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Arnaud Maïsetti

Bernard-Marie Koltès


Paris, Les Éditions de Minuit, 20188, 350 pp., euro 18,50
ISBN 978-2-7073-4394-9

A vent’anni dalla morte di Bernard-Marie Koltès (1948-1989), si tennero nel 2009 due convegni di studio (Caen e Parigi) sul drammaturgo francese che, dopo la messa in scena delle sue pièces da parte di Patrice Chéreau, era diventato famoso. Nel 2010 usciva su Koltès la prima biografia, opera della giornalista di «Le Monde» Brigitte Salino. Oggi si dedica a ricostruirne la vicenda umana e artistica Arnaud Maïsetti, uno dei curatori degli Atti dei convegni citati.

Il merito di questo nuovo contributo risiede nel confronto tra la situazione dello scrittore e la creazione dell’opera, mostrando l’integrazione delle componenti artistiche con quelle esistenziali. Si valutano le acquisizioni dei viaggi e le loro ricadute sugli scritti e nuova importanza si attribuisce alla fonte primaria della corrispondenza. Il volume è strutturato in ventisei capitoli, di cui diciassette centrati sulle opere. Maïsetti divide la materia in tre decadi: gli anni Ottanta del Novecento, che segnano lo sbocciare e l’affermazione di Koltès; gli anni Novanta, nei quali la sua produzione, letta e commentata, viene classificata fra i classici contemporanei; e il primo decennio del Duemila, in cui essa trova diffusione nel mondo. L’autore, per il quale «la vie et son pacte demeurent intacts» (p. 11), ritiene inscindibili vita e opere: «une vie essentielle en regard de l’oeuvre s’écrit en raison de la vie, et pour puiser en elle les énergies capables de toujours lui donner naissance» (p. 13).

Il Prologo riporta come decisivo l’incontro di Koltès studente con la rappresentazione di Medée di Seneca a Strasburgo nel gennaio 1968, recitata da Maria Casarès e diretta da Jorge Lavelli. L’avvenimento, ritenuto fondativo della sua vocazione, è all’origine d’una “mitologia” ricorrente in tanti profili del drammaturgo, che qui trova convalida in documenti circostanziati: «Koltès eprouve comme une vocation le choix de l’art […]. Après ce soir, rien ne sera comme avant» (p. 27). Il giovane, iscritto all’Università di Strasburgo (in Giornalismo), rivela subito la sua insofferenza per gli studi regolari e per l’istituzione teatrale.

Il racconto si sofferma utilmente sui primi anni Settanta, nei quali il drammaturgo in nuce manifesta slanci e frustrazioni, ricerca della solitudine, sia pure nella disponibilità a collaborare con i coetanei, che risentono del suo carisma. L’artista traccia allora le linee più impegnative per il futuro, nel “patto” per una scrittura unica e riconoscibile, pure incappando in immancabili velleità e presunzioni. Anni in cui i testi sono scritti in vista dell’immediata rappresentazione, in una sorta di delirante fervore creativo. La comunità che costituisce il Théâtre du Quai, insediato occasionalmente in una chiesa, approda a ripetuti fallimenti. Si susseguono testi e spettacoli, collegati al consiglio critico di Hubert Gignoux (direttore della Comédie de l’Est a Strasburgo): Les Amertumes, da Gorkij, nel 1970, seguito da La Marche, ispirato al Cantico dei cantici; l’adattamento di Delitto e castigo (Procès ivre, 1971) di Dostoevskij. Temi e scrittura diventano originali in L’Eritage, che viene radiotrasmesso nel dicembre 1972.

Il seguito della vita di Koltès è segnato da delusione, depressione e droga. Poi si disintossica. Aderisce al Partito Comunista, per scelta polemica verso la benpensante borghesia cattolica di Metz. Con La Nuit juste avant les forêts (1977) la scrittura attinge alle origini essenziali e significative, si nutre della musicalità delle fughe di Bach e lascia affiorare l’omosessualità latente. La composizione di Sallinger comporta approssimazioni e riscritture, con cambio di titolo. La creazione nel 1978 a Lione, con regia di Bruno Boëglin, è deludente per il drammaturgo benché la sua “fedeltà” non ceda, fino alla creazione francese di Roberto Zucco nel 1991.

«L’Afrique est un ancien rêve» (p. 132), nota il biografo per introdurre alla nascita di Combat de nègre et de chiens. È l’impressione potente dell’incontro con il continente nero, nell’immagine d’un cantiere e in quella del protagonista, Nwofia. Applicazione della visione marxista a un impulso ricevuto nel viaggio del 1978, choc rielaborato in Sud America: «sur le chantier, Koltès ne commence pas l’intrigue, mais recueille cette masse d’émotions et d’images» (p. 145), dapprima intitolata Pour Nwofia. Fra le più interessanti, le pagine dedicate alla definizione della pièce cui deve la fama, scritta e conclusa nel 1979 a San Pedro La Laguna, «un Paradis réel et charnel» (p. 175). Il capitolo “Quai” de New York et “Combat” de Nanterre documenta il viaggio negli USA del 1981 e la creazione assoluta di Combat, di scena al MaMa Annex di New York (dicembre 1982) col titolo Come Dog, Come Night. Spinto dai successi, l’autore conclude Quai Ouest. La dedica a Casarès sembra saldare un debito di riconoscenza. Lo spettacolo dalle misure inusitate, secondo la “scénographie mentale” immaginata da Koltès, sarà allestito a Nanterre. Un fiasco e una perdita finanziaria.

Il resto della vicenda rientra in conoscenze in parte già presenti alla critica italiana. Il libro però approfondisce circostanze di elaborazione degli ultimi capolavori. Mentre affronta le prove cinematografiche di Nickel Stuff e di Le Dernier Dragon, lo scrittore contrae l’AIDS, malattia ancora sconosciuta. Dans la solitude des champs de coton (1987) viene composta a New York sotto l’urgenza e la paura, esprimendo una vivente “théologie du désir”. Il campo geometrico e teorico dell’atto unico circoscrive bene la questione dell’omosessualità, mascherata, ma non meno attiva. Le tre versioni per la scena, prodotte da Chéreau, causeranno malintesi con l’autore e divisioni nella critica. Altro incontro determinante, quello con Jacqueline Maillan, per la quale Koltès scrive Le retour au désert, suggestionato dalla sfida con «le masque comique» che l’attrice contrappone a quello tragico di Casarès. Ne nasce un vaudeville, ambientato nella città natale, ma distorto dall’eco della guerra d’Algeria. Infine, la gestazione di Roberto Zucco, fecondata dalla figura reale di Roberto Succo, assassino dei genitori, è rievocata con tratti storici ed estetici molto pertinenti. Le immagini, tragiche e archetipiche, emergono da un soggetto confidato a Colette Godard («Le Monde», 28 settembre 1988) e si sviluppano (come mostra la redazione manoscritta) nell’invenzione di un personaggio-mito, tratto dalla Storia. Il funerale e la sepoltura, nel cimitero parigino di Montparnasse, chiudono la narrazione d’una vita troppo presto troncata.


di Gianni Poli


La copertina

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