Il
recente volume di Carlo Titomanlio, in bilico tra manuale e atlante
iconografico, «nasce dalla convinzione che la storia della scenografia e
dellarchitettura teatrale non può essere raccontata e compresa senza fare
riferimento ai generi, alle forme, agli eventi della storia del teatro». Così
in quarta di copertina, dove viene anche specificato che si tratta di un «ampio
profilo generale attraverso la storia del teatro». Lintento dellautore è
dunque quello di rileggere la storia dello spettacolo attraverso il filtro
della letteratura teatrale, salvo quegli “eventi”, come i ludi romani, che non contemplano
“testi”. Una presa di posizione che si credeva ormai superata, essendo lo spettacolo
ben altro, ovvero un vitalissimo sistema di relazioni che nasce, di volta in
volta, dalla tensione dialettica tra gli elementi che lo costituiscono:
committenza, attori, scena, drammaturgia, pubblico. E che va indagato in rapporto
al contesto politico, culturale, sociale e produttivo che lo ha espresso. Come
si può comprendere, ad esempio, la rivoluzionaria portata culturale della
cinquecentesca scena prospettica di città «reale-simbolica», per usare parole
di Ludovico Zorzi, se non la si
legge come specchio mitopoietico delle ambizioni, dei progetti e dei sogni di
gloria delle corti e delle
accademie?
La
trattazione è divisa in tre parti. La prima propone un Percorso attraverso le immagini e raccoglie centosessantadue
illustrazioni tra fotografie, bozzetti, incisioni e dipinti (pp. 15-104).
Alcune selezionate tra i più noti e significativi esempi di fonti per lo
spettacolo, come il Vaso di Pronomos
(fig. 4), la Passione di Valanciennes
di Hubert Cailleau (fig. 17),
lacquaforte di Stefano della Bella
(da Alfonso Parigi) per la VI scena
de Le nozze degli Dei (fig. 61), lEspace rhytmique di Adolphe Appia. Altre più particolari, soprattutto nella sezione
dedicata al Novecento, come la bella fotografia, datata 1919, del Grosses
Schauspielhaus di Berlino (fig. 130). Segue un Percorso attraverso la storia del teatro, forse un po troppo
sintetico, scandito in senso cronologico in base ai generi – Commedie erudite, Tragedie, Opera seria, Il dramma naturalista, ecc. –, sottolineando
alcuni episodi emblematici – ad esempio Il
virtuosismo dei Bibiena, I magnifici
inganni di Servandoni, La scena
velata di Lugné-Poe – o contesti particolari – come Meraviglie e stravaganze di corte nellItalia centro-settentrionale
(pp. 105-338). Infine, un Percorso
attraverso le parole: un dizionario che raggruppa nove termini legati alla
scenografia (pp. 339-349). In chiusura, una opportuna Bibliografia di riferimento divisa per argomento (pp. 350-365) e lIndice dei nomi (pp. 366-375).
Poteva
essere una utile sintesi di consultazione, se non fosse per le numerose
imprecisioni che si riscontrano, soprattutto nelle prime due parti. A
cominciare dalla fig. 1 a p. 17, che recita: «Teatro di Dioniso, V sec. a.C.;
Atene», proponendo una immagine dello stato attuale delledificio, accennando
solo in una nota a p. 109 che «la forma che si può riconoscere dalle rimanenze
archeologiche non è quella originale, ma il frutto di sostanziali
modificazioni» di epoca romana. Sorprende anche il modo in cui viene presentata
la complessa e per nulla secondaria questione della forma dellorchestra nel
teatro ateniese del V sec. a.C. Questione che coinvolge anche il rapporto sia con
gli attori, e riguarda dunque le tecniche di recitazione, sia con il pubblico seduto
nella “cavea”, termine tecnico mai utilizzato nel volume per indicare le
“gradinate” del teatro antico. La critica più accorta, pur muovendosi giustamente
nel campo delle ipotesi, concorda nel considerare ormai superata lidea di una
forma circolare dellorchestra come del kòilon,
che si sarebbe affermata solo a seguito delle teorie pitagoriche sulla
propagazione del suono per onde concentriche e non si sarebbe attestata nel
teatro di Dioniso prima della ricostruzione compiuta allepoca di Licurgo (338-326 a.C.). Titomanlio
sostiene invece che «la maggior parte degli studiosi condivide lidea che nei
teatri greci la forma dellorchestra sia stata sempre circolare, basandosi
sullassoluta prevalenza di questo modello nei teatri costruiti successivamente
e sulla “comodità” di questa disposizione» (p. 110). Una convinzione superata,
come dimostrano evidenze archeologiche e documentali. Allo stesso modo lautore
non prende in considerazione laccreditata ipotesi che nella prima metà del V
sec. a.C. coro e attori recitassero insieme nellorchestra e che solo in un
secondo momento venisse introdotto il loghèion,
ovvero quella bassa pedana in legno destinata ai soli attori: la cosiddetta
scena eschilea.
E ancora. Illustrando il
teatro di Sabbioneta, progettato nel 1588 da Vincenzo Scamozzi, viene correttamente sottolineato linedito
assetto autonomo della fabbrica, per la prima volta non vincolata da
preesistenze, a differenza dellOlimpico di Vicenza e del Mediceo degli Uffizi.
Ma viene poi frainteso sia il complesso sistema di ingressi, che prevedeva una
differenziazione tra gli accessi per il pubblico e quello per gli artisti, sia linnovativa
ed elegante cavea mistilinea, lontana dalla «forma di U allungata» (p. 157), che
apre la storia delle mistilinee secentesche, come quella realizzata da Giacomo Torelli nel Teatro della
Fortuna di Fano (1665-1667). Ozioso continuare con gli esempi, più opportuno
concludere qui.
di Lorena Vallieri
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