Il nuovo volume della collana “Musical
Cultures of the Twentieth Century”, diretta da Gianmario Borio presso lIstituto
per la Musica della Fondazione Giorgio Cini, costituisce lesito editoriale di una
conferenza internazionale tenutasi sullIsola di San Giorgio nel 2016. Levento
seguiva di un anno il seminario Teatro di
avanguardia e composizione sperimentale per la scena in Italia: 1950-1975,
curato dallo stesso Borio con Giordano
Ferrari e Daniela Tortora,
scintilla per unindagine sul nuovo teatro musicale estesa dallo stivale alla
dimensione europea. Lobiettivo è quello di rintracciare alcune tendenze comuni
negli sviluppi nazionali del fenomeno tra gli anni Cinquanta e Settanta del
Novecento, in un momento cruciale di ridefinizione delle pratiche e delle idee
attorno al genere.
Il volume, curato da Robert
Adlington, si articola in sei sezioni con due contributi ciascuna. La prima
sezione registra un contributo in più, quello di Stefania Bruno, che pone le proprie competenze extra-musicologiche
al servizio dellindagine sui rapporti tra nuovo teatro musicale e
sperimentazioni coeve nel campo della prosa. In particolare, la studiosa e drammaturga
campana investiga lemergere delle avanguardie teatrali in Europa nel secondo
dopoguerra, mettendo a fuoco le discontinuità nellazione e nei discorsi dei
protagonisti anche in relazione ai contesti nazionali. Il decennio successivo vedrà
invece un allineamento culturale – secondo Daniela Visone (La nascita del Nuovo Teatro in Italia.
1959-1967, Pisa, Titivillus, 2010) – che porterà allaffermarsi di un “nuovo
teatro” su alcune basi comuni: su tutte lemancipazione dal testo convenzionalmente
inteso, lemergere del concetto di “scrittura scenica” e la tendenza verso lopera
aperta.
Il perno dello studio di Julia
Schröder è lidea di teatro totale che, dagli orizzonti pionieristici di Piscator, Meyerhold e Artaud,
si sedimenta sulle scene musicali del dopoguerra e trova riverberazioni
critiche e complesse in alcuni lavori di Mauricio Kagel, Luigi Nono
e Bernd Alois Zimmermann. La
ricezione dellavanguardia teatrale degli anni Venti e Trenta alimenta un
intenso dibattito negli anni Sessanta contribuendo allaffermarsi di nuove
pratiche sperimentali che interpretano la “totalità” in modi anche molto
diversi. Su questo stesso solco, Vincenzina Ottomano traccia le linee di
influenza di altre figure centrali del teatro di prosa – Beckett, Ionesco e Brecht –
sulle riflessioni di compositori quali Berio,
Ligeti e Pousseur. Il ripensamento profondo del teatro musicale passa anche
per unassimilazione del lavoro dei maestri del dramma moderno, che porta
allesplorazione di alcune direttrici condivise quali una nuova concezione
dello spazio scenico e della partecipazione del pubblico, nonché il rapporto
tra musica e testo: ogni compositore si apre a una molteplicità di stimoli
provenienti dalla prosa e li declina in modo personale.
La seconda sezione del volume è
dedicata allimpatto delle nuove tecnologie che caratterizzano il panorama mediatico
e le forme di intrattenimento dellepoca. Analizzando due messe in scena di Intolleranza
di Nono, caratterizzate da un uso pionieristico dellaudiovisivo, Holly
Rogers mette in luce come il nuovo teatro musicale possa essere
efficacemente compreso guardando non solo ad altre tradizioni drammatiche e
musicali, ma anche alle forme coeve di performance, danza e
installazione, che fanno ampio ricorso a pratiche sperimentali nel campo
dellimmagine in movimento. Lo studioso sottolinea come la “rimediazione”
scenica dellaudiovisivo apra possibilità inedite di intertestualità e
interattività. Andreas Münzmay discute gli usi del nastro magnetico e
delle tecnologie di proiezione del suono elettronico nel teatro musicale proponendo
una categorizzazione tipologica basata sul concetto mcluhaniano di medium
come “estensione delluomo”. Seguendo le indicazioni del sociologo canadese, Münzmay
focalizza lattenzione su che cosa la tecnologia “estende” nei
vari casi: il materiale musicale, la scena, la lista dei personaggi, lo spazio
o lorchestra.
