Il pregevole volume, catalogo della mostra
dedicata a
Isadora Duncan nella
suggestiva cornice di Villa Bardini a Firenze, oltre che raccogliere le opere e
i materiali esibiti nell'esposizione si presenta come un'importante raccolta di
riflessioni che inquadrano la danzatrice americana nel contesto
storico-culturale in cui visse. Attraverso una serie di saggi abilmente
focalizzati su specifiche questioni, si ripercorre non soltanto la biografia
personale e artistica della Duncan ma, soprattutto, le vediamo finalmente
restituito quel ruolo fondamentale, spesso dimenticato a favore degli aneddoti
ormai consegnati al leggendario, che la sua arte e la sua rivoluzione coreutica
apportarono non solo nella codificazione della danza libera di delsartiana
ispirazione ma anche nella riflessione artistica più ampia delle Avanguardie
del periodo, in un dialogo perfettamente integrato e omogeneo.
Il volume si presenta diviso in due sezioni nella
prima delle quali si raccoglie una serie di saggi tesi a inquadrare determinati
fulcri tematici. La seconda sezione rappresenta il catalogo vero e proprio con la
descrizione dettagliata delle opere esposte, anch'esse raggruppate per
tematiche a ricalcare fedelmente la ratio della mostra articolata nelle
stanze della villa (fra cui: Isadora
Duncan e lo studio del mondo classico; L'esperienza
fra Londra, Parigi e Berlino; L'incontro
con gli artisti italiani; L'esperienza
coreutica in Italia, 1902-1915; Le
danzatrici libere in Italia; Da
Berlino a Firenze, il rapporto con Eleonora Duse e la collaborazione
dell'attrice con Craig). Quello che ne esce è un quadro della Duncan
innovativo, dinamico e profondamente contestualizzato, come da tempo bisognava proporre
allo spettatore amatoriale e al panorama scientifico del settore, che finalmente
riceve un eclettico ritratto d'artista perfettamente restituito
dall'esposizione fiorentina.
Seguendo lo spirito dell'esibizione, i saggi
affidati agli specialisti di varie tematiche tendono tutti a ricollocare la
Duncan in un ruolo centrale nel panorama della riflessione artistica del primo
Novecento, ripercorrendo la genesi e lo sviluppo del percorso della danzatrice
nella fitta e complessa rete dei fermenti culturali dell'epoca. Il testo
introduttivo della curatrice Maria Flora Giubilei espone le ragioni
della mostra: il rapporto fra Isadora Duncan e l'Italia, filo conduttore
centrale dell'esposizione, passando dal profondo legame con Eleonora Duse e con
tutti gli artisti con i quali la Duncan entrò in stretto contatto nelle città
italiane che visitò e delle quali calcò i palcoscenici (Trieste, Venezia, Roma,
Rimini, Firenze, Viareggio), tappe fondamentali della sua formazione e della
sua “rinascita” dopo i tragici eventi biografici del 1913.
Patrizia Veroli ripercorre le fasi della codificazione della danza libera, a partire
dalle riflessioni estetiche di Delsarte e dalle pratiche di Dalcroze; l'attenzione
poi si sposta sulla ricezione della “nuova danza” in Italia e sulle sue
effettive sedimentazioni, direttamente ispirate dalle esibizioni italiane della
Duncan e dal recupero generale della tematica dell'antico da lei proposta
nell'elaborazione del suo modello estetico-coreutico. Il contributo di Eleonora
Barbara Nomellini restituisce, in uno dei momenti più tragici della
biografia della Duncan (i mesi successivi alla morte per annegamento dei figli),
l'incontro fra il pittore Plinio Nomellini e la straziata danzatrice, da lui
immortalata nella cornice della spiaggia tirrenica di Lido di Camaiore:
incrocio di arti e vite, affinità che le furono congeniali nello spirito e nell'intuizione
creativa, e determinanti per la sua rinascita interiore e artistica.
Si prosegue con la riflessione di Rossella
Campana a focalizzare un altro incontro privilegiato, quello con lo
scultore fiorentino Romano Romanelli, le cui opere direttamente ispirate a
Isadora (Il risveglio di Brunilde e Testa femminile, entrambe presenti
nell'esposizione) consentono di tracciare un ritratto più approfondito sia del
rapporto personale fra i due artisti sia del significato che le creazioni di
Romanelli ebbero all'interno della vasta iconografia duncaniana e nello
sviluppo del percorso artistico dello scultore. Il concetto di opera d'arte
totale viene affrontato nel saggio di Paolo Bolpagni, in riferimento
all'impatto che la proposta estetica e coreutica di Isadora Duncan abbia di
fatto “contaminato”, più indirettamente che direttamente, la riflessione e la
produzione artistica del tempo: come Auguste Rodin, che vedeva nella danzatrice
l'unione perfetta fra l'arte e la vita («la vie en la danse»), la sintesi
suprema delle diverse espressioni artistiche profondamente legata al tema dell'antico,
non solamente richiamato nell'accezione estetica-figurativa ma soprattutto nel
senso dell'eterno, dell'assoluto.
Il saggio di Francesca Simoncini chiarisce
il controverso ruolo che la stessa Duncan autobiograficamente si attribuisce
quale tramite del rapporto artistico fra il compagno scenografo Edward Gordon
Craig e Eleonora Duse per la realizzazione dell'allestimento fiorentino
del Rosmersholm di Henrik Ibsen proposto nel dicembre del 1906 al teatro
della Pergola. Isadora, quotidianamente al fianco della Duse nei giorni
dell'allestimento e delle prove, fu di fatto la vera ispiratrice dell'interpretazione
dell'attrice e della poetica di Craig: indissolubilmente legato alle creazioni
coreutiche della compagna danzatrice, lo scenografo realizzò per la Duse un
allestimento innovativo, non a caso dalla critica del tempo definito di potenza
emotiva musicale e di interpretazione attoriale profondamente ritmica, quasi
cadenzata.
Giorgina Bertolino sposta l'attenzione sulla cerchia intellettuale torinese raccolta
intorno a Cesarina Gurgo Salice e al marito imprenditore Riccardo Gualino. I
coniugi mecenati, fortemente ispirati dal soggiorno a Parigi presso l'Akadémia
di Raymond Duncan (fratello di Isadora), al ritorno in patria focalizzarono la
loro attenzione sulla danza libera, praticata in prima persona da Cesarina, e
che determinò la nascita del particolare progetto artistico dell'Accademia di
via Galliari, basata sull'ideale platonico della fusione delle arti e nella
quale le istanze estetiche della danza naturale rivestiranno un ruolo fondamentale.
Conclude la sezione dei saggi il contributo di Anna
Mazzanti, che traccia un ritratto definitivo della straordinaria corrispondenza
personale e artistica fra Isadora Duncan e Craig, tracciandone le fasi più
significative e definendone le interazioni più profonde. Lo stile naturale
della danza di Isadora si adatta perfettamente all'essenzialità della grafica craighiana,
alla “nudità” della raffigurazione spaziale, ma al tempo stesso ne ispira gli
approfondimenti interpretativi, sia nell'attitude degli attori che nella
restituzione scenica: piedi nudi, abiti leggeri che agevolano il movimento
dell'attore, un corpo che si trasfigura in luce e ritmo, assecondando
un'energia naturale del tutto innovativa per i canoni recitativi del tempo, “liberati”
dalla leggerezza ispiratrice della Duncan.
di Caterina Pagnini