Gli atti di un convegno internazionale
dedicato a Paul Claudel, tenuto a Firenze nel dicembre 2018, raccolgono ora
i contributi di un folto gruppo di relatori provenienti da varie aree
geografiche e culturali in unopera specialistica molto attraente seppure
impegnativa.
NellAvant-Propos Dominique
Millet-Gérard inquadra il tema dellincontro nellampio panorama culturale interessato
dalla diffusione dellopera del poeta e drammaturgo francese, in rapporto al
movimento dellArt Nouveau. Il motto «lAvènement dun Art Nouveau», col quale Eleonora Duse avrebbe salutato lopera
del poeta incontrato a Firenze nel 1915, è preso a spunto e indizio per la
ricerca sullarte poetica e teatrale che veniva manifestandosi lungo il primo
Novecento.
Nel programma della curatrice, «Il
sagissait de tenter dévaluer ce que Claudel offrait ou suscitait de “nouveau”,
mais un “nouveau” complèxe, enraciné dans une solide culture antique, parfois
violemment rétif à certaines formes contemporaines, tout en trouvant
inopinément son inspiration ailleurs – et loin» (p. 8). Pertanto appare inadeguato
classificare per forme e generi lopera claudeliana che, allesame di strumenti
stilistici ed estetici raffinati, mostra un profondo coinvolgimento fra le arti
differenti e artisti rispettosi della propria autonomia creativa. La peculiarità
di Claudel appare infatti nei modi di assimilare e trasformare le culture con
le quali si confronta nei tanti contatti stabiliti nella sua carriera diplomatica
e cosmopolita. Inoltre Millet-Gérard insiste su un altro aspetto tipico dellArt Nouveau in Francia, individuabile
nel «désigner une œuvre constamment aimantée par un centre christique» (p. 9). È
una connotazione tuttaltro che scontata, poiché presuppone ciò che la studiosa
dà per sottinteso: che lopera claudeliana si spieghi e si integri con la
visione teologica di Hans Urs von
Balthasar. E la tesi, svolta in testi complementari complessi, ritorna nella
nozione di Livre – «le livre dans son double
aspect intérieur, spirituel, et extérieur, matériel» – inteso come oggetto
per eccellenza «de lart nouveau claudélien» (p. 11).
Ci si concentra qui sulle
relazioni dalle implicazioni teatrali più inedite e attuali. Le coordina Pascal
Lécroart che fa apprezzare sia la qualità della scrittura drammaturgica di
Claudel, sia gli esiti delle traduzioni e delle messe in scena rievocate. Larticolo
di Laussucq-Dhiriart sul «renouveau catholique au théâtre» ragguaglia su
malintesi e divergenze tipici di uno sforzo per affermare la confessionalità di
unarte scenica, appunto “cattolica”, che anche in Italia trovò credito e suscitò
dibattito. Questioni sia teoriche sia di prassi rappresentativa e/o compositiva
sincontrano nellintervento di Lécroart, dedicato alla sensibilità musicale specifica
del drammaturgo. Non tanto soffermandosi sugli scambi con i musicisti, quanto rilevando
linfluenza delle «musiques du monde» sulla concezione dello spettacolo secondo
lautore. Lo studioso vaglia i documenti, frutto di scambi con musicisti quali Edgar Varèse, per evidenziare
invenzioni e applicazioni davanguardia: «Claudel invente des dispositifs
sonores qui anticipent clairement sur certaines propositions du théâtre musical
des années 1960-1980» (p. 68). E per la Cantate de Pâques, composta da Arthur Honegger (1951), il suo apporto
«tient davantage de la musique concrète ou électro-acoustique que dune
musique orchestrale et chorale» (p. 69). Luso funzionale della partitura e del
bruitage è ancora dettagliato nei casi significativi di Le Livre de Christophe
Colomb, Les Coéphores, Jeanne DArc au bucher.
Elementi poco noti emergono dai
saggi di Achard e di Hellerstein. Il primo riguarda la «poétique
du nu», nata dal viaggio del poeta in Italia, rivelatore del valore della
bellezza femminile nella pittura. Il secondo mette a fuoco la collaborazione
diretta dellautore col disegnatore Jean
Charlot, per lillustrazione del volume Au milieu des Vitraux de lApocalypse
(1933). Il poeta manifesta allora un senso di impotenza a esprimersi graficamente
che lo porta a «déleguer son pouvoir de création plastique à une autre
personne, un être compréhensif qui accepterait une sorte de ‘possession par
laquelle le poète semparerait des mains et de lesprit de lartiste» (p. 79).
Le illustrazioni allegate provano la componente autoironica profusa nello stile
figurativo adottato.
Shinobu Chujo testimonia
la fonte ispiratrice del nō giapponese sulla forma teatrale scelta da Claudel nella
svolta verso unestetica definita della ‟riattualizzazione del passato”. Lautore attinge al suo vissuto nei
momenti che comprendono la rappresentazione del nō La cloche, visto nel 1922
e la formulazione della propria teoria (1926) su quel genere di spettacolo, la
struttura del quale può riscontrarsi negli oratori drammatici successivi. Complementare
è lo studio di Yvan Daniel del testo di Tête dor, segnato da Mallarmé e dal Simbolismo. La sua lettura “mitologica” è confortata dagli studi di Max Muller applicati da Pierre Brunel al dramma in cui la natura
e lart poétique si fondono (p. 110).
Altri esempi di essaimage
(migrazione e innovazione) in chiave teatrale si leggono in Galtsova, La
traduction de ‟La Ville”, occasione della prima divulgazione
dellopera claudeliana in Russia, e in Les mises en scène de ‟LAnnonce faite
à Marie” di Nekrassova, che ricordando la regia di Tairov (Mosca, 1920) informa sulle
rappresentazioni recenti in Bielorussia e Lituania. Volker Kapp (Herbert
Meier traducteur de Claudel) segue limportante nuova traduzione tedesca di
Soulier de satin (2003) comparandola a quella di Balthasar (1939), nonché offre un bilancio sulla ricezione
della drammaturgia di Claudel in Germania (p. 177).
Nellinsieme, resta la perplessità per la mancanza di un confronto con gli
studiosi italiani, che pure hanno tradotto e rappresentato lopera di Claudel
con continuità e impegno e che avrebbero aggiornato e allargato col loro sapere
la necessaria condivisione di una ricerca così interessante.
di Gianni Poli
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