In continuità
con il primo numero del 2017 leditoriale di Paul Rae (Editorial: Stupidity,
pp. 113-118) prosegue la riflessione sulle difficoltà dello studioso di oggi nel
farsi interprete e portavoce della complessità della società attraverso la
lente delle pratiche performative. Stavolta lattenzione si focalizza sul
concetto di “stupidità”, intesa come caratteristica precipua della socialità
delluomo contemporaneo. Limpossibilità di soddisfare agli interrogativi di base
di ogni buon articolo (chi, cosa, come, dove, quando, perché) dimostrerebbe,
secondo Rae, lesistenza di un perenne disallineamento tra la necessità
produttiva e la sete di conoscenza del lettore. Per essere convincente chi
scrive deve essere in grado di produrre in chi legge una “insensibilità” verso argomentazioni
altre, per esempio omettendo dettagli determinanti (è il caso dei discorsi
tenuti da Donald Trump durante
lultima campagna elettorale statunitense). Parafrasando Gilles Deleuze, la stupidità «struttura il pensiero» (Difference and Repetition, London-New York, Continuum, 2004, p. 189) e,
di conseguenza, determina il grado del significato.
Larticolo di
apertura di Wei Feng (Performing Comic Failure in Waiting for
Godot with Jingju Actors, pp. 119-131) prende in esame ladattamento di Waiting for Godot (1953) di Beckett a opera della troupe taiwanese Contemporary Legend
Theatre diretta da Wu Hsing-kuo
(2005). La compagnia, rinomata per la commistione di tecniche proprie
dellopera pechinese (jingju) con
quelle di tradizione occidentale, si trova di fronte sfide formali legate alla messa
in scena di quei “comici fallimenti” che sottolineano lincapacità dei
personaggi beckettiani di ottenere successi, seppur minimi, nel mondo
metafisico che li circonda.
Anche Seokhun Choi (The Marionette: Intermedial Presence and B-Boy Culture in South Korea,
pp. 132-145) si concentra su una specifica messinscena: The Marionette. Uno show,
diventato fenomeno cult nella cultura
sudcoreana a partire dal 2005 che, abbinando la danza alla video-arte, rivisita in chiave moderna il
tradizionale spettacolo di marionette dando vita a una vera e propria performance intermediale.
Gay
Morris (Dinosaures Become Birds: Changing Cultural
Values in Cape Town, pp. 146-162) si occupa del sudafricano Zabalaza
Festival, promosso dal Baxter Theatre di Città del Capo. Alla luce della biforcazione
tra teatro cittadino e teatro di periferia nella capitale legislativa del
Sudafrica, Morris evidenzia le profonde differenze estetiche, tematiche e
finanziarie derivanti da una legislazione ancora molto legata al separatismo razziale.
In “Violence without Violence” (pp.
163-178) Clare Finburgh approfondisce
le tematiche dellassenza di virtuosità e del distorto approccio alla
mediatizzazione analizzando la pièce MINEFIELD/CAMPO
MINADO dellargentina Lola Aria,
rappresentata nel 2016 al Royal Court Theatre di Londra. Lo spettacolo vede in
scena sei ex soldati britannici e argentini reduci dalla guerra delle Isole
Falkland (aprile-giugno 1982). Lautore smaschera la strumentalizzazione delleroismo
e della virtù da parte dei leaders
politici e dei media.
Della stessa opera
si occupa Cecilia Sosa, mettendone a
confronto due allestimenti realizzati rispettivamente a Londra e a Buenos Aires nel
2016 (CAMPO MINADO/MINEFIELD: War, Affect
and Vulnerability. A Spectacle of Intimate Power, pp. 179-189). Sosa sottolinea
la differente ricezione dello spettacolo nelle due città, nonché la capacità
del teatro di creare ponti transnazionali sollecitando la partecipazione del
pubblico. In coda al fascicolo si segnalano
due consueti strumenti di lavoro: Book Reviews (pp. 190-207), con
le recensioni dei principali studi in lingua inglese di argomento teatrale,
e Book Received (p. 208), con le segnalazioni delle ultime
pubblicazioni di area anglosassone. Chiude il numero un ampio dossier dal
titolo Snapshot: Brazil (pp. 209-242)
dedicato alle maggiori novità del panorama teatrale brasiliano.
di Andrea Simone
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