Figlia
darte e sorella maggiore di Eduardo e
Peppino, Titina De Filippo (1898-1963) è stata una delle grandi protagoniste
del Novecento teatrale italiano e, in particolare, della fase iniziale del
secolo, cruciale per la definizione di una nuova figura attoriale in bilico tra
il perdurare della tradizione ottocentesca e il lento affermarsi della novità
registica. Il volume che Simona Scattina
le dedica, recentemente edito da Cue Press, ne delinea un vivido ritratto, strutturato
per nuclei tematici. Grazie allaccurato scavo nel Fondo Carloni, Titina acquisisce
finalmente uno spessore autonomo rispetto ai fratelli: ne viene fuori unartista
a tutto tondo, instancabilmente dedita a teatro, varietà, cinema e televisione,
alla ricerca di una propria indipendenza espressiva, tanto da essere anche
pittrice e autrice di collage. Se ne indaga
il vasto repertorio ben oltre i noti personaggi eduardiani e la carriera
puramente teatrale: «Titina è anello di quella catena di attrici del Novecento
che non rinunciano ai loro bisogni darte e dindipendenza pur accettando la
direzione di un regista e che, votate alle metamorfosi, vivono esperienze
teatrali e cinematografiche. Attrici consapevoli del ruolo difficile assunto
nel momento in cui hanno deciso di tradurre scenicamente il presente
preoccupandosi di rendere le loro “personagge” creature di vita» (p. 13).
Il
volume si apre con una ricostruzione del contesto culturale entro il quale si collocano gli
esordi dellattrice, che per la prima volta calca le tavole del palcoscenico
alletà di sette anni, interpretando en
travesti la parte di Peppeniello nella commedia Miseria e
nobiltà di Scarpetta (personaggio
che costituì, negli anni successivi, un banco di prova anche per i due fratelli).
Successivamente la troviamo nel ruolo di prima attrice nella “Compagnia darte
napoletana”, poi “Città di Napoli”, diretta da Francesco Corbinci finché il legame con i fratelli Eduardo e
Peppino sfocia nella formazione del “Teatro Umoristico”. Scattina intreccia
sapientemente il racconto della carriera di Titina con quello dei disagi della
vita di attrice e le note difficoltà nel rapporto con i fratelli, che portarono
a ripetute separazioni.
Una
sezione del volume (Le donne di Titina)
è poi dedicata ai principali ruoli femminili: gli inizi come sciantosa, il complesso
personaggio di Donna Amalia di Napoli
Milionaria e, ormai al culmine del successo, linterpretazione di Filumena Marturano. La varietà dei
registri attorici, drammatici e leggeri, denota la versatilità di una donna che
è riuscita a incarnare, a prescindere dalletà anagrafica, il ruolo di figlia,
moglie e madre, raccogliendo sempre ampi consensi di pubblico e critica. È poi affrontato
il rapporto di Titina con il cinema («Lo
schermo mi ha presentato Titina De Filippo»). Il legame con la settima
arte, che qui trova – forse per la prima volta – una sistemazione critica, non
è certo esperienza marginale per lattrice: dal 1937 fino al 1959 appare in
molti film e scrive tre sceneggiature. Immancabile la riflessione su Titina
autrice (La “voce” dei testi): a sua
firma si registrano diciannove commedie, tre soggetti cinematografici e,
inoltre, discorsi politici, poesie, lettere. Scrisse anche unautobiografia,
mai pubblicata per suo volere, che avrebbe dovuto intitolarsi Io, una dei tre. Nella successiva sezione
(Trame dautrice) si raccolgono delle
brevi schede descrittive dei copioni scritti da Titina, nonché si fa il punto sui
testi andati perduti. Infine, il ricco apparato di immagini e appunti
autobiografici seleziona materiali relativi allintero arco della carriera
della De Filippo, facendo luce sui periodi meno noti del suo percorso artistico.
Attraverso
lesperienza di vita e di scena di Titina il saggio propone una riflessione più
ampia sullimportante ruolo delle attrici nei meccanismi teatrali
novecenteschi, sulla necessità espressiva dellauto-narrazione e sulla
complessità dellessere una donna di spettacolo, riuscendo nellintento di «coniugare
il teatro con lo sguardo femminile che troppo spesso è stato tenuto ai margini
negli studi di settore e nella memoria teatrale» (p. 8).
di Antonia Liberto
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