Il
volume di Giulia Taddeo prende
spunto da unemblematica definizione di Alberto
Savinio, «serio spettacolo non serio», per analizzare, con ampiezza di
fonti prevalentemente inedite e una buona lettura critica di esse,
latteggiamento ambiguo e oscillante della cultura italiana e della stampa
della prima metà del Novecento nei confronti dellarte coreutica e degli
spettacoli di danza. Come dire lopportunità, e quindi la serietà, di occuparsi di una disciplina che nel corso dei secoli,
fra attrazione e rifiuto, fra bassa corporeità e alte considerazioni
intellettuali e filosofiche, si è sempre posta al limite dellaccettazione
sociale e che, in particolare nel ventennio fascista, viene sviscerata secondo
diverse quanto contraddittorie sfaccettature, mettendone in evidenza la ricca
complessità e lintrinseca polimorfia.
Attraverso
una coralità di punti di vista e di opinioni – dallanonimo
cronista al critico blasonato, dalla voce degli artisti e degli autori
direttamente coinvolti negli spettacoli alle reazioni del pubblico, fra
tendenze collettive e gusti personali, evidenze socio-culturali e singoli
interessi – emerge un interessante, ricco
panorama di “discorsi” teorici e pratici sulla danza e sul suo ruolo, opportuno
o meno, serio o non serio, allinterno del repertorio rappresentativo
socialmente accettabile e utile.
Un
quadro complesso in cui la stampa italiana si districa fra imposizioni di
regime e libertà espressive, in direzione di un meccanismo giornalistico in cui
la danza evidentemente poteva trovare una ragione di valorizzazione e di
indagine, a volte centrale a volte periferica, ma comunque presente nel più
ampio affresco della cultura italiana del Ventennio. Un
interesse che oscilla fra la necessità di una classificazione tipologica e
normativa, lindividuazione di un ruolo funzionale della danza, la
contrapposizione fra tradizione italiana e modernità straniera, levidenza
centrale e scomoda del corpo e quindi della contrapposizione estetica e morale
del maschile e del femminile.
Prediligendo
lasse milanese e romano, lautrice traccia una vasta mappatura di fonti
(quotidiani e periodici “indipendenti” o di regime come «Il Corriere della
Sera», «La Tribuna», «Il Giornale dItalia», «Il Popolo di Roma», «Comoedia»,
«Scenario») e di luoghi (quelli istituzionali: Teatro alla Scala di Milano, Teatro
Reale dellOpera di Roma, Maggio Musicale Fiorentino, cui si aggiungono il
Teatro Sperimentale degli Indipendenti di Anton
Giulio Bragaglia e il Teatro di Torino di Riccardo Gualino) che consente di evidenziare una fitta, intricata
rete di riflessioni giornalistiche, sempre mantenendo ben saldo e focale il
punto di vista sulla corporeità coreutica e sullindividuazione di una
specificità di genere.
Lanalisi
dei contenuti consente allautrice di sviscerare un complesso scenario di
interconnessioni e di tracciare, attraverso considerazioni eterogenee e poliprospettiche, un più vasto e
contraddittorio panorama sociale, culturale, politico e artistico, del quale la
danza, «suprema aspirazione “terrestre” delluomo» (così ancora Savinio), contribuisce a definirne lautoritratto.
di Caterina Pagnini
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