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Le corps, ses dimensions cachées
Pratiques scéniques
A cura di Guy Freixe

Montpellier, Deuxième époque, 2017, 288 pp., euro 25,00
ISBN 978-2-37769-018-3

All’origine del libro è un convegno tenuto al Centre Dramatique National di Besançon nel marzo del 2016 sulle potenzialità nascoste del corpo e i loro effetti sulle performances spettacolari. Più che di Atti si tratta di un’opera collettiva integrata, all’incrocio fra il teatro, la danza, il mimo, il circo e la marionetta. Scrive in apertura Guy Freixe: «Ce qui ne se voit pas du corps et qui fait pourtant toute la force de la présence en scène de l’acteur est ce qui constitue à proprement parler l’objet de la recherche du présent ouvrage» (p. 9).

Individuato l’oggetto, l’indagine a largo raggio adotta discipline antropologiche, estetiche e psico-fisiologiche, concentrate sulla funzione del corpo in aspetti specifici delle arti dello spettacolo. La raccolta risulta eterogenea, nelle marcate singolarità dei contributori, eppure offre l’impressione d’una notevole concordanza complessiva di obiettivi e di suggestioni. I titoli dei capitoli, a partire da Entre fragilité et chaos, tracciano confini abbastanza liberi per concetti, fenomeni ed esperienze distinti e variabili accomunati dalla presenza del corpo dell’attore. «Un corps qui montre et cache à la fois […] corps rêvant, qui ouvre un au-delà du sens et du sensible, et rayonne à partir du mystère de l’en dedans» (p. 10).      

Aurore Desprès denuncia il metodo pregiudiziale, tipico della critica occidentale, responsabile di separare la vita e la morte, di scindere il corpo dallo spirito (p. 15). La studiosa s’impegna a ridefinire la corporeité sulla base di complesse esemplificazioni teoriche e applicative, tratte da studiosi, coreografi e interpreti. Cita Michel Bernard che, nella scia di Derrida, Delèuze-Guattari e Artaud, definisce «la corporeité […] un réseau matériel et énergétique mobile, instable, de forces pulsionnelles» (p. 17). Per Hubert Godard, la corporeità si presenta désarmée e, nelle ricerche etnopsichiatriche di Bruno Latour, quella condizione si qualifica come échevelée o étoilée-étiolée (p. 19). Nel saggio è difficile cogliere i significati molteplici di tante nozioni e ipotesi sovrapposte. Il discorso si complica nell’osservare le modalità con cui si rappresentano varie forme di “omaggio” ai morti: «C’est convenir ici, avec Vinciane Despret, que les morts, en leur manière d’exister sur un autre plan, “manifestent des modes de présence qui comptent et dont on peut sentir les effets”, qu’ils ont des choses à performer». Ciò presuppone, dunque, di «entendre ce que les morts font faire aux vivants comme de suivre les vivants et les morts dans ce qui les tient ensemble» (p. 29). E la danza butô è appunto indicata quale occasione per «performer (avec) les morts» (p. 34).

Priscilla Wind considera lo scontro dialettico tra corpo e teatro e fra teatro e violenza e ammette che nelle arti sceniche «corps et langage se rencontrent dans une dialectique de l’excès: la violence introduisant un déséquilibre entre interiorité et extériorité» (p. 35). Come esempi di rappresentazioni collegate a vicende reali vissute dagli artisti, con corpi mutilati esposti in scena quali corrispettivi concreti d’un conflitto con la morte, sono citati Viol di Boto Strauss con la regia di Luc Bondy (2005) e Rwanda 94 di Groupov (2000). Oltre ad avvertire l’effetto catartico di tali esibizioni “traumatiche”, si osserva: «dans le théâtre contemporain, la violence physique permet aux artistes d’interroger cette déshumanisation et instrumentalisation du corps d’aujourd’hui, entre culte et torture» (p. 44).

Laurent Devèze, nelle potenzialità della performance come esperienza del caos ed espressione dell’intimità, distingue la «performance-performée» dalla «performance-performante» (p. 49), cogliendo l’evento scenico «comme don de soi» (p. 51).

Il pensiero di San Paolo e di Artaud guida la riflessione di Christine Douxami sul fenomeno della trance in scena, sia nel training dell’attore, sia nel rituale e nelle forme di teatro popolare: situazioni in cui diventano più critici i problemi di controllo e di gestione degli stati di trance.

