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Armando Petrini

Fuori dai cardini. Il teatro italiano negli anni del primo conflitto mondiale


Torino, UTET Universitaria, 2020, 155 pp., euro 19,00
ISBN 978-88-6008-629-7

Risultato di un lavoro di ricerca avviato nel 2014 in occasione del centenario dello scoppio del primo conflitto mondiale, il volume di Armando Petrini illustra le profonde trasformazioni del teatro italiano negli anni terribili e sconvolgenti della Grande guerra, con una particolare attenzione al periodo immediatamente precedente. L’assunto di partenza è infatti quello che «non si insisterà mai abbastanza sulla continuità tra Otto e Novecento» (p. VII). Così, nei Preliminari, l’autore si interroga su quando inizia il Novecento teatrale italiano e, nel riannodare i fili che legano i due secoli, mette in luce le spinte antitetiche e dialettiche che caratterizzano un’epoca che, pur nei decisivi tratti di continuità, è segnata da inquietudini e rotture.

Sentimenti che si percepiscono con precisione proprio nel secondo decennio del XIX secolo. Basti pensare alle cosiddette “commedie cerebrali” di Pirandello, composte tra il 1915 e il 1918; ai due manifesti del Teatro di varietà e del Teatro futurista sintetico, che Marinetti redige tra il 1913 e il 1915; o alle coeve “parodie” petroliniane, a cominciare da Nerone e Il bel’Arturo. Ma aldilà dei singoli e pur significativi episodi, in questo frangente si manifestano alcuni macrofenomeni decisivi per la storia del teatro successivo, come l’indebolirsi della figura del Grande attore e l’affermarsi dei processi di industrializzazione dello spettacolo. E mentre prende la parola una nuova generazione di critici del calibro di Antonio Gramsci, Piero Gobetti e Silvio d’Amico – che si rivela determinante nel formare il gusto degli spettatori –, si instaura una inedita relazione tra teatro e cinema con reciproche, rilevanti influenze sul piano recitativo.

A queste Questioni generali è dedicata la prima parte del libro, in cui si approfondiscono sia gli aspetti organizzativi che segnarono il teatro italiano negli anni del conflitto, sia le concrete ricadute della temperie bellica sulle vicende dello spettacolo. Anche in teatro, infatti, come in ogni altro frangente della vita, le scosse brutali della guerra si percepirono con precisione. Certo nell’inevitabile calo di pubblico, nella riduzione degli incassi, nella temporanea chiusura delle sale, ma soprattutto in quegli aspetti forse a prima vista meno evidenti. Penso all’elevato numero dei chiamati al fronte tra gli attori, che mise a rischio l’esistenza stessa delle compagnie, soprattutto nel caso di formazioni minori. Ma anche ai provvedimenti del Governo di guerra, dalle limitazioni imposte ai trasporti ferroviari al decreto per l’economia della carta dell’aprile 1917, che contribuirono a rendere più disagevole la vita delle troupes.

Petrini prende in considerazione anche alcuni episodi del “teatro al fronte”, a partire dal cosiddetto Teatro del soldato. Ideato dal Comando Supremo dell’Esercito e sostenuto dalla Società degli Autori, l’iniziativa riesce, anche grazie all’apporto di Renato Simoni e Nino Oxilia, a promuovere alcune recite nelle zone di guerra. A questo scopo il Genio militare costruisce in diverse località sul Carso teatri in legno della capienza di duemila posti ciascuno. Per un mese e mezzo si alternano su quei palcoscenici alcuni fra gli attori italiani più conosciuti: Ermete Novelli, Tina di Lorenzo, Ermete Zacconi, Ruggero Ruggeri, Leopoldo Fregoli, Alfredo de Sanctis, ma l’iniziativa si rivela fallimentare. Dopo poche settimane gli spettacoli vengono sospesi con la motivazione “ufficiale” che i rovesci della guerra sconsigliano di portare avanti il progetto. Dai periodici del tempo si capisce che in realtà i sentimenti dei soldati erano mossi più al «desiderio del ritorno a casa che alla “poesia” del nostro teatro» (p. 21).

Il vero cuore del volume è la seconda sezione, che si concentra, secondo diverse prospettive, sui percorsi di cinque fra i protagonisti della scena italiana negli anni del conflitto: Zacconi, Ruggeri, Emma Grammatica, Febo Mari ed Ettore Petrolini. Sono gli attori, infatti, che «instaurano sempre con il momento storico in cui vivono un rapporto particolare»: «interrogarne l’arte significa perciò leggere con un filtro particolare, e particolarmente potente, il frangente in cui è stata espressa, di cui è insieme testimonianza e alimento, cartina al tornasole e pungolo» (pp. XXI-XXII). In altre parole: è solo attraverso una riflessione sui loro stili e sulle loro scelte recitative che emergono sia i sentimenti del tempo, sia i nodi che segnarono la cultura, non solo teatrale, del primo Novecento.



di Lorena Vallieri


Copertina

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