Sara Soncini
Forms of conflict. Contemporary Wars on the British Stage


Exeter, University of Exeter Press, 2015, 314 pp., 39 euro
ISBN 9780859899949

Data di pubblicazione su web 18/12/2016

La copertina

Il volume di Sara Soncini è uno studio accurato sulle strategie formali degli spettacoli teatrali inglesi a tema bellico degli ultimi due decenni. Un corpus non trascurabile di rappresentazioni in ambito sia indipendente che mainstream. Da Far Away (2000), Drunk Enough to Say I love you? (2006) e Seven Jewish Children (2009) di Caryl Churchill a Product (2005) di Mark Ravenhill; da Yesterday Was a Weird Day (2005) della compagnia Look Left, Look Right a Pornography (2007) di Simon Stephen.

Uno dei tratti caratteristici delle nuove forme di conflitto è il progressivo «offuscamento delle distinzioni tra guerra […] e violazione dei diritti umani su larga scala» (p. 2, mia la traduzione). Ciò porta a ridefinire il concetto stesso di guerra che non è «più uno status di eccezione, ma un modus vivendi» (p. 3, d'ora in avanti tutte le traduzioni sono mie). Un mutamento che il teatro contemporaneo registra e tematizza. Così, in teatro, la guerra, pur costituendo il tema portante, diventa invisibile, viene estromessa dal palco. