L“archeologia
dei media” è una sotto
disciplina che da diversi anni si è affermata nel panorama accademico
internazionale, delineandosi come una prospettiva di studi alternativa alla
tradizionale “storia dei media”.
Congegni eccezionali, bizzarre invenzioni, eccentriche tecnologie sono i
principali oggetti dindagine per una serie di studiosi che hanno
progressivamente profilato un orizzonte metodologico e teorico comune,
nonostante la spiccata propensione centrifuga e “anarchica” che caratterizza la
disciplina (anche in virtù delleterogeneità dei suoi temi di studio). Il
volume di Jussi Parikka, noto studioso dei media e professore
presso lUniversità di Southampton, è un testo capitale proprio per
comprendere, al di là delle numerose diversità, lidea comune che soggiace ai
principali esponenti della Media Archaeology. Lopera, edita
originariamente nel 2012, ha avuto fin da subito grande rilevanza
internazionale, ed è finalmente stata tradotta in italiano nel 2019 dalla casa
editrice Carocci.
La traduzione si avvale di una ricca
prefazione di Ruggero Eugeni e di una altrettanto interessante
postfazione di Simone Venturini. Il primo mette in luce la chiave di
lettura più efficace per inquadrare le teorie media archeologiche, ossia
quella di intendere la disciplina come «un ampio progetto di individuazione,
ridistribuzione su tavoli di lavoro sia teorici sia storici, e conseguente
ridefinizione delle questioni chiave dello studio contemporaneo sui media» (p.
20). Mentre Venturini ne individua il principale valore nellessere un «angolo
cieco delle scienze umane» (p. 240); nellaver gettato luce su zone dombra
della storia dei media, soprattutto a partire da una rivalutazione dellimportanza
dellarchivio e del suo uso sistematico tanto per il recupero del passato
quanto per la comprensione del presente.
Corredato da questi due importanti saggi,
il testo di Parikka si apre con una densa introduzione che mette in luce i «background
multipli» (p. 32) da cui si è formata larcheologia dei media. In
particolare, le teorie sullarcheologia del sapere di Michel Foucault e
gli studi tecno mediali di Friedrich Kittler risultano i capisaldi
teorici per la formazione di molti archeologi dei media contemporanei.
Terminata la disamina genealogica, Parikka struttura la sua ricognizione lungo
sei capitoli, ognuno inerente a una caratteristica o a un tema chiave per la
disciplina.
Nel primo capitolo si analizza il rapporto
dellarcheologia dei media con le percezioni sensoriali, in particolare
audiovisive, affettive e algoritmiche, mettendo in luce la forte affinità con
la New Film History e la rielaborazione dei rapporti uomo-macchina alla
luce dellavvento del digitale e della Software Culture. Due importanti
studiosi come Thomas Elsaesser e Siegfried Zielinski sono tra i
principali punti di riferimento in questa sede.
Nel successivo Media immaginari: mappare media strani, Parikka descrive uno dei
soggetti di ricerca prediletti dalla disciplina, quello inerente allinsieme di
dispositivi e tecnologie che non hanno mai trovato una traduzione reale (perlomeno
significativa), ma sono rimasti solamente sulla carta e nella fantasia dei loro
autori. Questi strumenti, per quanto obsoleti e fallimentari, possono tuttavia dimostrarsi
rivelatori per comprendere «limmaginario in un modo meno lacaniano e per
vederlo come una risorsa per il nuovo» (p. 106).
Il terzo capitolo è dedicato al rapporto
che larcheologia dei media intesse con i concetti del nuovo
materialismo, soprattutto in riferimento alla scuola tedesca, da Kittler fino
ai più recenti Bernhard Siegert, Wolfgang Ernst e Claus Pias.
Nei loro contributi, questi teorici propugnano un confronto con la macchina che
non si cimenti solo nellanalisi testuale, ma provi a decifrarne anche ciò che
succede al loro interno, sondandone la temporalità macchinica e le modalità
processuali.
In Mappare
il rumore e gli incidenti, Parikka passa a esaminare un aspetto per lui
particolarmente significativo per la disciplina, poiché quello su cui si è più
concentrato nelle sue precedenti ricerche. Il concetto di rumore è qui
al centro dellattenzione per la sua importanza nella cultura dei media
moderni, troppo spesso osservati eliminando le componenti dinterferenza,
disturbo e rimodulazione che da sempre li accompagnano e che ne costituiscono
una variabile fondamentale per le modalità e capacità di comunicazione.
Al centro del quinto capitolo cè il tema
dellarchivio e il suo ruolo non solo nella ricerca storica, ma anche per la
cultura contemporanea. «Anche la memoria è condizionata dalle piattaforme
tecnologiche e dalle forme di inscrizione» (p. 194), osserva lautore, mettendo
soprattutto in evidenza la dimensione materiale e computazionale degli archivi
digitali e interrogandosi sulle modalità con cui larcheologia dei media
può contribuire ai dibattiti contemporanei sulle Digital Humanities.
Lultimo capitolo è incentrato sulle
metodologie creative legate allarcheologia dei media. Grazie allopera
di una serie di artisti come Paul De Marinis o Zoe Beloff, tale
disciplina si è fin da subito connotata per una spiccata sensibilità artistica,
che ha cercato di tradurre in pratica le ricerche e riportare in vita (o darne
una nuova a) tecnologie abbandonate e obsolete; non per rispondere a un
richiamo vintage, ma per interrogarsi attivamente sulle temporalità dei
dispositivi e sullidea stessa del loro potersi continuamente assemblare in
nuove forme.
Nelle conclusioni, Parikka sinterroga sul
ruolo che deve assumere larcheologia dei media negli anni a venire,
soprattutto in relazione alla cultura digitale. Lidea di fondo, già avanzata
nelle pagine introduttive, è che larcheologia dei media «debba di
necessità rinnovarsi continuamente rispetto alle domande emergenti sulla
cultura digitale, la memoria e i media tecnici» (p. 32). Proprio in virtù di
questo duplice sguardo, sistematico nei confronti di ciò che la disciplina è
stata e propedeutico rispetto a ciò che dovrebbe diventare, questo volume rappresenta
una pietra miliare non solo per chi sinteressa della disciplina in sé, ma per
tutti coloro che vogliono affrontare lo studio dei media secondo una
prospettiva nuova e multilineare.
di Matteo Citrini
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