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Patrice Chéreau

Journal de travail. Apprentissages en Italie. Tome II, 1969-1971

A cura di Julien Centrès

Arles, Actes Sud-Papiers. M / imec, 2018, pp. 240, 25,00 euro
ISBN 978-2-330-10927-1

Il secondo volume del Journal di Patrice Chéreau conferma la struttura diaristica adottata nella realizzazione del primo volume. Il curatore Julien Centrès migliora anzi l’impostazione cercando di restituire il disegno complessivo dell’arcipelago formato dalle creazioni dell’artista, corrispondenti ad altrettante isole delle quali la realtà maggiore e importante resta sommersa. Con pochi efficaci tratti, si ripercorre il lavoro di circa tre anni di Chéreau presso il Piccolo Teatro di Milano segnalando la svolta del giovanissimo “apprendista” nel prendere coscienza d’un impegno che riguarda ormai il rapporto fra politica e forma artistica. È il momento dell’articolo Une mort exemplaire (maggio 1969), nel quale Chéreau si pone delle domande alle quali risponderà decidendo della propria vocazione: «Sachons poser pour nous-mêmes l’exigence d’un travail de recherches en militantisme. Sachons enfin qu’il va falloir nous transformer, devenir de plus en plus politiciens» (p. 13).

Accolto l’invito di Paolo Grassi a collaborare con il Piccolo Teatro, il regista venticinquenne installa a Milano i diversi tavoli su cui è solito progettare le sue messe in scena di teatro di prosa e d’opera lirica. Il lettore trova accostati gli appunti e le testimonianze, in sequenza cronologica, dei lavori allora in corso, a partire da LItaliana in Algeri di Rossini allestita in precedenza al Festival di Spoleto (1969) su commissione di Gian Carlo Menotti. Contemporaneamente, si seguono Richard II (iniziato nel gennaio 1970 e realizzato a Marsiglia) e Splendore e morte di Joaquin Murieta (dato a Milano in aprile). Subito dopo, Toller, scene da una rivoluzione tedesca di Tankred Dorst, rappresentato al Piccolo in novembre. 

D’ogni “impresa” si leggono le riflessioni di Chéreau sulle linee estetiche, i dettagli per la rappresentazione e a volte i preventivi di spesa. Nel caso dell’Italiana in Alger il regista espone le esigenze economiche al direttore del Festival dei Due Mondi, annotando osservazioni di ordine drammaturgico che incideranno sul testo e sull’organizzazione scenica dell’opera. La scenografia è in collaborazione con Richard Peduzzi. «Le public du Teatro Nuovo de Spolète – spiega il curatore – voit les chanteurs, de dos, interpréter l’opéra pour le spectateurs fictifs du Caio Melisso en 1815. Le public de 1969 voit l’action du côté des coulisses» (p. 22). Si notano inoltre l’invenzione del ruolo della Portinaia, la trovata dell’annuncio in scena della sconfitta di Napoleone a Waterloo e gli apporti ispiratori di Stendhal e del film Il Gattopardo di Visconti.

Una sincerità provocatoria e incensurata s’insinua nel privato degli appunti: «Ils me prennent pour un terroriste, ce qui théoriquement m’énerve» (p. 23), confessa Chéreau fra gli schizzi degli accessori o della collocazione dei personaggi. Dialoga col direttore Thomas Schippers per tessere fini legami tra la musica e gli effetti dei movimenti, delle posture e delle luci, partendo dal seguente rilievo: «Le spectacle lui-même (l’opéra) doit être monté comme du burlesque dont les significations doivent être précises» (p. 28). Per Richard II di Shakespeare, Chéreau (che recita nel ruolo del protagonista) sottolinea: «La scène doit être interprétée comme un jeu de la parte de Bolingbroke – un jeu serieux mais un jeu, peu à peu, un mécanisme se développe sur scène. […] Jouer tout cela très lentement : avec des temps entre les longues phrases, on lâche quelqu’un et lentement on le jette aux fauves» (p. 57). Già in abbozzo, si riconosce una scena che impressionò nello spettacolo: la prima dell’atto V, quella dell’addio straziante fra Riccardo e la Regina sul ponte levatoio.

Affinché le differenze di classe risultino percepibili mediante il linguaggio caratteristico dei personaggi, il regista discute della versione col traduttore Pierre Leyris.

