La
ricostruzione meticolosa e articolata del volume di Lorenzo Mango, Il Novecento del teatro. Una storia, intende
«tracciare la complessità, con le differenze e gli intrecci che ne definiscono
unidentità articolata che si fonda sulla premessa, speriamo dimostrata, della
centralità dei nuovi modi di fare, ma ancor prima di pensare il teatro» (p. 14).
Lallineamento dei materiali procede secondo il metodo dellaccorpamento
tematico – drammaturgia, regia, attore, Nuovo Teatro – affrontato in modo
cronologico. Allo sviluppo delle fasi storiche corrisponde la collocazione
geografica delle esperienze. Questa assegna allEuropa una posizione centrale
non trascurando i fenomeni di migrazioni culturali da e verso gli Stati Uniti
dAmerica.
Mango
considera il debutto di Ubu re di Alfred Jarry (1896) un episodio simbolico. E individua un valore propulsivo per la scrittura teatrale a
partire dalla crisi del dramma borghese. Da un lato le drammaturgie di Strindberg, Čechov, Ibsen;
dallaltro la nascita della regia moderna: Appia,
Craig, Stanislavskij, Reinhardt,
Copeau, Mejerchold. Analogo criterio è assunto per inquadrare le variegate
poetiche di rottura e di innovazione dei linguaggi teatrali con cui le
avanguardie storiche infiammano la scena di inizio secolo. Con ricadute, per
adesione o per rifiuto, nella drammaturgia di Pirandello, Brecht, Hofmannsthal, Schnitzler. A questi Mango dedica pagine di esemplare chiarezza.
Parimenti quando affronta la riforma dellattore chiamato a confrontarsi con
nuovi metodi di recitazione.
La Seconda
guerra mondiale è uno spartiacque storico: «la seconda parte del Novecento può
essere letta come un ricominciare: ripartire daccapo per un verso, per un altro
verso ritessere le fila con i decenni esplosivi di inizio secolo» (p. 171),
attraverso il rilancio della regia e luso di un linguaggio teatrale capace di
esprimere malessere e denuncia (Genet,
Beckett, Osborne). Questa la strada che conduce al cosiddetto Nuovo Teatro
degli anni Sessanta, che si interroga «sullidentità del linguaggio teatrale», p.
200) svincolato dalle forme del teatro canonico e ufficiale (Living Theatre, Grotowski, Carmelo Bene, Odin Teatret, ecc.).
Quando finisce il Novecento? Nel corso del secolo
si sono rifondati i codici linguistici e la sintassi della scena; si sono
dilatati i confini dellattore e dello spazio scenico. Oggi – osserva
acutamente Mango – quel corpo linguistico «è diventato una lingua che il teatro
della “fine del Novecento” può parlare nelle maniere più diverse, peculiari e
“nuove”». (p. 308) Una serie di esempi – Robert
Wilson, Federico Tiezzi, Toni Servillo, Mario Martone, Robert Lepage,
Eimuntas Nekrošius – conclude questo
libro coinvolgente come un romanzo. Le informazioni e la ricca e aggiornata
bibliografia sviluppano riflessioni importanti dal punto di vista
storiografico.
di Massimo Bertoldi
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