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Bianco e nero, a. LXXXI, n. 597, maggio-agosto 2020
Carlo Lizzani


199 pp., euro 18,00

Il numero 597 della rivista quadrimestrale a cura del Centro Sperimentale di Cinematografia è interamente dedicato a Carlo Lizzani. Il fine di questa corposa pubblicazione è quello di riscattare una figura sottovalutata restituendo, attraverso una molteplicità di contributi, le sue diverse sfaccettature e i suoi approcci professionali. Con la sua opera il cineasta del noi – così definito dal direttore Felice Laudadio nell’editoriale – attraversa e supera tutta la seconda metà del Novecento in veste di regista, sceneggiatore, critico e produttore cinematografico.

Il volume si articola in due parti: Io, Carlo Lizzani, in cui viene approfondita la sua propensione a determinate attitudini e generi cinematografici; e Noi e Lizzani, che registra una serie di testimonianze di cineasti e intellettuali entrati in contatto con lui dal punto di vista sia professionale sia personale.

Nella prima parte Giovanni Spagnoletti ripercorre l’inizio della carriera cinematografica di Lizzani, a partire dai tumultuosi anni del Secondo dopoguerra con l’apprendistato del mestiere di critico e l’esordio da regista prima nel documentario e poi nel film a soggetto. Segue la riflessione di Gian Piero Brunetta sul rapporto indissolubile tra il cineasta romano e la Storia e sulla sua intenzione di «ricomporre la trama e l’ordito culturale, politico e ideologico del tessuto della storia italiana del ’900 nella quale il cinema merita di avere un ruolo riconosciuto» (p. 16). Nella sottosezione Neorealismo e oltre Orio Caldiron indaga l’opera di Lizzani critico militante a partire dagli esordi in cui, giovanissimo, scriveva sulla rivista «Roma Fascista», passando per le firme sulle celebri «Film d’Oggi» e «Cinema». Nella sottosezione La storia Maurizio Zinni ritorna sull’imprescindibile legame tra la filmografia del cineasta e gli eventi che in un modo o nell’altro hanno segnato l’evoluzione politica, sociale ed economica del nostro paese, durante quello che lo storico Hobsbawm definì il “Secolo breve”. Si veda a tal proposito l’approfondimento di Christian Uva sulla rappresentazione degli “anni di piombo” da parte dello stesso Lizzani. Seguono specifiche analisi di testi filmici quali Il processo di Verona (1963) e Mussolini ultimo atto (1974) rispettivamente a firma di Emiliano Morreale e di Ermanno Taviani.

L’attenzione si sposta poi sui generi cinematografici di cui Lizzani si è servito per esprimere la propria poetica. Giorgio Gosetti, che lo definisce un cronista di nera con la passione della storia, tenta di analizzare la questione legata alla propensione del cineasta di prendere le mosse da fatti di cronaca nera come fonti di ispirazione per i propri film. La riflessione di Gosetti parte dagli anni della formazione di Lizzani come critico e storico grazie alle dottrine di György Lukács e di Arnold Haueser: «le istantanee fissate dai suoi film sono oggi un documento storico che fa da cerniera tra il racconto romanzato dei cronisti e l’analisi degli storici su un periodo cruciale del Paese» (p. 63). A proposito di tentativi di raccontare la Storia attraverso il cinema, Roberto Chiesi si interroga sul rapporto tra Pasolini e Lizzani, dai loro primi contrasti fino alla collaborazione per il film Il gobbo (1960). Spetta poi ad Antonio Valerio Spera il compito di valutare il ruolo della commedia nella filmografia dell’autore romano: genere utilizzato per indagare quel presente in cui Lizzani si trova a produrre e a realizzare pellicole, come ad esempio La vita agra (1964), in seguito analizzata da Enrico Menduni. Si passa poi al western con il focus di Roberto Silvestri sulla proliferazione del genere negli anni Sessanta, cui segue la riflessione di Daria Pomponio su Requiescant (1967). Spazio anche per l’importanza delle figure femminili nel cinema di Lizzani, sottolineata da Emanuela Martini e da Simona Argentieri. Infine si registra la minuziosa, puntuale disamina di Marco Rossitti sulla partecipazione del regista nei film a episodi.

La seconda parte del volume, Noi e Lizzani, comincia con una serie di testimonianze “familiari”, ma anche e soprattutto professionali, dei figli Flaminia e Francesco – quest’ultimo intervistato da Alberto Crespi – e del nipote nonché collaboratore Marcello Lizzani. Segue una carrellata di attestati da parte di cineasti, giornalisti, scrittori, cantautori e politici su molteplici peculiarità del carattere e delle opere cinematografiche di Lizzani. In conclusione sono riportate alcune interviste raccolte per il documentario Viaggio in corso nel cinema di Carlo Lizzani (2007) diretto da Francesca Del Sette, tra le quali quella al noto produttore Dino De Laurentiis: «se c’era qualcosa su cui non eravamo d’accordo, o lui convinceva me e io andavo avanti nella maniera sua, o io convincevo lui e si andava avanti nella maniera mia. Sempre nel rispetto e nella fiducia reciproci» (p. 194).

Le interviste a Dario Fo, suo attore ne Lo svitato (1956), e a Harvey Keitel – attore in Caro Gorbaciov (1988) che di Lizzani ricorda in particolar modo «l’amore per l’arte e per la vita che si rifletteva anche nel suo modo di lavorare» (p. 197) – chiudono un volume “omaggio” teso a ritrarre senza retorica un intellettuale a tutto tondo.



di Giuseppe Mattia


La copertina

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