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Koffi Kwahulé

L’Odeur des arbres et autres pièces
Un doux murmure de silence. Le Jour où Ti’zac enjamba la peur

Montreuil, Éditions Théâtrales, 2016, 132 pp., euro 18,00
ISBN 978-2-84260-715-9

L’autore, d’origine africana (Costa d’Avorio, 1956), drammaturgo e narratore (due suoi romanzi sono apparsi per Gallimard), è pressoché sconosciuto in Italia, malgrado alcune sue pièces siano state rappresentate nel nostro paese nei primi anni Duemila e cinque di esse siano state tradotte in italiano e pubblicate. Uno fra i tanti casi di “rimozione” da parte dei professionisti delle scene nazionali che lamentano la carenza di opere nuove, là dove promuovono di preferenza quelle a loro note.

L’odeurs des arbres (Grand Prix de littérature dramatique 2017) è il frutto maturo di un’opera che si afferma a partire dalla fine del Novecento, distinguendosi per la rara potenza del suo linguaggio che fonde il senso delle contraddizioni più attuali del nostro vivere con l’immaginazione poetica. Ne derivano azioni sceniche in cui violenze inaudite e ardite metafore costituiscono l’orginalità espressiva d’una visione teatralizzata dei rapporti umani. La concretezza delle situazioni nasce da percezioni (paesaggi, sentimenti, mitologie) che, investite dalla fantasia per diventare favola, illuminano di nuova intensità il reale. Questa teatralità è popolata di voci che s’incarnano in figure in stretta relazione spaziale, quasi una coreografia necessaria, tanto con i corpi quanto con i simboli che essi rappresentano.

La protagonista dello spettacolo è Shaïne, una donna che dopo tanti anni torna alla città natale africana per chiarire le circostanze della morte del padre. L’accoglienza della famiglia è ostile e l’incontro si trasforma in uno scontro per lei fatale. Nel frattempo la città è cambiata: l’autostrada che la collega al resto del mondo ha portato sviluppo e benessere. Si capirà poi a qual prezzo e a beneficio di chi.  

Il testo presenta otto scene di durata diversa: Le vol immobile des éperviers, Shaïne, Un filet de chant, Maison, La route, L’œil, Ces choses à faire, Sous l’incandescent silence du ciel, tappe d’avvicinamento della protagonista a una verità subito intuita ma rischiosamente perseguita. I nomi dei personaggi non vengono esplicitati, come se l’autore sfidasse il lettore a connotare i ruoli determinati dalle battute. La famiglia di Shaïne, composta dal padre, due figlie e un figlio, dopo la partenza di lei degenera, mossa da interessi venali, sessuali o funzionalmente sociali. Così svende casa e podere alla multinazionale cinese costruttrice dell’autostrada. Ézéchiel, il famigliare più giovane, coltiva la musica, ha tendenze omosessuali (si fa chiamare Ezgi) e sogna di partecipare al concorso di Miss Universo. Nella scena intitolata La route, egli racconta alla sorella assetata di giustizia come il consorzio abbia ottenuto la casa e il terreno mediante intimidazioni e denaro, e come il padre, sgozzato dalla figlia Zein’ke con l’aiuto dell’amante, sia stato sepolto sotto l’edificio spianato dalle ruspe: «Papa n’est pas parti en voyage […]; même s’il n’y a pas de tombe, la ville n’a pas pu ne pas entendre la détresse qui, cette nuit-là, a fendu l’âme de la nuit de part en part» (p. 30).

Nello scambio di confidenze e confessioni, s’allarga il mistero di azioni da tragedia antica. Una specie d’intermezzo, L’oeil, spiega la nascita di Fow’di – il bambino silenzioso che gioca sulla strada – frutto dell’unione di Zein’ke con Na’ba. Lirica la dichiarazione di quest’ultimo rievocata davanti a Shaïne, suo primo vero amore. Epica la storia del nonno che visse con un occhio di vetro e da quello seppe trarre sostentamento, in un sapido aneddoto sulla furba saggezza dell’africano nativo che usa l’ironia per sfaldare il mito con affetto e pudore. La tenacia di Shaïne e la minaccia d’un processo turbano i colpevoli che spaventano Ézechiel, tanto da indurlo a uccidere l’intrusa. Il suo cadavere sarà sepolto in mezzo al lago che, ormai secco, diventerà la piscina di un resort di lusso. 

