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Carlo Titomanlio

Sul palco. Storia della scenografia e dell’architettura teatrale


Firenze, La casa Usher, 2019, 375 pp., 25,00 euro
ISBN 978-88-9881-133-5

Il recente volume di Carlo Titomanlio, in bilico tra manuale e atlante iconografico, «nasce dalla convinzione che la storia della scenografia e dell’architettura teatrale non può essere raccontata e compresa senza fare riferimento ai generi, alle forme, agli eventi della storia del teatro». Così in quarta di copertina, dove viene anche specificato che si tratta di un «ampio profilo generale attraverso la storia del teatro». L’intento dell’autore è dunque quello di rileggere la storia dello spettacolo attraverso il filtro della letteratura teatrale, salvo quegli “eventi”, come i ludi romani, che non contemplano “testi”. Una presa di posizione che si credeva ormai superata, essendo lo spettacolo ben altro, ovvero un vitalissimo sistema di relazioni che nasce, di volta in volta, dalla tensione dialettica tra gli elementi che lo costituiscono: committenza, attori, scena, drammaturgia, pubblico. E che va indagato in rapporto al contesto politico, culturale, sociale e produttivo che lo ha espresso. Come si può comprendere, ad esempio, la rivoluzionaria portata culturale della cinquecentesca scena prospettica di città «reale-simbolica», per usare parole di Ludovico Zorzi, se non la si legge come specchio mitopoietico delle ambizioni, dei progetti e dei sogni di gloria delle corti e delle accademie?

La trattazione è divisa in tre parti. La prima propone un Percorso attraverso le immagini e raccoglie centosessantadue illustrazioni tra fotografie, bozzetti, incisioni e dipinti (pp. 15-104). Alcune selezionate tra i più noti e significativi esempi di fonti per lo spettacolo, come il Vaso di Pronomos (fig. 4), la Passione di Valanciennes di Hubert Cailleau (fig. 17), l’acquaforte di Stefano della Bella (da Alfonso Parigi) per la VI scena de Le nozze degli Dei (fig. 61), l’Espace rhytmique di Adolphe Appia. Altre più particolari, soprattutto nella sezione dedicata al Novecento, come la bella fotografia, datata 1919, del Grosses Schauspielhaus di Berlino (fig. 130). Segue un Percorso attraverso la storia del teatro, forse un po’ troppo sintetico, scandito in senso cronologico in base ai generi – Commedie erudite, Tragedie, Opera seria, Il dramma naturalista, ecc. –, sottolineando alcuni episodi emblematici – ad esempio Il virtuosismo dei Bibiena, I magnifici inganni di Servandoni, La scena velata di Lugné-Poe – o contesti particolari – come Meraviglie e stravaganze di corte nell’Italia centro-settentrionale (pp. 105-338). Infine, un Percorso attraverso le parole: un dizionario che raggruppa nove termini legati alla scenografia (pp. 339-349). In chiusura, una opportuna Bibliografia di riferimento divisa per argomento (pp. 350-365) e l’Indice dei nomi (pp. 366-375).

Poteva essere una utile sintesi di consultazione, se non fosse per le numerose imprecisioni che si riscontrano, soprattutto nelle prime due parti. A cominciare dalla fig. 1 a p. 17, che recita: «Teatro di Dioniso, V sec. a.C.; Atene», proponendo una immagine dello stato attuale dell’edificio, accennando solo in una nota a p. 109 che «la forma che si può riconoscere dalle rimanenze archeologiche non è quella originale, ma il frutto di sostanziali modificazioni» di epoca romana. Sorprende anche il modo in cui viene presentata la complessa e per nulla secondaria questione della forma dell’orchestra nel teatro ateniese del V sec. a.C. Questione che coinvolge anche il rapporto sia con gli attori, e riguarda dunque le tecniche di recitazione, sia con il pubblico seduto nella “cavea”, termine tecnico mai utilizzato nel volume per indicare le “gradinate” del teatro antico. La critica più accorta, pur muovendosi giustamente nel campo delle ipotesi, concorda nel considerare ormai superata l’idea di una forma circolare dell’orchestra come del kòilon, che si sarebbe affermata solo a seguito delle teorie pitagoriche sulla propagazione del suono per onde concentriche e non si sarebbe attestata nel teatro di Dioniso prima della ricostruzione compiuta all’epoca di Licurgo (338-326 a.C.). Titomanlio sostiene invece che «la maggior parte degli studiosi condivide l’idea che nei teatri greci la forma dell’orchestra sia stata sempre circolare, basandosi sull’assoluta prevalenza di questo modello nei teatri costruiti successivamente e sulla “comodità” di questa disposizione» (p. 110). Una convinzione superata, come dimostrano evidenze archeologiche e documentali. Allo stesso modo l’autore non prende in considerazione l’accreditata ipotesi che nella prima metà del V sec. a.C. coro e attori recitassero insieme nell’orchestra e che solo in un secondo momento venisse introdotto il loghèion, ovvero quella bassa pedana in legno destinata ai soli attori: la cosiddetta scena eschilea.

E ancora. Illustrando il teatro di Sabbioneta, progettato nel 1588 da Vincenzo Scamozzi, viene correttamente sottolineato l’inedito assetto autonomo della fabbrica, per la prima volta non vincolata da preesistenze, a differenza dell’Olimpico di Vicenza e del Mediceo degli Uffizi. Ma viene poi frainteso sia il complesso sistema di ingressi, che prevedeva una differenziazione tra gli accessi per il pubblico e quello per gli artisti, sia l’innovativa ed elegante cavea mistilinea, lontana dalla «forma di U allungata» (p. 157), che apre la storia delle mistilinee secentesche, come quella realizzata da Giacomo Torelli nel Teatro della Fortuna di Fano (1665-1667). Ozioso continuare con gli esempi, più opportuno concludere qui.


di Lorena Vallieri


La copertina

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