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Raymond Queneau

Monsieur Phosphore

A cura di Jean-Marie Queneau
Dessins de Jean-Marie Queneau

Saint Clément, Fata Morgana, 2021, 64 pp., euro 14,00
ISBN 978-2-37792-076-1

Esce, a cura del figlio Jean-Marie, una pièce incompiuta del 1940 di Raymond Queneau: contributo alla conoscenza d’un aspetto meno conosciuto dell’autore francese, celebre per narrativa, poesia e speculazione su ogni genere di linguaggio espressivo, ma pressoché ignorato quale drammaturgo e appassionato dello spettacolo. L’opera drammatica dell’inventore dell’OULIPO, del narratore di Le Chiendent (1933), Saint-Glinglin (1948), Zazie dans le métro (1959) e del poeta di Petite cosmogonie portative (1950) e Morale élémentaire (1975) è ben minima e appartata, compresa l’unica pièce edita finora, En passant, del 1944. 

Lo scrittore dallo spirito scientifico enciclopedico, dallo sguardo malizioso e affilato nel valutare ogni comportamento comunicativo, verbale e gestuale, ha sperimentato senza sosta le funzioni espressive del linguaggio nei generi più disparati. Una teatralità evidente lascia tracce di dialogo e didascalie nei romanzi e nelle poesie e compare nelle prove di scrittura per la scena, al principio mimate sugli esempi che, sorti dalla mitologia classica, giungono al teatro borghese, via il grottesco, il vaudeville e l’assurdo di modello jarryiano. Pure l’esercizio di stile surrealista vi si trova, in tangenza rispetto all’opera di Achard, Cocteau e Salacrou. Un inedito rimasto in archivio è la commedia in cinque quadri, Saint-Siméon (1947), pièce fra simbolismo e giallo carica di suspense, in cui l’inseguimento del gatto (Saint-Siméon) eletto a vittima sacrificale distoglie dal gioco (finto, ma serio) dell’amore.      

Monsieur Phosphore è un divertissement drammatico allegorico, non totalmente svolto e concluso, in cui agiscono quattro angeli (Anges de Lumière, poi decaduti) e tre arcangeli – Gabriel, Raphaël e Michaël – in un arco temporale immaginario dalla Creazione alla storia più recente. A indagare nel pensiero dell’autore, in quegli anni prossimi alla guerra, si rileva la costante d’una ricerca filosofica e “metafisica”, mista alla meditazione, sull’eredità biblica diffusa nella cultura europea. Queneau affronta allora la dicotomia fra razionalità (occidentale) e intelletto (orientale, declinato in senso cosmico e psicologico), frutto anche della lettura dell’opera di René Guénon, alla “tradizione” improntata.   

Il tema infernale – già affiorato in un appunto infantile e magari echeggiato da La fin de Satan di Victor Hugo – si precisa nella premessa in cui gli angeli, informati della creazione dell’uomo, reagiscono con un moto d’orgoglio invidioso: «En rival du créateur, une trinité angélique et maudite (Lucifer, le Diable et Satan), figure unique composée de trois personnages, se voit assistée de l’énigmatique Monsieur Phosphore, en retrait, porteur de lumière, voué à l’humanitè et à la réflexion» (p. 8). Nell’atto I, i quattro giocano a carte o piuttosto interpretano, quasi tarocchi primordiali, mazzi di carte di materia grezza, specie di pesanti lastre scistose che «en fait se composent de lames» (p. 15). Ignari ancora della nozione di “male”, estraggono figure delle quali discutono il misterioso significato, senza tuttavia individuare origine e natura della realtà che di lì a poco verrà manifestata. Le carte così consultate, nei mazzi che vengono lanciati e risucchiati nel vuoto universo, si dissolvono, mentre il pensiero dell’Inferno si concreta. Gabriel interviene ad annunciare la Creazione e Raphaël la dichiara finita con la nascita dell’uomo. La natura di quello strano essere nuovo, suggerita dall’arcangelo, scatena dubbi e sconcerto nei diavoli che ritengono blasfema quest’ultima creatura.  

«LUCIFER – Parle donc, Raphaël, et dis nous: qu’est-ce que l’homme ? / RAPHAËL – Un résumé de l’univers. / SATAN – Sublime merveille. / LE DIABLE – Mais quel aspect ? / RAPHAËL – D’aucun animal, quoique animal lui-même. / M. PHOSPHORE – Une bête ? / RAPHAËL – Douée de raison et dont l’âme est immortelle. / LUCIFER – Blasphème!» (p. 31). 

Percorsa da perplessità e ironia, quell’idea in apparenza consona alla rivelazione biblica ortodossa procede a contestare, con amarezza e pudore, l’essenza della verità e delle sue rappresentazioni. L’entrata di Michaël avviene in piena discussione su una natura umana che appare un’offesa a Dio. Ma l’ordine supremo impone di riconoscere l’Uomo quale gloria di Dio. «Supérieur alors à l’ange… ainsi honoré, un résumé de l’Univers, par-dessus le marché. Un microcosme. Doué de raison… D’une âme immortelle» (p. 36), farfugliano confusi i poveri Diavoli. Di fronte ai connotati inaccettabili per il loro zelo integralista (diremmo noi), tutti solidali rifiutano di sottomettersi. 

L’atto II evoca la dannazione degli angeli, colti nel momento di precipitare e durante la caduta, nella quale traggono dalle “carte” precedenti responsi ed eventi proiettati nella storia futura dell’umanità, suffragabili da ragioni attinte alla teologia cattolica. L’azione si chiude sull’invenzione organizzata della funzione, ormai indispensabile, dell’Inferno, luogo della punizione a base di fuoco eterno. In tutta la vicenda, il ruolo di Phosphore è quello dal carattere più umano. Peccato che i diversi sviluppi ipotizzati non siano sfociati in un finale coerente, affidato com’è soltanto agli appunti manoscritti del progetto, chiuso da una sintesi genericamente ottimistica: «Le Monde est Bon / Nous collaborons au Plan Divin / même les enfants Martyrs / L’enormité du Mal / Mais aussi son impuissance puisque Dieu peu tout pardonner» (p. 59). O forse, conscio e sazio d’avere piuttosto un po’ scherzato, il patafisico incallito rinunciava a completare e pubblicare per non offrire ai posteri un ritratto di sé oltremodo antipatico e serioso.


di Gianni Poli


La copertina

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