In Un doux murmure de silence si susseguono sei scene di taglio espressionista. Una coppia che ha appena perduto il figlio militare in Afghanistan tenta di ridare un senso alla propria vita organizzando laboratori di scrittura per i carcerati. Lei (Linda) suscita l’ammirazione (se non l’amore) di Matéo, un giovane recluso che l’ammira, la adula e la perseguita. Il marito Michel ne è al corrente. Una situazione di rapporti distorti fra i sessi di quelle care all’autore.

Il dramma (o commedia surreale) inizia col racconto d’una violenza subita da Linda (sorpresa da Matéo), da lei rielaborata nella sua esercitazione creativa. L’azione procede per paradossi e richiede una continua ricostruzione del puzzle logico coinvolgente i tre protagonisti in episodi significativi come l’identificazione di Matéo con Thibaut, il figlio morto diciannovenne; o come l’istigazione alla violenza masochista che parte dalla donna, quando provoca Matéo perché la aggredisca con una matita appuntita. In presenza di Michel, l’apprendista scrittore pare pronto a colpire veramente la donna, in un gioco ai limiti dell’orrore, della finzione estrema.

Quindi avviene l’incontro di Matéo con Michel: «Je vous ai fait venir ici pour vous tuer, Michel» (p. 69). Il melodramma compone il triangolo fra moglie, marito e amante: «Matéo lui plante le crayon dans le coeur. […] Michel meurt» (p. 70). L’immaginazione illogicamente sbrigliata si coagula in nuclei realistici contingenti: la verità dei condizionamenti umani vi riappare in gesti ineludibili. Infatti subito dopo, vestito come Thibaut, Matéo rientra e consegna a Linda il risultato della sua prova di scrittura, intitolata Linda ou le Journal intime de mon imagination. Segue la confessione dell’assassinio per il quale Matéo sconta la pena. Si profila così la possibilità d’una convivenza più armoniosa, se pur dolorosa, fra i tre. L’aspetto morboso è sempre ironizzato e viene riscattato dalla scelta linguistica: «un doux murmure de silence» segnala la femminilità misteriosa della donna, che di Matéo potrebbe essere la madre. L’amplesso è descritto con perifrasi e metafore tratte dalla sfera religiosa.

Le Jour où Ti’zac enjamba la peur racconta la scomparsa d’un pescatore in mare e la ricerca condotta dal figlio tra l’indifferenza dei compaesani. I toni farseschi prevalgono in una favola che s’alimenta dei segni contraddittori di solidarietà e di connivenza. Sono sei personaggi e un  coro con orchestra a recitare una storia nata da un sopruso: il furto della pesca, il trasbordo sul battello dei ladri. Uno scandalo è provocato da Ti’zac quando smaschera l’inganno di un funerale nel quale la bara si rivela vuota. Un comico vaudeville con rissa rende pubblico un adulterio. Fra le varianti corali, la storia di una sirena che scoreggia. Nell’inseguimento coraggioso ma mortale della nave pirata perisce Ti’zac mentre nasce suo figlio: una favola con un messaggio scherzoso, ma non indulgente, verso le magagne che colpiscono sia gli umili sia i potenti.

Tanti destini diversi – e ciò vale anche per le opere precedenti – sono regolati da leggi naturali ma sensibili alla responsabilità umana; ed è questa, per l’autore, la forza da opporre agli istinti, in analogia alla scelta che distingue l’artista nella ricerca della bellezza, meta difficile e tanto più sognata quanto più gratuita.


di Gianni Poli


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