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Maria Pia Pagani

Sguardi sul teatro dell’antica Russia


Avellino, Edizioni Sinestesie, 2021, 159 pp., e-book
ISBN 978-88-31925-61-7

La distanza che separa il lettore e lo studioso occidentale dalla spettacolarità dell’antica Russia, per ragioni linguistiche e culturali, oltre che meramente chilometriche, viene idealmente accorciata dal lavoro di Maria Pia Pagani.

Partendo dalla constatazione della “giovinezza”, in termini culturali, della Russia, nei due capitoli che compongono l’opera ne vengono affrontate le diverse forme performative, autoctone e d’importazione, e il complesso rapporto che le legava alla fede ortodossa. La vastità delle tematiche trattate e l’eterogeneità dei documenti non rende sempre lineare la rotta da seguire.

Incerta è l’etimologia del termine skomorochi, usato per definire una vasta gamma di artisti girovaghi la cui comparsa viene fatta risalire al V secolo. Pagani mette a confronto i pareri dei più autorevoli studiosi russi (Famicyn, Šafarik, Veselovskij, Grot, Kondakov, Il’inskij, i cui lavori sull’argomento sono stati pubblicati prima del 1900) senza riuscire a dirimere la questione. Questi artisti portavano in giro per città e campagne un repertorio molto variegato, vestivano maschere animalesche, suonavano numerosi strumenti musicali, cantavano, danzavano e ammaestravano animali.

Una categoria particolare di skomorochi era quella dei manovratori di fantocci che si distinguevano in marionettisti (petrušečniki) e burattinai (vertepniki) a seconda del tipo di pupazzo utilizzato per allietare i fedeli e mostrare la passione di Cristo e la sua resurrezione. Si deve all’artista italiano Pietro Adamo Mira (buffone e violinista attivo alla corte di Anna Ioannovna dagli anni ’30 del XVIII secolo) il nome della marionetta più famosa di tutta la Russia: Petruška, da Pedrillo e Petrillo, nome d’arte usato dall’artista italiano. Secondo lo studioso Peretc il più popolare burattino russo in origine si chiamava Ivan, come dimostrerebbe il nome che tutt’ora ha lo stesso personaggio in Ucraina. La figura di “Ivan lo scemo” era, ed è, spesso associato alla mitezza dell’asino, derisa in epoca pagana e in seguito assimilata alla figura di Cristo. La struttura delle commedie di Petruška era semplice, di immediata lettura. Il protagonista alla fine riusciva sempre a bastonare i rivali, diventando l’eroe di un mondo fatto di piccoli problemi e delusioni quotidiane. La mossa ricorrente di allargare le braccia verso il pubblico dava l’impressione agli spettatori di essere di fronte a qualcuno inchiodato sulla croce e rafforzava la profonda, radicata commistione tra tematiche popolari e l’onnipresente fede ortodossa.

La tradizione russa è fittamente popolata di santi folli, appartenenti anche alla categoria dei performer girovaghi. Beatificati e venerati per i loro miracoli erano definiti “I folli in Cristo”. La categoria si componeva di diseredati, poveri, ma anche chierici senza più rendite che diventavano vagabondi che si guadagnavano da vivere grazie alla loro cultura clericale. Le doti del santo e dell’attore si univano. La figura del folle era molto importante alla corte russa e nella critica aperta al potere, come accadeva nella corte inglese. Alcune peculiarità della pratica scenica, e di approccio al “diverso”, al “folle”, ricorrono in culture lontane nonostante i chilometri di distanza. In Russia la follia serviva a magnificare Cristo. Un esempio di buffone di corte innocente e stolto lo si trova anche nel Boris Godunov di Puškin (pubblicato per la prima volta nel 1831).

Una delle azioni più popolari, rappresentate durante i festeggiamenti per l’Avvento, era “l’Azione della Fornace” in cui tre ragazzini venivano gettati in una fornace e cantavano con voci soavi i versi della Bibbia fino all’apparizione dell’angelo salvatore. A eseguire l’infame compito erano dei Caldei che gettavano i fanciulli nella fornace, attizzavano il fuoco e li estraevano al momento del miracolo. Tale ruolo, malvisto dal popolo, era affidato a due skomorochi. Probabilmente la sacra rappresentazione derivava da una cerimonia paraliturgica bizantina. Nella realizzazione tradizionale russa l’unico elemento performativo di tutta l’azione era il canto; non veniva svolta nessuna azione scenica, non veniva impiegato nessun realismo. Gli spettatori non venivano ingannati, secondo i dettami della fede ortodossa. L’attore si faceva sacerdote e viceversa, nessuno svago o divertimento, nessun trucco veniva aggiunto agli elementi della liturgia, lo spettacolo doveva essere didattico e edificante. Si registrano testimonianze di allestimenti e l’“Azione della Fornace” fino alla metà del XVII secolo.

La Domenica delle Palme l’unica forma d’intrattenimento concessa nella penitenza generale era la “Processione dell’Asino” che ricostruiva l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Alcuni skomorochi erano impiegati per stendere drappi al passaggio del metropolita in groppa all’asino, o al cavallo travestito, che rappresentava Gesù. La parata venne abolita da Pietro il Grande.

In parallelo, a partire dalla seconda metà del XII secolo, si inserirono progressivamente nelle chiese forme di spettacolarità profana. Nell’antica Russia era usanza allietare i banchetti nuziali con canti musiche e danze. Rimase nella storia l’interpretazione organizzata dagli skomorochi per il matrimonio dello zar Michail Fëdorovič Romanov (1626). Contrariamente al genitore, lo zar Aleksej Michajlovič fu uomo di grande fede: nel 1648 emanò un editto contro l’attività giullaresca, considerata blasfema, che prevedeva la distruzione degli strumenti musicali e il libero insulto degli skomorochi. Dall’anno successivo venne impedita la lettura delle favole. Soltanto dopo il secondo matrimonio con l’inglese convertita Natalia Naryškina (1671) lo Zar diede un nuovo valore alla spettacolarità, il teatro assunse un importante ruolo educativo, venne fatta costruire una sala da commedie nella sua residenza e vennero reclutati attori stranieri. Nel 1672, per festeggiare la nascita dello zarevič Pietro I, Aleksej Michajlovič concesse la direzione del suo teatro al tedesco Johann Gottifred Gregori, che fece allestire l’Azione di Artaserse (scritto in tedesco e fatto tradurre in russo). Questa rappresentazione può considerarsi l’origine del teatro russo.

A partire dal XVII secolo, la nascita e il progressivo sviluppo dei teatri di corte e pubblici segnò in Russia la decadenza definitiva degli skomorochi.

Ormai specialista nell’accompagnare gli italiani attraverso il dedalo documentario del teatro dell’Europa dell’Est, Maria Pia Pagani ha affrontato nel presente volume una nuova incursione nelle dinamiche rappresentative che si svilupparono nella terra degli zar, accompagnando il lettore come una guida esperta attraverso le insidie di una cultura lontana. Dall’effimera e fugace spettacolarità degli skomorochi alla rappresentazione di temi agiografici connessi al cerimoniale ortodosso, passando attraverso l’incursione della Commedia dell’Arte, si arriva a sfiorare l’operato di Stanislavski. Tutte queste forme spettacolari sono ancora rintracciabili nei gusti della popolazione russa del XXI secolo.


di Alice Pieroni


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