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Enrico Zucchi

Il «tiranno» e il «dilettante». La dissertazione epistolare di Pietro Calepio sopra la «Merope» di Scipione Maffei e la critica teatrale del primo Settecento


Verona, Edizioni QuiEdit, 2017, 219 pp., euro 22,00
ISBN 978-88-6464-457-8

Questo studio costituisce un contributo importante alla messa in luce della storiografia teatrale settecentesca con particolare riferimento al repertorio tragico del tempo: degli italiani sono studiati soprattutto Giovanni Mario Crescimbeni, Gian Vincenzo Gravina e Ludovico Antonio Muratori; tra i francesi di particolare interesse sono i riferimenti a Pierre Corneille e all’abate François Hédelin d’Aubignac

Enrico Zucchi ha il merito di sottolineare come le opere di Scipione Maffei (Verona, 1675-1755) registrino un felice «adattamento del codice compositivo tradizionale alle esigenze sceniche che venivano colte dai professionisti del teatro», tanto che nel dramma di maggiore interesse dello scrittore veronese (Merope, opera composta nel 1713 ma edita solo nel 1730, insieme ad altri lavori) pare di poter rilevare che resista «quanto della Poetica di Aristotele si confaceva alle esigenze di un pubblico moderno». L’ibridazione di antico e moderno, dovuta anche al contributo scenico degli attori, avrebbe consentito una felice trasgressione delle norme di quella «scrittura regolata» che era invece ricercata con una certa ostinazione da altri drammaturghi del primo Settecento (p. 40). 

Se l’autore del saggio ricorda opportunamente quanto i testi di quel periodo obbedissero alle riserve moralistiche (soprattutto di fonte italiana) avverse alle rappresentazioni erotiche del repertorio francese, d’altro canto rileva come quell’atteggiamento non ripiegasse verso l’esile sentimentalismo che era uno dei caratteri distintivi del genere letterario e teatrale a quel tempo in voga: la pastorale d’ispirazione seicentesca. Per la rappresentazione delle tensioni passionali e tragiche i testi di quella drammaturgia si servono di uno stile di ispirazione “classicista”. Un tema – questo dei contenuti e delle forme espressive delle passioni messe in scena e sulla carta – su cui si sono soffermati, in altre occasioni e con ottimi contributi, studiosi quali Giovanna Gronda, Silvia Contarini, Arnaldo Di Benedetto, Paola Luciani e Enrico Mattioda: tutti, in questo libro, opportunamente utilizzati e menzionati. Si tratta, del resto, di uno dei motivi cardine dell’evoluzione drammaturgica che segnò la riflessione teorica e la sperimentazione di quel tempo. 

Nel libro l’autore suggerisce anche alcune utili correzioni intorno alla biografia calepiana.



di Siro Ferrone


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