La
drammaturgia da tempo utilizza il “testo materiale”– illuminazione, suono,
colore, gestualità ecc. – come canale di comunicazione e portatore di
significato. Questo nuovo numero della rivista francese si occupa dellilluminazione
a teatro, mettendo insieme gli studi sulla tecnica con quelli sul linguaggio
espressivo. Secondo i due curatori Sabine
Chaouche e Jean-Yves Vialleton la luce a teatro non è solo uno strumento ma
un vero elemento drammaturgico, ed è perciò importante riflettere sul «rapport
entre un art et le dispositifs techniques sur lequel il sappuie» (p. 7).
Nella
prima parte del fascicolo (Histoire des
techniques déclairage, pp. 11-56) si esamina la storia dei dispositivi illuminotecnici,
dalla candela di sego al moderno “testa mobile”, tenendo presenti quegli
elementi – tecnici ma anche sociali e di costume – che ne hanno condizionato
levoluzione. Nella seconda parte (Naissance et essor dune penseé de
léclairage, pp. 57-80) si
approfondisce la nascita e lo sviluppo di una teoria estetica
dellilluminazione. Nella terza (La
création lumière, pp. 81-104) si affrontano le problematiche del mestiere
della progettazione luci. Diverse le competenze degli autori dei saggi:
dallaccademico al giornalista, dal lighting
designer fattosi divulgatore fino al
conferenziere e al blogger.
In Lumières
du théâtre, lumières de la ville. Léclairage au XVIIe
et XVIIIe siècle
Pauline Lemaigre-Gaffier ripercorre
la storia della illuminazione a teatro, dalla originaria “unità” tra palco e
sala a un uso più consapevole della luce (benché ancora poco sostenuto dalla
tecnica). A metà Seicento si definisce una prima idea di “impianto”
luministico, ancora con candele di sego (difficili da gestire, da pulire,
maleodoranti e poco pratiche), composto da luci laterali e luci in sospensione
sulle
herses (le antenate delle odierne “americane”) o disposte sulla rampe in posizione frontale. Si va verso
unenfatizzazione della luce a vantaggio della spettacolarità dellazione
attraverso luso di vetri colorati e teli semitrasparenti illuminati in
controluce con effetti suggestivi. La svolta avviene nel Settecento con le
lampade a olio: nel 1784 fanno il loro ingresso alla Comédie Française, nel
1785 allOpéra.
In
Les grandes nouveautés de lâge
industriel Patrice Guérin si
concentra sul passaggio allilluminazione a gas e poi allelettricità. Luso
del gas a teatro arriva nel 1810 in Inghilterra; nel 1819 lOpéra di Parigi
rimane chiusa una settimana per adeguare il vecchio impianto alle nuove tecnologie.
Molto efficiente nella resa, il gas si diffonde progressivamente fino al 1887,
quando allOpéra Comique ottantotto persone restano uccise in un incendio.
Lanno dopo il Prefetto firma unordinanza per convertire i luoghi pubblici
allelettricità. Un nuovo miglioramento si avrà con la luce ossidrica (ossigeno
e idrogeno ad alta pressione che rendono incandescente un pezzo di materiale
refrattario), tecnica che tuttavia resterà confinata agli “effetti”.
In
Léclairage électrique et son évolution
au XXe siècle Jean Gervais riflette sulle ricerche di fine
Ottocento (tra cui quelle di Edison e
di Swan) volte a ricavare luce
dallelettricità. Il primo teatro a farlo è il Savoy di Londra nel 1881; nel 1883 le Variétés di Parigi ne fa
unapplicazione diffusa, nonostante i problemi relativi alla necessità di utilizzare e regolare il
funzionamento di un generatore di
grandi dimensioni. In questo periodo, tra coloro che sperimentano le
potenzialità estetiche e drammaturgiche dellelettricità in scena, si può
ricordare Appia che teorizza unilluminazione che capace di valorizzare attori e danzatori. A inizio Novecento
compaiono le gelatine, fogli di poliestere o policarbonato colorati da inserire
davanti alle lampade. Si sviluppa così il concetto della gradazione
dellintensità luminosa, ottenuta con dimmer
a resistenza e proiettori di luce tuttora in uso: PC (con lente piano
convessa), sagomatori (provvisti di “coltelli” per sagomare la luce a
piacimento), PAR (dispositivo con lampada omonima provvista di un riflettore
parabolico interno). Negli anni 80 del Novecento compaiono anche i protocolli
di comunicazione tra apparecchiature e console
luci di tipo elettronico, fino ad arrivare allodierno DMX, i “testa mobile”:
apparecchi capaci di rotazioni sia alla base che alla fonte della luce.
