Il
volume curato da Luca DOnghia ed Eva Marinai, risultato di una giornata
di studi svoltasi alla Scuola Normale Superiore di Pisa il 30 ottobre 2017, si
apre con una breve ma significativa descrizione di Dario Fo, di cui si evidenziano luci e ombre: «Fo resta uno degli
autori più discussi del canone recente. Giullare protestatario incoronato dal
Nobel (1997), agitatore politico marginalizzato dalle istituzioni e mostro
sacro in vita, teorico delle “messe da campo” e monologhista senza pari,
controinformatore e geniale bugiardo: in Fo coabitano, contraddittori e
sfuggenti, un dritto e un rovescio destinati a deludere – se non a esasperare –
chi tenti di farsene unimmagine coerente e unitaria» (p. 7). Un senso di
delusione e smarrimento che viene amplificato se solo si tenta di accostare
alcune delle sue prime straordinarie produzioni, soprattutto quelle in
collaborazione con Franca Rame, con le
ultime, in cui giganteggia la sua figura, per non dire il suo ego, spesso a
discapito dello spettacolo, sempre a costo di grossolane approssimazioni.
Se
questa è lopinione personale di chi scrive, valgano a riscontro le parole di
critici come Ferdinando Taviani e Renato Palazzi, che nel necrologio
dellattore non esitò a scrivere: «amava dissertare su argomenti di cui era
poco informato: senza remore o esitazioni ciò che non sapeva lo inventava alla
sua maniera. Su Ruzante e Goldoni, ad esempio, aveva sostenuto fandonie
colossali» («Il Sole 24 ore», 13 ottobre 2016, p. 8). Resta che Fo è una delle
personalità di spicco del teatro italiano del
secondo Novecento, cui vanno ascritti capolavori come Morte accidentale di un anarchico. La sua personalità artistica,
riconosciuta a livello internazionale, merita di essere ripensata e
contestualizzata, anche alla luce della documentazione recentemente depositata
nellArchivio Rame-Fo, consultabile on line allindirizzo www.archivio.francarame.it. Questo
lauspicio anche dei curatori del volume, che propongono una serie di saggi
interdisciplinari, frutto della penna sia di studiosi che a Fo hanno già
dedicato importanti contributi, sia di giovani ricercatori che si avvicinano
per la prima volta allattore-drammaturgo.
In
apertura Anna Barsotti rilegge, con
una particolare attenzione alla scenografia e al linguaggio mimico e verbale,
due commedie generalmente trascurate dalla critica: La storia vera di Piero dAngera che alla crociata non cera (1960,
mai messo in scena da Fo) e La colpa è
sempre del diavolo (1965). Entrambe ambientate in un Medioevo lombardo rivisitato
e fantasioso, trasposizione metaforica del presente, mettono in scena il popolo
in rivolta: vincente nel primo caso; raggirato da un diavolo nano e più ancora
dagli esponenti del potere, abili a strumentalizzare perfino il male, nel
secondo (pp. 15-27). A seguire Chiara
Battistella verifica in che misura il teatro antico, tragico e comico, ha
influito sulla drammaturgia di Fo, considerando non solo le riprese dichiarate,
ma anche i passi in cui la derivazione classica è meno evidente (pp. 29-50).
Mentre Michele Maiolani ricostruisce
le fonti linguistiche e letterarie di Mistero
buffo, certo lopera più nota e rappresentata di Fo, ma anche la più ricca
e complessa per quanto riguarda il rapporto con la tradizione (pp. 79-99).
Daltra
parte, era abitudine di Fo insistere sulla sistematicità delle ricerche che
sarebbero state alla base di molti dei suoi spettacoli, spesso ostentate
attraverso lo sfoggio di bibliografie fantasmagoriche e il ricorso
allautorialità di studiosi di grido, tra cui non di rado Ludovico Zorzi. Sono
queste le premesse con cui DOnghia esamina, con locchio esperto del filologo,
le due redazioni del celebre spettacolo su San Francesco (1999 e 2014)
arrivando a sollevare una questione di metodo: quale è il testo da ritenersi
più vicino alla volontà dellautore? Davvero quello del 2014, riscritto in una
lingua che vorrebbe arieggiare gli antichi volgari umbri? Una questione non da
poco, se si pensa alla costante «autoriscrittura» di Fo (pp. 51-63). Non solo. Occorre anche domandarsi come mettere in relazione le
varie riscritture alle esigenze della scena e alla sua prassi attoriale. Da
questo punto di vista è centrale il saggio della Marinai, che propone una
sintesi delle tecniche chiave dellarte oratoria e performativa di Fo (pp.
101-114).
Joseph
Farrell ripercorre litinerario ideologico del drammaturgo alla luce degli
incontri con il pensiero di Gramsci nella Milano della Liberazione, con
lattore Franco Parenti, via via fino al sodalizio del 2013 con Beppe Grillo,
alla ricerca dei capisaldi del suo pensiero etico e politico (pp. 66-78). Pietro Trifone dedica alcune pagine
alletimologia del termine grammelot,
che fa risalire al francese grommelot
e quindi agli esercizi vocali in uso presso la scuola teatrale del
Vieux-Colombier di Jacques Copeau (pp. 115-120). Infine, Piermario Vescovo riflette sulle reazioni suscitate dalla
drammaturgia linguistica e attoriale di Fo nel teatro del decennio 1966-1976,
ovvero nella Milano di Strehler e Testori, ma anche in relazione a film come lArmata Brancaleone di Monicelli (pp. 121-144).
Chiude
il volume uno sguardo “diverso”, quello del regista Eugenio Allegri che nel febbraio 2018 ha allestito a Torino presso
le Fonderie Limone un adattamento di Mistero
buffo calibrato sulle doti performative del giovane attore Matthias Martelli (pp. 145-158).
di Lorena Vallieri
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