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Il corpo pensato. Teorie della danza nel Novecento


Roma, Dino Audino, 2020, 144 pp., euro 18,00
ISBN 978-88-7527-463-4

La storica dello spettacolo Elena Randi, già nota per gli studi sul teatro romantico, ha più recentemente saggiato le problematiche della danza moderna e contemporanea. Affronta ora le teorie coreutiche che attraversano il Novecento, cosciente dell’arduo problema di distinguere fra teoria e pratica: due categorie storicamente intrecciate e confuse. Nello sviluppo recente di quest’arte antica, il pensiero dei creatori si presenta trasfuso nelle opere, alle quali – più spesso che non agli scritti e alla riflessione sistematica – vengono affidati idee e scopi espressivi. Citando maestri fondatori e novatori, Randi rileva infatti la varietà delle formulazioni concettuali e il normale inevitabile passaggio dalle idee al progetto operativo: «La poetica di questi artisti è spesso ricavabile da loro pagine non esplicitamente speculative. […] Anche se usati con moderazione, gli eventi scenici non possono essere esclusi a priori da una monografia intesa a occuparsi di concezioni della danza» (p. 10). Uno spettacolo può essere quindi un manifesto di estetica, se pure “travestito”. E nota ancora: «Ciò non significa che la prassi di un coreografo sia sempre l’applicazione coerente del suo pensiero».  

La vicenda estetica e rappresentativa, spesso interferente con il metodo pedagogico che la promuove, è ripercorsa e analizzata nei tre aspetti del Linguaggio, del Processo creativo e dell’Oggetto rappresentato. Così la studiosa delinea e storicizza le teorie, individuandole nei loro autori e nel momento dell’intuizione e della formulazione relative agli eventi genetici del fenomeno. La triplice classificazione dovrebbe favorire la completezza dell’indagine, oltre che l’approfondimento delle molteplici situazioni particolari. Così, «parlando di linguaggio, ci riferiamo all’idioma che è considerato specifico della danza da un determinato artista. Nella maggioranza dei casi […] si tratta della dinamica della macchina anatomica umana» (p. 11). Quindi per l’interazione di teoria e tecnica, la concezione e l’uso del corpo determinano differenze di significati, a seconda che prevalga la partenza da un movimento organico e naturale o da un movimento artificiale e codificato e sebbene l’opera risultante possa comprendere entrambe le dimensioni organizzate dall’artista.

Il capitolo Linguaggio riflette soprattutto sulla linea innovativa e alternativa, rispetto alla tradizione corrente. «Trouver une langue» è il movente principale rispetto a visioni sempre in bilico fra natura e artificio, per un’espressione autentica dell’esistenza. La tecnica vi appare determinante nel raggiungimento dello scopo artistico (p. 13). Fra i protagonisti della ricerca e dei suoi esiti, si incontrano nomi, rappresentativi di esperienze e “scuole”, più o meno noti e famosi quali Anna Halprin, Vaclav Nižinskij, Loïe Fuller, Rudolf Laban, Isadora Duncan, Erick Hawkins, George Balanchine, Martha Graham, Maurice Béjart, William Forsythe e molti altri. Ciascuno concepisce, elabora, crea – o criticamente interviene – secondo sensibilità e peculiarità proprie. Appare costante il rapporto problematico fra uomo e natura, presupposto a una riforma quale “ritorno alle origini”. Fra quanti si sono posti obiettivi e forme ideali, si mostra ad esempio come Merce Cunningham trovi «illusorio pensare che siamo mai stati e possiamo diventare integri e armoniosi sotto il profilo fisico e psichico […]. Tanto vale prendere atto della realtà e incamminarsi verso un’iperarticolazione del corpo, verso una mirabolante padronanza dell’apparato anatomico» (p. 41). D’altro canto, con una sorta di ascesi mistica, Laban prospettava l’abbandono della psicologia al fine di «superarla per raggiungere il contatto con l’universale» (p. 43). In Natura e artificio compaiono le ipotesi di equivalenza fra gesto comune e danza, formulate dalla citata Anna Halprin e da Simone Forti, mentre in Artificio e corpo-macchina si accede al senso motorio delle figurazioni futuriste.

Esaminando il Processo creativo, Randi confronta diverse estetiche applicate per soffermarsi sui modi di declinare le “improvvisazioni” e gli esiti performativi del lavoro di Suzanne Perrottet, di Mary Wigman e dell’allieva Hanya Holm. Con Pina Bausch l’improvvisazione si pone quale frutto di domande e risposte, fra le quali scegliere le componenti coreografiche pregnanti; mentre sono messe in risalto le modalità dell’approccio pratico di Charles Weidman. L’avvento dei registi della/nella danza provoca, dal 1970, lo sfasamento fra danza e musica, significativo ad esempio nella collaborazione fra Merce Cunningham e John Cage. Con il rinnovamento della tradizione ad opera di Mats Ek (Premio Europa per il teatro, 2016), siamo a un sincretismo di feconda attualità. La studiosa prende poi atto della confluenza delle arti, danza compresa, nella “totalità” dello spettacolo, sempre più composito e contaminato. Un fenomeno osservato, nei campioni più significativi, quale “fusione” onnicomprensiva e in crescendo di elementi autonomi, intrecciati indissolubilmente.

Il volume offre un importante supplemento di documenti, accessibili sul sito dell’editore. Seguendo il segnale che rinvia a uno spettacolo o a un personaggio, si può fruire del collegamento con quel soggetto. Il valore strumentale, riconosciuto dalla studiosa, si verifica nell’uso facilitato dell’opera (talvolta laboriosa nei rinvii e nelle digressioni) e ne accresce l’interesse presso il lettore meno esperto. Provandolo, se ne può misurare l’utilità nell’approfondire fatti e suggestioni, altrimenti di difficile fruizione. Fra i titoli e i momenti particolarmente interessanti (per originalità o per apporto informativo) si rilevano figure fondatrici (quali Duncan o Fuller), ampiamente esemplate nella trattazione, ma anche precisazioni necessarie sulle opere e le personalità di Genevieve Stebbins, Ruth Saint Denis, Ted Shawn e Anna Halprin. Di Doris Humphrey si segue il riallestimento moderno di Water Study (1928), performance che rivela la bellezza (in assenza di un tema musicale conduttore) intrinseca delle trasformazioni essenziali tipiche dell’onda marina. Oppure si scorrono audiovisivi su Laban (tratti dagli archivi RAI) con inediti commenti sul rapporto con Kandinskij. E ancora Kinetik Molpai di Shawn (1935), azione tutta al maschile su musica di Jess Meeker. Infine, la peculiarità pedagogica della stessa Halprin emerge dalle fotografie, conferenze e rappresentazioni visivamente integrate in un filmato del 2009.


di Gianni Poli


Il corpo pensato. Teorie della danza nel Novecento

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