La prima ambientazione di Splendore e morte di Joaquin Murieta nasce dalla lettura del testo: «Ainsi je fais le Piccolo […] à mi-chemin entre l’église désaffectée et le music-hall bordello […]. Avec des toiles peintes, un petit orchestre […]. Que le monde americain soit raconté par quelcun comme le grand seigneur escroc caballero tramposoFerruccio Soleri. C’est à dire un peu Mandrake, un peu prestidigitateur […]. Joaquin Murieta. Sorte de liturgie révolutionnaire» (pp. 58-59). In genere, a causa delle soste e le riprese dei singoli progetti, si registrano molte varianti e modifiche. Ad esempio, cambia l’idea di mostrare il Sudamerica nel primo dopoguerra ponendo sulla scena un camion dell’epoca e si preferisce l’Italia del Piano Marshall.Ideologicamente, «la force de la pièce doit passer par une critique de l’humanisme de la pièce, de l’humanisme de Neruda» (p. 97), secondo la visione marxista di Althusser. L’importanza della musica è testimoniata dalla complessa e originale partitura di Fiorenzo Carpi, eseguita dal vivo.

Nel dramma di Toller (ambientato in Baviera nel 1918), Chéreau privilegia il lato politico e sceglie l’agit-prop per i confronti dialettici con le interpretazioni della condizione operaia, da Lenin a Rosa Luxemburg. Le note socio-politiche prevalgono su quelle di messa in scena: «Monter Toller veut dire le présenter en même temps que la Sainte Jeanne de Brecht-Strehler-Grassi PCI PSI, c‘est-à-dire présenter à des ouvriers dévoyés PCI des fantômes» (p. 119). 

L’urgenza creativa del giovane artista torna a concentrarsi su uno spettacolo per Spoleto, La finta serva di Marivaux (1971). Richiesto da Roger Planchon  per Villeurbanne, lavora poi a Le massacre à Paris di Christopher Marlowe mentre Lulu di Frank Wedekind si annuncia al Piccolo. Fallisce il progetto di La Traviata a Bruxelles, per il quale però le tracce dello studio indicano la particolarità dell’ambientazione del dramma lirico in platea, anziché sul palcoscenico del Théâtre de la Monnaie.

La finta serva si nutre di ipotesi sui costumi, sugli arredi e sulla musicalità dei movimenti. Nello spazio scenico tornano a campeggiare le rovine, elementi d’architettura di recupero. «Toujours de gens qui disparaissent, qui réapparaissent. Donc une structure où entre les piliers se cachent les gens qui regardent les domestiques regardant les patrons» (p. 140). Il tema del denaro s’enfatizza e influisce su movimenti scelti in antitesi con le battute. Le Massacre à Paris(maggio 1972) adotta anch’esso l’immagine delle rovine del passato: «Dans la salle, recontruir un palais baroque jusqu’à moitié de salle […] où sont racontés les hauts faits de la religion chrétienne» (p. 189). Abbondanti le citazioni dettate da esigenze musicali, quali il tango fra Caterina de’ Medici e Guisa o l’apertura del sipario di ferro come una ouverture d’opera, per accompagnare la sensibilità angosciata dei personaggi in crisi.

Il regista spiega l’espressionismo di Lulu (spettacolo del febbraio 1972) quale «mythe tipiquement bourgeois» (p. 192) e vede l’eroina quale agente perturbante degli intellettuali che la amano. Il film di Pabst (Loulou 1929) è fonte di suggestioni, anche spaziali al regista che va in cerca dei luoghi e con Peduzzi li trova nell’architettura degli anni Venti, «ce qui convient le mieux à ce monde» (p. 199). Restano dubbi sulla musica, che pur evocata negli appunti di Chéreau (p. 193), non trova riscontro nella locandina.

La gestazione del film La Chair de l'orchidée, uscito nel 1975, è ricostruita in questi anni “italiani” caratterizzati dai tanti frenetici viaggi europei dell’artista. Dal 1970, la ricerca di produttori e l’anno dopo, note sugli esterni. Poche pagine occupa lo schema – in diciassette paragrafi – della sceneggiatura originale tratta dal romanzo di James H. Chase pubblicato nei Gialli Mondadori. È affidato in Prefazione a Charlotte Rampling, una delle interpreti femminili, il ricordo del regista.

In occasione di La finta serva (regia elaborata in parte a Catania), Chéreau vagheggiava una «categorie esthétique qui serait l’allégorie […]. Je crois paradoxalement que le théâtre est l’endroit où l’on peut voir le plus les idées et les idéologies, où les idées deviennent concrètes» (pp. 152-153). Malgrado la dichiarazione d’intenti di esaltare le idee fino a renderle allegorie (in tendenza consonante con Antoine Vitez), la memoria, anche postuma, dello spettatore più sensibile serba il dono della concretezza corporea dell’attore che quelle idee sa rappresentare.


di Gianni Poli


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