Philippe Goudard offre una sintesi densa sull’arte circense: «les conditions de vie et d’exercice des acteurs de cirque […] partecipent autant que leurs spectacles à la fascination universelle qu’ils exercent en présentant “entre l’elan et la chute, un chaos organisé pour le plaisir des sens”» (p. 78).

Un insolito senso di bellezza comunica la relazione di Sandy Sun, dettata dall’esperienza di trapezista; fondendo estetica, etica e tecnica, le sue osservazioni sul funambolo riecheggiano le intuizioni di Genet: «la vitalité de l’artiste fait reculer la mort» (p. 87).

Georges Banu storicizza la teatralizzazione del dolore attraverso le lacrime, con paradigmi poetici e fisiologici. «Le théâtre russe et soviétique doit être saisi à un double niveau – afferma Stéphane Poliakov – création des spectacles et pédagogie» (p. 109). Segue una dissertazione sulla concezione di Stanislavskij, centrata sulla perezivanie, «la vie éprouvée», e sulla sua relazione dialettica con la biomeccanica di Mejerchol’d.

Gli ultimi tre spettacoli diretti da Patrice Chéreau danno lo spunto ad Anne-Françoise Benhamou per ripercorre la storia del rapporto vitalistico e appassionato del regista con i suoi attori, a partire dal momento centrale del loro contatto fisico, nei momenti clou della rappresentazione. Partendo dall’addio memorabile di due corpi desideranti e straziati dal distacco nel Richard II (1970), si analizzano gli allestimenti di due pièces di Jon Fosse: Rêve d’automne e I Am the Wind (2011), nonché quello dell’Elektra di Strauss (2013). L’erotismo esaltato nel primo spettacolo rinvia al secondo con un moto «qui commence comme une étreinte et s’achève en deposition» (p. 125), in una tensione fra l’angoscia delle parole e la dolcezza del gesto.

Jean-François Dusigne premette una storia “elementare” del Teatro d’Arte al suo incontro-conversazione con Marcus Borja e i suoi collaboratori, attorno allo spettacolo Théâtre allestito nell’oscurità completa per sfruttare al massimo l’udito.

L’influenza e il ruolo della musica sulla recitazione al Théâtre du Soleil, è il tema che Pierre Longuenesse trae dall’opera del musicista Jean-Jacques Lemêtre, un’azione creativa fra incarnazione e sublimazione, secondo il battito d’un “tempo” più organico che psicologico (p. 153).

Claire Eggen racconta la propria esperienza sul “movimento” maturata grazie alla lezione dei maestri Étienne Décroux e Gordon Craig. Le tappe dell’acquisizione della propria corporeità sono segnate dagli aforismi del mimo francese: «être là sans être là, en étant là» e «un corps réel devenu fictif. Un corps extra/ordinaire» (p. 166).

Aspetti didattici tocca Johanne Benoît in La Technique Alexander appliquée au jeu de l’acteur. Trattano di pratiche a scopo terapeutico, oltre che artistico, i saggi di Pascal Weber e Carolane Sanchez.

Oksana Bulgakova ritiene la voce un prodotto della cultura e segnala alcune metafore connesse con la sua nozione. Nota, inoltre, come la voce riprodotta elettronicamente, con l’avvento del sonoro nel cinema, abbia influito sulle tecniche d’emissione vocale a teatro.

Aurélie Gallois esamina il formarsi di “personaggi” mediante proiezione di immagini umane su figure artificiali (poupées) nelle realizzazioni di Marleau e Jasmin, presso la Compagnia UBU di Montréal, ispirate all’utopia simbolista di Maeterlinck. Gli attori, sostituiti da androidi con i volti disegnati da proiezioni, appaiono i prodotti d’una «métaphysique du corps» (p. 250).

Concludono il volume due Conversazioni sulle interpretazioni degli attori Claude Duparfait, Denis Loubaton e John Arnold. Le fotografie fuori testo permettono di meglio apprezzare i commenti agli spettacoli citati. 

Come dimostrava un lavoro uscito nel 2003 (Le Corps en jeu, a cura di Odette Aslan, Parigi, C.N.R.S.), il confronto fra le arti e le scienze è metodo valido d’indagine sull’evoluzione culturale del nostro tempo. L’apporto reso da quest’ultima serie di sondaggi, insolitamente ricca e concentrata, estende e approfondisce la materia rendendola fruibile soprattutto da specialisti e artisti dello spettacolo.   

di Gianni Poli


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