I moti sociali e politici del maggio
1968 ebbero forse in Francia il loro apice e, a seguito delle manifestazioni
parigine, registrarono una tensione ideologica particolare durante il XXII
Festival dAvignone tenutosi a luglio. Ponendo al centro gli spettacoli presentati
in quelloccasione dal Living Theatre, questo volume intende rievocare gli
eventi dalla memoria dei partecipanti e confrontarli con testimonianze attuali.
Gli interventi qui pubblicati sono divisi in due parti principali: Mémoire(s) / Chroniques de spect-acteurs
e Héritage(s) / Récits de re-créateurs.
In apertura viene esposta la Définition
du projet, seguita da una cronologia che ripercorre i fatti a partire dalla
nascita del Festival di Vilar (1947). La Définition
comprende la Declaration del Gruppo americano
(pp. 27-28) emessa in seguito alla sospensione delle rappresentazioni. Del
resto il libro è un continuo raffronto (se non scontro) fra i sostenitori del
creatore del TNP e i suoi avversari riguardo alla partecipazione della compagnia
di Julian Beck e Judith Malina.
Attorno allevento più significativo
delledizione 1968, Paradise now (rappresentato
in luglio), si intrecciano ricordi, opinioni e riflessioni che, oltre alla
ricostruzione degli avvenimenti, mirano a fornirne un bilancio. Una valutazione
aperta ai risultati delle tante iniziative sorte in Francia proprio nel cinquantenario,
per ricordare quel momento “rivoluzionario” nato dallincontro fra lesperienza
contestatrice del Living e listituzione vilariana. Il riepilogo si trova in Conclusions en devenir, appunti per un consuntivo
rinviato al futuro. Il Cahier
fotografico illustra i protagonisti degli spettacoli (Antigone, Mysteries and
Smaller Pieces e Paradise now) e i
loro spettatori.
I ventidue testimoni della Sezione
Mémoire(s) alternano punti di vista discordanti
o affini, in una vasta gamma di sfumature. Così Philippa Wehle, allora studentessa americana ricercatrice sul Théâtre
National Populaire, rammenta la propria posizione, divisa fra lammirazione del
patron del Festival e loriginalità provocatoria del Living. Pure non avendo
visto lo spettacolo, Wehle ricorda come il pubblico uscisse «désemparé par ce
spectacle qui navait pasa de début, de milieu ni de fin» (p. 37). Un attore
del Living, Hans Echnaton Chano, racconta
lo svolgimento delle prove di Paradise
now, lintrecciarsi con gli altri spettacoli e le tre rappresentazioni
programmate e poi interrotte.
La lunga ricostruzione di Melly Touzoul Puaux, con osservazioni
circostanziate sulle due parti (coautrice dun documento cronologico sui fatti
di quel periodo cruciale), comprende coraggiose affermazioni su ciò che pensa
del gruppo: «Selon nous, le Living était devenu une troupe en déshérence qui ne
savait plus quoi dire, ni dans quelle réalité elle était» (p. 66). Lucien Attoun ricorda la fede e
lentusiasmo duna spettatrice che, chiamata dagli attori a improvvisare, non
voleva smettere. La sua conclusione indica in Judith la vera anima del gruppo e
giudica che «pour moi, après Antigone,
le Living sest perdu» (p. 74).
Contro Vilar, nota Claude Eveno, si schieravano coloro che
avevano rifiutato le scelte politiche del Partito comunista francese in
collusione con quello sovietico. Il
fatto che Vilar «empechait le public sans billet de rentrer dans les Carmes,
mes copains et moi-même ne lavons évidemment pas supporté […]. Paradise now était une épreuve au sens
positif du mot, on vivait une sensation intense, à tout point de vue, physique,
mental» (pp. 78-80). Per Jean-Guy Lecat,
«68 à Avignon cest la queue de Mai 68, cest la fin dun rêve. Quand on voit
le Living, expulsé par le maire et obligé de partir avant la fin du Festival,
on se dit vraiment que cest la fin dun rêve» (p. 81). Lintervista del
contestatore più influente, Jean-Jacques
Lebel (autore di Procès du Festival
dAvignon. Supermarché de la culture, Paris, Belfond, 1968), è fra le più
estese e spazia dai motivi dello spostamento dellimpegno da Parigi ad Avignone
alle ragioni dellattacco violento alle istituzioni. Interrogato sul suo ruolo
di istigatore presso il Living, Lebel chiarisce la propria distanza dallutopia
nonviolenta di Beck e Malina: «Radical… subversif… ce nest pas synonyme de “révolutionnaire”.
Révolutionnaire cest la transformation de la société» (p. 109).
Fra i testimoni di Héritage(s) mi
soffermo su Brad Burgess, lultimo
direttore del Living Theatre, in quanto rettifica molte impressioni negative
sul rapporto di Beck con Vilar: «Judith a toujours été très claire sur le fait
que Jean Vilar et Julien sétaient mis daccord sur le départ de la compagnie et
que le Living nen voulait pas du tout à Jean Vilar. […] La compagnie
est restée très amie avec Vilar» (p. 185). Inoltre auspica la persistenza
dello spirito di rinnovamento che Paradise
now aveva saputo infondere sulla scena e nel pubblico. Jacques Téphany riflette lucidamente sullesasperazione dei
protagonisti dellepoca e in Vilar riconferma lamarezza per le incomprensioni
verso la sua disponibilità indiscutibile.
Olivier Py, direttore in carica del Festival, parla del suo
spettacolo LÉnigme Vilar, dato nel
2006 per ricordare, ma soprattutto per capire meglio, le idee e la personalità
del fondatore. Lattore Philippe Caubère
ricorda con equilibrio e passione lesperienza avignonese che lo confermò
nella vocazione artistica. Quale autore del testo Avignon 1968, ha voluto rappresentarvi il conflitto Jean Vilar-Julien
Beck, tanto che «je souhaitais mettre Vilar et Beck à égalité dans le drame»
(p. 220).
La Bibliografia, vasta e puntuale, manca purtroppo delle voci
straniere importanti, anche italiane, che pure a suo tempo larricchirono,
quali i saggi di Franco Quadri
(1970), di Franco Ruffini (1986), di
Marco De Marinis (1987).
Nellinsieme, i contributi inediti rivelano aspetti e confronti
inattesi, grazie a quanti nel vivere quegli avvenimenti ne restarono
impressionati: molti personaggi e fatti rievocati acquistano rilievo e tonalità
definite, altrimenti irrecuperabili dai documenti dellinformazione corrente.
di Gianni Poli
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