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«L’Avènement d’un Art Nouveau»: Essaimage esthétique et spirituel de l’œuvre de Paul Claudel

A cura di Pascal Lécroart e Dominique Millet-Gérard

Besançon, Presses Universitaires de Franche-Comté, 2021, 202 pp., euro 20,00
ISBN 978-2-84867-785-9

Gli atti di un convegno internazionale dedicato a Paul Claudel, tenuto a Firenze nel dicembre 2018, raccolgono ora i contributi di un folto gruppo di relatori provenienti da varie aree geografiche e culturali in un’opera specialistica molto attraente seppure impegnativa.

Nell’Avant-Propos Dominique Millet-Gérard inquadra il tema dell’incontro nell’ampio panorama culturale interessato dalla diffusione dell’opera del poeta e drammaturgo francese, in rapporto al movimento dell’Art Nouveau. Il motto «l’Avènement d’un Art Nouveau», col quale Eleonora Duse avrebbe salutato l’opera del poeta incontrato a Firenze nel 1915, è preso a spunto e indizio per la ricerca sull’arte poetica e teatrale che veniva manifestandosi lungo il primo Novecento.

Nel programma della curatrice, «Il s’agissait de tenter d’évaluer ce que Claudel offrait ou suscitait de “nouveau”, mais un “nouveau” complèxe, enraciné dans une solide culture antique, parfois violemment rétif à certaines formes contemporaines, tout en trouvant inopinément son inspiration ailleurs – et loin» (p. 8). Pertanto appare inadeguato classificare per forme e generi l’opera claudeliana che, all’esame di strumenti stilistici ed estetici raffinati, mostra un profondo coinvolgimento fra le arti differenti e artisti rispettosi della propria autonomia creativa. La peculiarità di Claudel appare infatti nei modi di assimilare e trasformare le culture con le quali si confronta nei tanti contatti stabiliti nella sua carriera diplomatica e cosmopolita. Inoltre Millet-Gérard insiste su un altro aspetto tipico dell’Art Nouveau in Francia, individuabile nel «désigner une œuvre constamment aimantée par un centre christique» (p. 9). È una connotazione tutt’altro che scontata, poiché presuppone ciò che la studiosa dà per sottinteso: che l’opera claudeliana si spieghi e si integri con la visione teologica di Hans Urs von Balthasar. E la tesi, svolta in testi complementari complessi, ritorna nella nozione di Livre – «le livre dans son double aspect intérieur, spirituel, et extérieur, matériel» inteso come oggetto per eccellenza «de l’art nouveau claudélien» (p. 11).

Ci si concentra qui sulle relazioni dalle implicazioni teatrali più inedite e attuali. Le coordina Pascal Lécroart che fa apprezzare sia la qualità della scrittura drammaturgica di Claudel, sia gli esiti delle traduzioni e delle messe in scena rievocate. L’articolo di Laussucq-Dhiriart sul «renouveau catholique au théâtre» ragguaglia su malintesi e divergenze tipici di uno sforzo per affermare la confessionalità di un’arte scenica, appunto “cattolica”, che anche in Italia trovò credito e suscitò dibattito. Questioni sia teoriche sia di prassi rappresentativa e/o compositiva s’incontrano nell’intervento di Lécroart, dedicato alla sensibilità musicale specifica del drammaturgo. Non tanto soffermandosi sugli scambi con i musicisti, quanto rilevando l’influenza delle «musiques du monde» sulla concezione dello spettacolo secondo l’autore. Lo studioso vaglia i documenti, frutto di scambi con musicisti quali Edgar Varèse, per evidenziare invenzioni e applicazioni d’avanguardia: «Claudel invente des dispositifs sonores qui anticipent clairement sur certaines propositions du théâtre musical des années 1960-1980» (p. 68). E per la Cantate de Pâques, composta da Arthur Honegger (1951), il suo apporto «tient davantage de la musique concrète ou électro-acoustique que d’une musique orchestrale et chorale» (p. 69). L’uso funzionale della partitura e del bruitage è ancora dettagliato nei casi significativi di Le Livre de Christophe Colomb, Les Coéphores, Jeanne D’Arc au bucher.

Elementi poco noti emergono dai saggi di Achard e di Hellerstein. Il primo riguarda la «poétique du nu», nata dal viaggio del poeta in Italia, rivelatore del valore della bellezza femminile nella pittura. Il secondo mette a fuoco la collaborazione diretta dell’autore col disegnatore Jean Charlot, per l’illustrazione del volume Au milieu des Vitraux de l’Apocalypse (1933). Il poeta manifesta allora un senso di impotenza a esprimersi graficamente che lo porta a «déleguer son pouvoir de création plastique à une autre personne, un être compréhensif qui accepterait une sorte de ‘possession’ par laquelle le poète s’emparerait des mains et de l’esprit de l’artiste» (p. 79). Le illustrazioni allegate provano la componente autoironica profusa nello stile figurativo adottato.

Shinobu Chujo testimonia la fonte ispiratrice del nō giapponese sulla forma teatrale scelta da Claudel nella svolta verso un’estetica definita della ‟riattualizzazione del passato”. L’autore attinge al suo vissuto nei momenti che comprendono la rappresentazione del nō La cloche, visto nel 1922 e la formulazione della propria teoria (1926) su quel genere di spettacolo, la struttura del quale può riscontrarsi negli oratori drammatici successivi. Complementare è lo studio di Yvan Daniel del testo di Tête d’or, segnato da Mallarmé e dal Simbolismo. La sua lettura “mitologica” è confortata dagli studi di Max Muller applicati da Pierre Brunel al dramma in cui la natura e l’art poétique si fondono (p. 110).

Altri esempi di essaimage (migrazione e innovazione) in chiave teatrale si leggono in Galtsova, La traduction de ‟La Ville”, occasione della prima divulgazione dell’opera claudeliana in Russia, e in Les mises en scène de ‟L’Annonce faite à Marie” di Nekrassova, che ricordando la regia di Tairov (Mosca, 1920) informa sulle rappresentazioni recenti in Bielorussia e Lituania. Volker Kapp (Herbert Meier traducteur de Claudel) segue l’importante nuova traduzione tedesca di Soulier de satin (2003) comparandola a quella di Balthasar (1939), nonché offre un bilancio sulla ricezione della drammaturgia di Claudel in Germania (p. 177).

Nell’insieme, resta la perplessità per la mancanza di un confronto con gli studiosi italiani, che pure hanno tradotto e rappresentato l’opera di Claudel con continuità e impegno e che avrebbero aggiornato e allargato col loro sapere la necessaria condivisione di una ricerca così interessante.


di Gianni Poli


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