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Andrea Sani

Lo specchio della storia. Il grande cinema di ambientazione storica


Pisa, Edizioni ETS, 2019, 291 pp., euro 26,00
ISBN 9788846756015

Il dibattito sul cinema come fonte per la storia affonda le sue radici nei primissimi anni della diffusione del medium, dal cineoperatore polacco Boleslaw Matuszewski a Siegfried Kracauer, proseguendo con Marc Bloch, Lucien Febvre, Pierre Sorlin, fino al recentemente scomparso Marc Ferro. In questo corposo studio Andrea Sani riprende la metodologia delineata dagli studiosi citati indagando l’evoluzione del cosiddetto “film storico” attraverso una analisi della sua funzione, attitudine e forma nel raccontare e nel reinterpretare il succedersi dei secoli.

Nell’Introduzione viene dichiarato l’approccio storico-filologico, fondamentale per far luce su eventuali contraddizioni relative a definizioni presenti nel lessico comune (film storico, peplum, kolossal, war movie, ecc.) attribuendo a ciascun lemma una collocazione temporale ben definita. Delle singole produzioni viene evidenziata la propria funzione di strumento finalizzato ad allargare le conoscenze: sulla storia narrata; sulla storia del periodo in cui tali film sono stati realizzati; sulle ripercussioni che essi hanno esercitato sulla società e sulla Storia stessa.

La divisione del volume in cinque macro-sezioni consente al lettore di addentrarsi in un percorso diacronico non di tipo “produttivo” ma legato alle rispettive ambientazioni storiche: dall’Antica Roma alla guerra del Vietnam. Sani inizia con una rilettura del genere peplum partendo da Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone accennando alla proliferazione dei kolossal in Italia dagli anni Dieci agli anni Trenta –, ponendo in luce alcuni parallelismi con l’industria hollywoodiana, in particolare dalle opere di Cecil B. DeMille alla rinascita del genere con Il gladiatore (2000) di Ridley Scott e Troy (2004) di Wolfgang Petersen. Con un linguaggio semplice e accessibile anche ai non addetti ai lavori, l’autore pone alcune premesse sulla rappresentazione cinematografica del Medioevo sostenendo che «il cinema storico di ambientazione privilegia soprattutto l’ordine dei guerrieri, trascurando le figure dei chierici e dei contadini» (p. 56), riallacciando il discorso su varie figure eroiche come quelle di Robin Hood, Rodrigo Diaz de Bivar e Enrico II Plantageneto.

Giungendo all’Età Moderna, Sani si sofferma su alcune questioni connesse al territorio britannico, dagli eccessi di Enrico VIII, allo scisma anglicano, alle interpretazioni attuate sullo schermo delle opere shakespeariane, ragionando sul diritto alla manipolazione e sulla critica in caso di assoluta fedeltà, asserendo che in tal caso «una certa critica cinematografica è subito pronta ad accusar il regista di “piatta” e “inerte” trascrizione» (p. 104). Successivamente l’autore dedica un capitolo al Settecento europeo “visto” da Stanley Kubrick, in particolare in Barry Lyndon (1975), pellicola di inestimabile valore interpretata da un punto di vista filosofico e comparata con altre pellicole del regista, in particolare con 2001: Odissea nello spazio (1968).

Arrivando al XIX secolo si ritorna al filone bellico analizzando le libertà interpretative nei confronti della storia da parte di Peter Weir in Master & Commander (2003), nel quale viene messo in scena il conflitto tra Francia e Inghilterra all’epoca della battaglia navale di Trafalgar (1805). Topos cinematografico ricorrente nelle ambientazioni ottocentesche americane è sicuramente il Far West. A tal proposito Sani analizza sapientemente due opere di John Ford: The Horse Soldiers (1959) e Cheyenne Autumn (1964), rispettivamente sulla Guerra civile americana (1861-1865) e sul rapporto conflittuale degli statunitensi con i nativi. Secondo lo studioso, a un certo punto «l’invasione dei territori indiani da parte dei bianchi cresce in modo esponenziale, mossa dalla corsa all’oro, dal commercio delle pelli di bisonte, dall’espansione della rete ferroviaria e dall’allevamento» (p. 149). Completa la sezione una panoramica sul rapporto tra cinema italiano e Risorgimento, a partire dal 1905 fino a due opere emblematiche di Luchino Visconti: Senso (1954) e Il gattopardo (1963).

Chiude il volume la sezione Novecento, nella quale si ripercorrono le principali tappe storiche e sociologiche del secolo rimandando a pellicole di ambientazione bellica come Orizzonti di gloria (1957) di Kubrick, nella quale «la guerra è un grande gioco, in cui i soldati risultano delle pedine destinate a essere sacrificate» (p. 177). In queste pagine emerge con spessore un ragionamento esaustivo del concetto di “antimilitarismo” (per entrambi i conflitti mondiali) che permea anche film italiani come La Grande guerra (1959) di Mario Monicelli e Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini. Ampio spazio viene dedicato al cinema di propaganda (incluso quello di animazione disneyana) e ai cosiddetti Viet-Movies come Il cacciatore (1978) di Michael Cimino e Apocalypse Now (1979) di Francis Ford Coppola.

Insomma, quello di Sani è un viaggio lungo più di duemila anni che incuriosisce soprattutto per la semplicità con la quale vengono intraprese letture filosofiche e per l’attenzione (doverosa) a quella Storia che, appunto, è forma, fonte e agente.



di Giuseppe Mattia


La copertina

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