Pubblichiamo una
recensione di Siro Ferrone al libro a cura di Andrea Fabiano in occasione della
prossima presentazione del volume al Teatro della Pergola di Firenze (24 ottobre
2018,
Libri a teatro). Si veda anche la recensione di Lorenzo Galletti al volume.
Riportiamo qui
di seguito un estratto, a nostro avviso significativo, della bella Introduzione di Andrea Fabiano al volume
da lui stesso curato: «Nel disegnare lincerto perimetro dellautorialità
goldoniana in questo periodo (ma il discorso funziona anche per altri momenti
cerniera come quello desordio al San Samuele o come nel corso dellultimo
soggiorno romano), è necessario considerare anche che le diverse testimonianze
indicano scritture a quattro e più mani in cui Goldoni e gli attori lavorano insieme alla composizione
drammaturgica delloggetto spettacolare, di cui la versione teatrale scritta è
assente o frammentaria. […] Impossibile chiaramente misurare lapporto
quantitativo del Goldoni, ma è evidente invece quello qualitativo che permette
il cambiamento in positivo della ricezione, testimonianza di una vera e propria
scrittura a quattro mani. Esiste […] una
circolarità della scrittura goldoniana di questo periodo, nel suo riattivare
antichi canovacci e vecchie maschere, nel far riemergere la memoria profonda
della “commedia dellarte”, circolarità con lapprendistato dautore realizzato
in compagnia del Truffaldino Sacco
al San Samuele di Venezia; circolarità che si concretizza proprio nella
rinnovata opzione della redazione a più mani e a più voci, nella commistione
con la scrittura teatrale degli attori, nella scelta dellopzione della
redazione a più mani e a più voci, nella commistione con la scrittura teatrale
degli attori, nella scelta dellopzione della concertazione dautore» (pp. 29-32).
Lo studioso giunge
quindi a fornire una lettura in qualche modo “‘manierista” del rapporto
fra lo scrittore e lattore di riferimento, Felice Sacchi «detto anche Felicino Sacchetto/Sacchetti […] un
giovane – nato nel 1735 – che studia attentamente il suo omonimo, il celebre
Antonio Sacco, non in quanto rimpiazzo della stessa compagnia, ma dalla
posizione dello spettatore che prende appunti. Si tratta quindi di un imitatore
sfrontato, che probabilmente gioca anche sullambiguità del nome, un attento
lettore delle capacità recitative di Antonio di cui seleziona “tutto il buono”
per costruirsi un “generico di cose graziose” di cui servirsi, rivelando quindi
come la recitazione del grande Truffaldino avesse ormai fatto scuola,
costituendo una maniera alla Antonio Sacco, una stilizzazione riciclabile ed
esportabile con successo» (p. 32). Fabiano commenta poi precisando che
lassunzione di questo Sacco n. 2 non deve essere ricondotta alla volontà di
Goldoni di replicare limmagine del Sacco dantan,
quanto piuttosto allintenzione di mettere in scena uno strumento vivente
capace di «decostruire il repertorio dellArte del San Samuele, dando così vita
ad una diversa tonalità drammatica di tipo manieristico, attraverso uneco o un
riflesso che restituisse in maniera anomala loggetto». Lassunzione in scena
di questo attore sarebbe dunque la rappresentazione parodica di «una vecchia maniera di far teatro»
(p. 34). Ipotesi intelligente da
verificare su altri testi goldoniani coevi nella convinzione che, comunque, lo
strumento parodico sarà il principio progressivamente dominante del teatro che
dopo verrà.
di Siro Ferrone
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