Il volume di Giovanni De Zorzi, professore di
Etnomusicologia presso lUniversità Ca Foscari di Venezia e apprezzato
suonatore di ney (tipo di flauto mediorientale), si pone un obiettivo
ambizioso: dar conto di tradizioni musicali dalla portata vastissima, in senso
geografico e storico, adottando una visione a un tempo panoramica e
microscopica. Se lo scopo principale è quello di guidare il lettore in una
serie di percorsi che della dimensione del viaggio vogliono mantenere il
fascino, ciò non implica che si rinunci a una ricostruzione minuziosa – saldamente ancorata alle vicissitudini storiche – delle pratiche
e delle teorie musicali che vanno sotto il nome di maqām: una vera e propria koinè, che unisce
tradizioni diffuse dallAndalusia alla Cina occidentale, consolidatesi nella
trattatistica del XIV secolo, ma con radici molto più lontane nel tempo.Con il termine maqām
si individua dunque un sistema
modale tipico di un insieme di musiche darte accomunate da forme, generi,
strumenti, denominazioni e teorie; viceversa le singole tradizioni locali
presentano caratteristiche uniche che
le differenziano tra loro anche in modo netto. Se luniformità rispecchia un
retroterra culturale condiviso, di matrice arabo-islamica, le distinzioni derivano
da una molteplicità di fattori, tra cui influssi culturali e musicali, vicende
politiche, orizzonti religiosi e sociologici peculiari.
Il volume è strutturato in
forma di suite, come le espressioni tipiche del maqām: dopo un preludio (capitolo
I) in cui si forniscono le coordinate principali per la “navigazione”, si
registra una serie di capitoli tematici, un interludio e alcune modulazioni che prendono in esame sistemi musicali
“imparentati” con il maqām (come il mugam azero e alcuni generi della musica classica
afghana). Nel capitolo II si mettono a fuoco molteplici significati di questo
stesso termine (“luogo” fisico, ma anche inteso come “posizione strumentale”, e
ancora “forma ciclica”, cui si aggiungono i significati spirituali
riscontrabili nella tradizione sufi). Si dà poi conto dei tratti
basilari del sistema (modalità, microtonalità, monofonia, eterofonia, ciclicità
ritmica e formale) e dei contesti performativi e sociali: quelle del maqām sono «musiche darte suonate da professionisti e
nobili dilettanti presso le principali corti dellarea, nelle dimore di
aristocratici musicofili e nei centri dei dervisci» (p. 24), sviluppatesi attraverso
la sintesi di elementi di tradizioni precedenti (greco-ellenistica, bizantina e
sassanide).
Il terzo capitolo è dedicato a
una dettagliata esplorazione della trattatistica sul sistema musicale del maqām, a partire dalle fonti preislamiche (in cui emerge
il concetto fondamentale di ghinā, “canto”,
ma spesso anche “musica” tout court). La trattazione
è organizzata per fasi cronologiche coincidenti con le successioni dinastiche
del mondo arabo, legate allemergere progressivo di importanti capitali
culturali: Damasco, Baghdad, Cordoba, Granada, Herat, Tabriz, Costantinopoli,
Bukhara, Samarcanda, le sei “città oasi” che costeggiano il deserto del
Taklamakan, infine il Cairo. Di grande interesse sono, nei due
capitoli successivi (IV e V), gli affondi sui rapporti tra musica e Islam: dalla
posizione giuridica delle espressioni musicali nel contesto religioso alle prassi
della cantillazione coranica e delladhān (“appello
alla preghiera”), fino allesplorazione delle pratiche sonore tipiche del sufismo. Nate nellalveo di questa corrente
ascetico-esoterica dellIslam, alcune forme coreutico-musicali hanno avuto
anche un grande successo turistico e mediatico, come gli spettacolari repertori
dei cosiddetti “dervisci rotanti” in area ottomano-turca.
Il corpo centrale della
pubblicazione è costituito dai capitoli VI, VII, VIII e X dedicati ai quattro
grandi blocchi geo-culturali in cui fiorisce tale sistema musicale: il mondo di
lingua araba, larea persiano-iraniana, quella ottomano-turca e quella
centroasiatica. Di ognuno di queste macro-aree si traccia la storia, con
particolare enfasi sul periodo che segue la conquista islamica cui la
diffusione del maqām è legata; nonché
si descrivono le caratteristiche accomunanti, alcuni musicisti di rilievo, i
principali generi e repertori locali destinati a mutare nel tempo. Questa parte
centrale è cadenzata da un interludio (capitolo
IX) sui rapporti tra Occidente e Oriente: se delle mode
“orientaliste” diffuse in Europa il lettore è probabilmente consapevole (dalle
porcellane rinascimentali alle “turcherie musicali” del Settecento, su cui ci
si sofferma a lungo), meno note sono le vicende della musica occidentale alla
corte ottomana, con la diffusione dei teatri dopera e lintroduzione della
notazione e dei sistemi didattici europei (una figura cardine di questi processi
fu Giuseppe Donizetti, fratello del noto compositore).
Nellultima parte del volume (capitolo XI) sono
minuziosamente descritti gli strumenti musicali del maqām, suddivisi per
famiglie organologiche: quelli “storici”, dismessi di fronte a esigenze
rinnovate e oggi ricostruiti dai liutai per esecuzioni di intento filologico;
quelli tradizionali ancora in uso (tra i più noti, i liuti ‘ūd e tanbūr); infine quelli recenti come gli
elettrofoni, che insieme allamplificazione vocale e alluso del riverbero
hanno profondamente cambiato lestetica sonora del maqām. In conclusione, si
riassumono le dimensioni estetiche in gioco (capitolo XII), che insistono
anzitutto sul concetto di ciclo, presente a tutti i livelli: dalla teoria alla struttura
della performance musicale, dalla relazione con le sfere celesti alle diffuse pratiche
di terapia musicale. A ciò pure si collega la particolare concezione dellamore
che informa i testi poetici del maqām, incentrata sulla dimensione della
nostalgia e sulla sovrapposizione tra sentimento terreno e divino, cui tanto
deve lestetica provenzale e stilnovista.
Chiudono la pubblicazione una ricca
discografia, che permette al lettore di comprendere appieno e avere un
riscontro pratico di ciò che viene trattato, e una affascinante galleria di
immagini, che raccoglie fonti iconografiche antiche e fotografie di suonatori storici
e attuali provenienti dalle quattro macro-aree.
di Giulia Sarno
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