Il numero 597 della rivista quadrimestrale a cura
del Centro Sperimentale di Cinematografia è interamente dedicato a Carlo Lizzani. Il fine di questa corposa pubblicazione è quello di riscattare una
figura sottovalutata restituendo, attraverso una molteplicità di contributi, le
sue diverse sfaccettature e i suoi approcci professionali. Con la sua opera il cineasta del noi – così definito dal direttore Felice Laudadio nelleditoriale
– attraversa e supera tutta la seconda metà del Novecento in veste di regista,
sceneggiatore, critico e produttore cinematografico.Il volume si articola in due parti: Io, Carlo Lizzani, in cui
viene approfondita la sua propensione a determinate attitudini e generi
cinematografici; e Noi e Lizzani, che registra una serie di testimonianze di cineasti e intellettuali
entrati in contatto con lui dal punto di vista sia professionale sia personale.
Nella prima parte Giovanni Spagnoletti
ripercorre linizio della carriera cinematografica di Lizzani, a partire dai
tumultuosi anni del Secondo dopoguerra con lapprendistato del mestiere di
critico e lesordio da regista prima nel documentario e poi nel film a
soggetto. Segue la riflessione di Gian Piero Brunetta sul rapporto
indissolubile tra il cineasta romano e la Storia e sulla sua intenzione di «ricomporre la
trama e lordito culturale, politico e ideologico del tessuto della storia
italiana del 900 nella quale il cinema merita di avere un ruolo riconosciuto»
(p. 16). Nella sottosezione Neorealismo e oltre Orio Caldiron
indaga lopera di Lizzani critico militante a partire dagli esordi in cui,
giovanissimo, scriveva sulla rivista «Roma Fascista», passando per le firme
sulle celebri «Film dOggi» e «Cinema». Nella sottosezione La storia Maurizio
Zinni ritorna sullimprescindibile
legame tra la filmografia del cineasta e gli eventi che in un modo o nellaltro
hanno segnato levoluzione politica, sociale ed economica del nostro paese,
durante quello che lo storico Hobsbawm definì il “Secolo breve”. Si veda a tal
proposito lapprofondimento di Christian Uva sulla rappresentazione
degli “anni di piombo” da parte dello stesso Lizzani. Seguono specifiche analisi
di testi filmici quali Il processo
di Verona (1963) e Mussolini ultimo atto (1974) rispettivamente a firma di Emiliano
Morreale e di Ermanno Taviani.
Lattenzione si sposta poi sui generi
cinematografici di cui Lizzani si è servito per esprimere la propria poetica. Giorgio
Gosetti, che lo definisce un cronista di nera con la passione della
storia, tenta di analizzare la questione legata alla propensione del
cineasta di prendere le mosse da fatti di cronaca nera come fonti di ispirazione
per i propri film. La riflessione di Gosetti parte dagli anni della formazione
di Lizzani come critico e storico grazie alle dottrine di György Lukács e di Arnold
Haueser: «le
istantanee fissate dai suoi film sono oggi un documento storico che fa da
cerniera tra il racconto romanzato dei cronisti e lanalisi degli storici su un
periodo cruciale del Paese» (p. 63). A proposito di tentativi di raccontare la
Storia attraverso il cinema, Roberto Chiesi si interroga sul rapporto tra Pasolini e Lizzani, dai loro primi
contrasti fino alla collaborazione per il film Il gobbo (1960). Spetta
poi ad Antonio Valerio Spera il compito di valutare il ruolo della
commedia nella filmografia dellautore romano: genere utilizzato per indagare
quel presente in cui Lizzani si trova a produrre e a realizzare pellicole, come
ad esempio La vita agra (1964), in seguito analizzata da Enrico Menduni.
Si passa poi al western con il focus
di Roberto Silvestri sulla proliferazione del genere negli anni
Sessanta, cui segue la riflessione di Daria Pomponio su Requiescant (1967).
Spazio anche per limportanza delle figure femminili nel cinema di Lizzani, sottolineata
da Emanuela Martini e da Simona Argentieri. Infine si registra la
minuziosa, puntuale disamina di Marco Rossitti sulla partecipazione del
regista nei film a episodi.
La seconda parte del volume, Noi e Lizzani, comincia con
una serie di testimonianze “familiari”, ma anche e soprattutto professionali,
dei figli Flaminia e Francesco – questultimo intervistato da Alberto
Crespi – e del nipote nonché collaboratore Marcello Lizzani. Segue una
carrellata di attestati da parte di cineasti, giornalisti, scrittori,
cantautori e politici su molteplici peculiarità del carattere e delle opere
cinematografiche di Lizzani. In conclusione sono riportate alcune interviste raccolte
per il documentario Viaggio in corso
nel cinema di Carlo Lizzani (2007) diretto da Francesca
Del Sette, tra le quali quella al noto produttore Dino De Laurentiis:
«se
cera qualcosa su cui non eravamo daccordo, o lui convinceva me e io andavo
avanti nella maniera sua, o io convincevo lui e si andava avanti nella maniera
mia. Sempre nel rispetto e nella fiducia reciproci» (p. 194). Le interviste a Dario Fo, suo attore ne Lo svitato (1956), e a Harvey
Keitel – attore in Caro Gorbaciov (1988) che di Lizzani ricorda in particolar modo «lamore per
larte e per la vita che si rifletteva anche nel suo modo di lavorare» (p. 197)
– chiudono un volume “omaggio” teso a ritrarre senza retorica un intellettuale
a tutto tondo.
di Giuseppe Mattia
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