Delalande. L’assunto che l’idea di Gide «annonce le théâtre moderne» è sostenuto da Maja V. Zorika su fondamenti fatti risalire a Valéry e Mallarmé.

 

Una sinossi degli interventi sulla tragedia shakespeariana Antoine et Cléopâtre di Martina Della Casa illustra il concorso di filologia e drammaturgia secondo «l’étique gidienne de la traduction» (p. 282). Lo sguardo dei lettori italiani è ricondotto a un percorso di ricezione storica da Paola Fossa. Mentre un’edizione del Teatro è ben tardiva (Mondadori, 1950), più puntuali i riscontri di Diego Valeri, Fausto Maria Martini (autore d’un adattamento di Le Retour de l’enfant prodique, causa di controversia per plagio) e di Giovanni Papini, Arrigo Cajumi, Cesare Levi, Emilio Cecchi, Silvio D’Amico, a conferma che – consolidatasi la fama del personaggio – «la réception de sa production dramatique est écrasée par celle de sa production en prose» (p. 378). Infine, è proposto un censimento di tutte le opere gidiane rappresentate in lingua francese.



di Gianni Poli


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