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Bertrand Denzler e Jean-Luc Guionnet

The practice of musical improvisation. Dialogues with Contemporary Musical Improvisers


Bloomsbury, United States of America, 2020, 213 pp., $ 120,00
ISBN 9781501349768

L’improvvisazione “libera”, “assoluta”, “non idiomatica”, “elettroacustica” o “minimale” – ovvero l’insieme delle pratiche che in tempo reale permettono il massimo grado di intervento creativo da parte del musicista – è oggetto di studio difficile da definire, descrivere ed esaurire con completezza e, forse, anche con soddisfazione. Negli ultimi tempi assistiamo a una riscoperta della forza di queste pratiche, specialmente in senso performativo, curiosamente applicate al campo della pedagogia e della formazione. Non di rado si sensibilizza all’esperienza dell’improvvisazione per sensibilizzare alla creatività, alla relazione o, addirittura, per favorire il lavoro sulle capacità di problem solving. Intuiamo subito la portata di questo specifico campo di studi che, per vocazione, trascende l’ambito musicale in senso stretto.

Certamente molto interessante e frequentata, l’improvvisazione musicale non riesce però a venire a capo di alcuni problemi epistemologici cruciali – specialmente dal punto di vista tassonomico e nomotetico – poiché essa dovrebbe prescindere anzitutto dalla ricerca stilistica su linguaggi specifici (jazz, rock, pop, ad esempio), che sono codificati nel tempo e hanno iter di apprendimento ben definiti. La free improvised music – soggetto difficile da studiare sul piano teoretico – si differenzia quindi nelle sensibilità di ciascun soggetto che la pratica, tanto da renderla difficilmente etichettabile e pertanto riconducibile a terminologie univoche che possano identificare con esattezza prassi operative comuni.

Bertrand Denzler e Jean-Luc Guionnet provano a superare tale impasse spostando l’equilibrio dell’indagine dal piano della teoresi a quello dell’etnografia: attraverso il mezzo dell’intervista diretta i due studiosi hanno raccolto – tra il 2003 e il 2011 – cinquanta testimonianze di musicisti che, pur apparentemente non condividendo nulla sul piano dello stile musicale, sono qui raggruppati sulla base della costante attività di ricerca sui linguaggi improvvisativi. Il valore aggiunto di questo lavoro consiste nel fatto che gli autori sono due insiders – compositori e improvvisatori in piena attività – ben coscienti delle problematiche complesse della materia affrontata. Dall’interno riescono bene nell’intento di organizzare tematicamente le diverse interviste con un’attenzione particolare alla sfumatura degli argomenti trattati (operazione non banale e davvero preziosa per un lettore esigente).

Tale approccio potrebbe condurre la memoria a Thinking in Jazz. The Infinite Art of Improvisation di Paul Berliner (Chicago-London, University of Chicago, 1994), opera che raccoglieva testimonianze dirette sulla pratica e l’apprendimento dell’improvvisazione di matrice jazzistica. Diversamente però dal contesto stilistico molto definito a cui si rivolgeva l’indagine di Berliner, qui la dimensione d’appartenenza a un ambito stilistico preciso viene sublimata a favore di testimonianze eterogenee, in grado di andare oltre la descrizione della prassi audiotattile estemporizzativa preminente nel jazz. Il risultato è un grande, cesellato affresco di voci provenienti da alcuni dei più importanti musicisti-improvvisatori contemporanei, affidate alla prosa tramite un flusso di coscienza collettivo organizzato.

Nel capitolo conclusivo (Diagrams), davvero molto apprezzabile, si schematizzano in veste grafica alcuni dei concetti emersi dall’indagine sul campo. Una sintesi esemplare che riconduce all’essenziale, senza banalizzarlo, il pensiero di ciascun intervistato, e lo pone in rapporto dialettico con quello di tutti i soggetti chiamati in causa. Anche la scrittura, piana e dialogica, si presta a più livelli di lettura, soddisfacendo sia la curiosità del semplice appassionato, sia gli interrogativi degli specialisti. Così nel capitolo Non-idiomatic improvisation, experimental music, genre labels (una delle parti a nostro avviso più riuscite della pubblicazione), gli autori non sembrano mai strumentalizzare le diverse testimonianze per costruire conclusioni perentorie, né fanno convergere i singoli punti di vista in un’unica, monolitica versione; al contrario, favoriscono una apertura dialettica per stimolare nel lettore la riflessione.

In definitiva il volume pubblicato da Bloomsbury – casa editrice che si conferma una garanzia per le tematiche musicali d’avanguardia – risulta prezioso per chiunque sia in cerca di stimoli di indagine sulle pratiche di improvvisazione e le ricerche estetiche a esse connesse. Seppur viviamo in un mondo dominato dalla infodemia, si fa sempre molta fatica a reperire notizie e testimonianze aggiornate su esperienze di improvvisazione musicale: la ricerca è sostanzialmente ferma agli ultimi decenni del secolo scorso, quando alle pratiche improvvisative veniva riconosciuta una autonomia – estetica e artistica – dagli altri linguaggi codificati. Nell’ultima decade, nemmeno i più esperti sembrano in grado di intuire ciò che oggi l’improvvisazione significhi, rappresenti e, soprattutto, il suo portato sul piano sociale.

Denzler e Guionnet riescono in una operazione lungimirante: far capire che l’improvvisazione musicale vive nel contatto con la differenza e la molteplicità e al tempo stesso far emergere che, soprattutto oggi, c’è un disperato bisogno di luoghi, anche virtuali, di incontro e di “rete”, evitando imposizioni di astrazioni teoriche destinate a rimanere, pur sempre, parziali.


di Ludovico Peroni


La copertina

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