Forse la principale vexata
quaestio allinterno del dibattito cinematografico italiano
è quella relativa al cosiddetto periodo neorealista, capace di coinvolgere
alcune tra le figure di maggior rilievo in ambito culturale, artistico e
storico. Claudio
Milanini,
già docente nelle Università di Udine e di Milano, ha raccolto in questo ricco volume
una serie di contributi da parte di critici, artisti e professionisti del
settore, ma anche di rappresentanti di gruppi redazionali di riviste. Lintento
è quello di offrire al lettore una vasta gamma di interpretazioni e
considerazioni da più punti di vista e a diverse altezze cronologiche, mettendo
a fuoco tutta una serie di complesse relazioni e incrinature tra società e
protagonisti della scena intellettuale italiana novecentesca.NellIntroduzione
Milanini parte proprio dalla «inadeguatezza del termine neorealismo a
designare le esperienze artistiche attraverso cui si espresse […] il desiderio
comune a molti intellettuali di contribuire alla formazione di una nuova
coscienza collettiva» (p. 11). Altra questione sollevata dallo studioso è
quella che investe il neorealismo nelle sue varie declinazioni: dal
lungometraggio alla pittura e dalla letteratura al documentario. Proprio con la
questione pittorica si apre la sezione Prodromi, con un contributo
del 1942 di Renato Guttuso seguito da un profetico coevo articolo di Carlo
Lizzani in cui si osserva come il pubblico fosse alla ricerca di «quanto il
cinema italiano si ostina a non offrirgli: unimmagine sincera di vita» (p.
30).
Con La
stagione dellimpegno il volume vira su altri interventi, vere e proprie
“chiamate alle armi” alla vigilia della Liberazione, da parte di autori come Cesare
Pavese, Elio Vittorini e Vittorio De Sica il quale, a
proposito di Ladri di biciclette (1948), dichiara di aver voluto «rintracciare
il drammatico nelle situazioni quotidiane, il meraviglioso nella piccola
cronaca» (p. 61). Nelle sezioni Primi bilanci interni e Sviluppi e
crisi sono raccolte considerazioni e riflessioni dellimmediato Secondo
dopoguerra sulle produzioni letterarie – con scritti di Italo Calvino, Carlo
Emilio Gadda e Carlo Levi – e cinematografiche, grazie ai contributi
di Giuseppe De Santis, Roberto Rossellini e Cesare Zavattini. Questultimo, ne Il neorealismo
secondo me, sua illuminante relazione presentata a un convegno nel 1953,
sottintende la natura trainante del movimento ed esorta il lettore-spettatore a
non credere «che tutto questo laboratorio non serva anche alle altre forme di
cinema» (p. 171), in riferimento a tutti i successivi autori non neorealisti.
In Autocritiche
e polemiche postume Carlo Bernari e Vasco Pratolini nel 1957,
a neorealismo “terminato”, pubblicano su «Tempo presente» le loro risposte alle
(identiche) domande del poeta e giornalista Franco Matacotta,
focalizzando lattenzione sui rapporti tra realismo, politica (in particolare
lideologia marxista) ed eventi socioculturali degli anni Cinquanta. Pratolini
arriva ad affermare che lautobiografismo del dopoguerra è il documento di una
mutazione di situazioni in un processo sociale definito che «confluisce
nellesperienza del realismo» (p. 210). Carlo Cassola, nel 1958, pubblica
su «Comunità»
Ideologia o poesia?, un perentorio articolo sulla catalogazione
letteraria in cui dichiara: «i giudizi che sono stati via via dati sui vari
indirizzi letterari (neorealismo, letteratura impegnata, letteratura della Resistenza,
ecc.), nonché sulle opere e sugli autori considerati di maggior rilievo, mi
trovano generalmente in disaccordo» (p. 214). Segue unintervista del 1960 rilasciata
da Luchino Visconti a Tommaso Chieretti, con unarguta
riflessione sulla concezione del “realismo” e sulle sorti del movimento oggetto
del presente volume. Il grande regista milanese sostiene che ritornare ai
contenuti sensibili del periodo neorealista è una sorta di ripiego, di
pigrizia, e aggiunge che «non si deve nascondere dietro la realtà di ieri la
scarsa aggressività verso la realtà di oggi» (p. 220). Chiude la raccolta In
morte del Realismo, contributo in versi di feroce violenza letteraria a
opera di Pier Paolo Pasolini, tratto da La religione del mio tempo
(1961). Il punto di forza di questa raccolta è sicuramente
rappresentato dalla diversità, dallincontro-scontro di opinioni, riflessioni e
polemiche multiculturali di origini e periodi diversi, capaci di garantire al
lettore un panorama vasto e poliedrico. Tutto ciò consente allo studioso e a un
pubblico di non specialisti di approfondire le svariate sfaccettature del
dibattito e su questa base di farsi una propria idea sviluppando un pensiero
autonomo.
di Giuseppe Mattia
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