Non manca di interesse questo numero di «Theaterheute», a partire dalle numerose pagine di
Nachruf dedicate a
Bruno Ganz, attore di punta della scena teatrale e cinematografica tedesca e internazionale recentemente scomparso. Nel ripercorrerne la luminosa carriera si ricordano le sue interpretazioni alla Schaubühne di Berlino, tra le quali
Hamlet per la regia di
Michael Grüber e
Traum vom Prinzen Homborg di
Heinrich von Kleist nel 1972 a cura di
Peter Stein (che ha diretto Ganz anche nel
Faust goethiano in occasione dell'Expo di Hannover nel 2000). Si pubblica inoltre una conversazione tra l'attore e quello stesso Grüber che lo ha reso protagonista anche di
Die Bakchen di
Euripide nel 1974. Parole di grande intesa, umana e creativa.
La sezione Aufführungen, il consueto spazio riservato alle recensioni degli spettacoli più importanti prodotti nei paesi di lingua tedesca, si apre con due proposte dello Schauspielhaus di Amburgo. Christoph Marthaler ha curato la regia di Häuptling Abendwind di Johann Nestroy attualizzando le tematiche legate al colonialismo nell'ottica di una visione critica della globalizzazione. Tra gli attori si sono distinti Clemens Sienknecht, Samuel Weiss e Josef Ostendorf. Cupe visioni in cui pulsano gli spettri del neonazismo caratterizzano la messinscena, asciutta e raffinata, di Karin Henkel alle prese con Die Übriggebliebenen, inquietante collage di testi di Thomas Bernhard affidato all'interpretazione di Lina Beckmann, Angelika Richter, André Jung, Gala Othero Winter.
La regia di Ulrich Rasche si addentra nella psiche turbata di Elektra di Hugo von Hofmannsthal, trasformando incubi e sogni in una sorta di viaggio psichedelico sotto l'effetto di sostanze allucinogene. Katja Bürkle è la protagonista assoluta di questa riuscita produzione del Residenztheater di Monaco.
Di notevole spessore artistico sono anche le produzioni del Deutsches Theater di Berlino. Jette Steckel ha allestito Zeiten des Aufruhrs, dall'omonimo romanzo di Richard Yates sulle problematiche di una coppia dagli esiti drammatici; sulla scena Maren Eggert e Alexander Khuon ne hanno dato una lettura marcatamente psicologica. Philipp Arnold ha firmato la messinscena della novità der tempelherr di Ferdinand Schmalz, pubblicata in versione integrale nella sezione Das Stück di questo numero della rivista berlinese. Si tratta di un intreccio di realtà e fantasia con aperture al mostruoso in cui si consumano tensioni sentimentali di una coppia moderna. I ruoli principali sono stati ricoperti con successo da Harald Baumgartner, Bernd Moss, Natali Seelig, Linn Reusse e Edgard Eckert.
Il contatto tra sesso, arte e denaro costituisce il tema centrale affrontato da Monika Gintersdorfer nell'allestimento di Nana où est – ce que tu connais le bara tratto da Nana di Zola. Ne è emerso uno spettacolo movimentato e ricco di inserti di danza con Jean-Claude Dagbo e Annik Choco applauditi protagonisti di questa produzione dello Stadttheater di Brema. Lo stesso teatro ha ospitato anche Aus dem Nichts, adattamento dell'omonimo film di Fatih Akin del 2017 in cui si parla di terrorismo in un crescendo di odio calato in un thriller. Lungo questo percorso narrativo si è avventurata la regia minuziosa di Nurkan Erpulat, Nadine Geyersbach, Irene Kleinschmidt, Martin Baum applauditi protagonisti.
La dialettica tra dimensione privata e sfera pubblica è tema ricorrente di molti film presentati alla Berlinale 2019, come All My Loving di Edward Berger e Die einzelteile der Liebe di Miriam Bliese (che affronta il problema dal punto di vista dei bambini). L'incidenza della politica nel privato trova un pregevole esempio nel film-documentario con citazioni autobiografiche Born in Evin di Maryam Zaree. Tra le altre pellicole di rilievo proposte in quella cornice si segnalano Die Kinder der Toten, dal romanzo horror di Elfriede Jelinek su un progetto del gruppo newyorkese Theater of Oklahoma, e Ich war zu hause, aber… di Angela Schanele.
In Gespräch si legge un'intervista a Christophe Slagmuylder, nuovo intendente delle Wiener Festwochen, che parla di nuovi progetti, della necessità di incrementare le coproduzioni non solo per esigenze economiche ma soprattutto per un arricchimento linguistico e per l'accrescimento di feconde contaminazioni stilistiche e performative.
Le pagine di
International sono dedicate a un approfondimento del progetto DAU del regista russo
Ilya Khrzhanovsky. Presentato a Parigi, il film, realizzato in tre anni di lavoro, ripercorre la vita di
Lev Landau, Premio Nobel per la fisica nel 1962, scienziato visionario e anticonformista (considerava Lenin “il fascista rosso”). Emerge qui una parte complessa della storia russa, ricostruita con meticoloso realismo, focalizzata sul famoso centro di ricerche voluto da
Stalin nella periferia della città ucraina di Kharkov. È lì che il regista ha condotto centinaia di attori e comparse, facendoli vestire e vivere come in quell'epoca, ripresi da telecamere nascoste, creando così il materiale per la realizzazione del monumentale
DAU.
di Massimo Bertoldi