In
Naissance du contrôle à distance et de
lautomatisation des luminaires Olivier
Balagna si concentra sui motorizzati, portatori di una nuova estetica della
luce nello spettacolo e di un “divorzio” tra modi e tecniche di teatro e show biz. Se nel 1954 appare il primo “testa
mobile” con pan (rotazione a 360°
della base) e tilt (rotazione di 360°
della “testa”), è nel 1964 che il Basler Theatre diviene il primo teatro dotato
di un impianto di controllo delle luci a distanza, capace di memorizzare scene
ed effetti, grazie al lavoro di Fritz Von Ballmoos. La storia dei “testa
mobile” riprende negli anni 80 nello show
biz: nasce il VariLite, programmabile e con effetti di colore; mentre già
nel 1970 erano apparsi gli scanner,
proiettori a specchio rotante nei quali la luce rimbalza e viene indirizzata da
uno specchio mobile interno. Del 1966 è la prima console elettronica prodotta in serie, capace di scene, memorie, «dimmeraggi» ecc. a opera dellazienda americana Strand Lighting.
Nella
seconda parte, Cristina Grazioli («Peindre
avec la lumière […]») analizza le
teorie estetiche che, tra la fine del XVIII secolo e linizio del XIX, prendono
le mosse dalla pittura assimilando la scena a un quadro. Si sviluppa così una “poetica” della luce basata in un
primo momento sulla ricerca della verosimiglianza (che porta al risolutivo
distacco tra sala e scena) e della profondità. Del 1781 è Eidophusikon, il primo spettacolo di sola luce colorata, “dipinta”,
che si mischia a una natura in divenire. NellOttocento si fa strada lidea
della metamorfosi dello spazio scenico da “vuoto” a “pieno” grazie alla
“materia luminosa”. Saranno i maestri del XX secolo a portare a compimento il
concetto di “dipingere con la luce” proponendo differenti soluzioni. Tra costoro
spiccano Mariano Fortuny, con la sua Cupole
per luce diffusa, e Max Reinhardt, la cui idea di luce come orchestrazione
viene talvolta assimilata allarte di Rembrandt.
Aladin…ou le lampiste
merveilleux è il titolo
di un fortunato spettacolo andato in scena allAcadémie Royale de Musique nel
1822, ideato per mettere in valore le novità portate dallilluminazione a gas,
come dimostra Noémie Courtès studiando
il copione.
In
La plongée du spectateur dans le noir Christine Richier si occupa della
drammaturgia del buio a teatro. Il primo buio totale, documentato nel 1876 al Festspielhaus, si dice voluto da Wagner.
In realtà fu il frutto di un
provvido errore umano. Oggi, con luci di sicurezza e contapassi, si è tornati a
un buio relativo.
Nella
terza sezione del fascicolo Véronique
Perruchon (Esthétiques de léclairage) indaga la luce come bisogno artistico
vincolato ai mezzi utilizzati, così che una scelta tecnica diviene anche una
scelta estetica. Con lelettricità si sviluppano due orientamenti: da un lato
la ricerca di unestetica della luce, dallaltro lidea di un teatro che vuole
vedere tutto e bene. Al primo orientamento appartennero Vilar e Pierre Saveron, il primo lighting designer
che utilizzò solo luce bianca in
modo puntuale e direzionale per orientare sguardo e attenzione; al secondo
orientamento appartenne il teatro di (e alla) Brecht. Nel 2004-2005 la novità
del LED introdusse un rilevante cambiamento, offrendo più colori e al contempo essendo un sistema più
pratico, freddo e diretto.
Infine
Ariane Martinez prende in esame la
dialettica tra luce e interprete (Eclairer
linterprète en scène). La luce è un vero e proprio personaggio
“creato” a più mani dal regista, dal lighting designer, dagli attori. Un arte
al plurale.
Chiara Benedettini
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