Ai rapporti con la sfera politica
e con la critica del potere sono rivolti i contributi della terza sezione. Harm
Langenkamp si concentra sul contesto dei Paesi Bassi prendendo in
considerazione due casi specifici: Hyperion en het gewel di Bruno Maderna con libretto di Hugo Claus; e Reconstructie, un
lavoro collettivo che vede allopera due scrittori e cinque compositori. In
entrambi il teatro musicale funge da terreno di espressione per una visione
alternativa della società e per forme di critica anti-establishment, articolando
la protesta contro i crimini dellimperialismo americano in Vietnam e a Cuba perpetrati
con la connivenza dei governi belga e olandese. I paradossi interni alla
posizione politica degli artisti del nuovo teatro musicale trovano uneco nel
contributo di Esteban Buch dedicato a Todos caerán di René
Leibowitz: il direttore dorchestra e compositore francese articolò in
alcuni scritti la propria opposizione al verbo della giovane avanguardia engagé,
i cui sforzi artistici sono bollati come futili, modaioli, non autenticamente
rivoluzionari. Gli stessi presupposti informano il lavoro preso in esame da
Buch: un grand opéra dodecafonico e parodico sui rivolgimenti politici
sudamericani a rappresentare una via radicalmente diversa per un rinnovamento
del teatro musicale senza rinunciare ai dispositivi e alle forme della
tradizione operistica.
La quarta sezione propone un focus
sui luoghi e i contesti produttivi del nuovo teatro musicale, mettendo in
evidenza limpatto dellambiente sulla creatività. Alessandro Mastropietro
racconta la Roma degli anni Sessanta, illuminando un momento di grande fermento
artistico e culturale che vede lazione di numerosi soggetti e gruppi. Nella
capitale trova terreno fertile una vibrante sperimentazione scenico-musicale
che si sviluppa in spazi performativi nuovi e non convenzionali, in un rapporto
di “amore e odio” (p. 196) con le grandi istituzioni quali lOpera di Roma.
Spostando lattenzione sulla Francia, Jean-François Trubert indaga
limprovvisa fioritura del teatro musicale davanguardia nel contesto del
Festival dAvignon in un circoscritto torno di anni (1967-1969). Al centro
della sua ipotesi interpretativa, i rapporti personali che il direttore della kermesse
Jean Vilar intrattenne con
il coreografo Maurice Béjart e
il produttore radiofonico Guy Erismann,
oltre che limpatto sul mondo francese delle produzioni itineranti del Living
Theatre.
Un radicale ripensamento della
figura del performer è oggetto della quinta sezione. Linfluenza del
mimo nel contesto britannico è in quegli anni cruciale, secondo David Beard,
per la riscoperta delle potenzialità espressive del corpo in scena. Si
ricostruisce qui la rete di rapporti tra mimi e musicisti, con particolare attenzione
alla vicenda di Mark Furneaux e
degli importanti workshop che il performer tenne alla Dartington
Summer School negli anni Settanta. Francesca Placanica propone un
approfondimento sul ruolo creativo degli interpreti vocali del teatro musicale,
mettendo a fuoco la rinnovata enfasi che, nelle coeve sperimentazioni teatrali e
musicali, si dà al corpo e alla sua capacità di costruire e ricostruire lo
spazio al di là del linguaggio. Richiamandosi a recenti acquisizioni nel campo
dei performance studies sulle pratiche “incarnate” (embodiment),
Placanica si concentra in particolare sui casi di Roy Hart e Cathy Berberian.
Questi temi sono in parte richiamati
nella sezione finale del volume, che sposta la prospettiva sui problemi emersi
dallanalisi musicologica di tutte queste esperienze. La riflessione di Björn
Heile fa leva sulle teorie della embodied cognition, secondo cui la
percezione musicale è governata da “ipotesi mimetiche”: lascolto implica un
tentativo, reale o immaginario, di imitare le azioni che producono i suoni.
Discrepanze tra le azioni del performer in scena e il corrispettivo
risultato sonoro sono alla base di due lavori presi in esame: il Quartetto darchi
n. 2 di Kagel e la Sequenza V di Berio. Angela Ida De Benedictis affronta
il problema spinoso della documentazione più opportuna per lanalisi di opere
di questo ambito espressivo: la partitura rappresenta solo una formalizzazione
parziale di un complesso oggetto multimediale, la cui comprensione richiede di prendere
in considerare in primis le fonti dirette relative alla performance
intesa come testo in sé, insieme acustico e visivo.
di Giulia Sarno
|
|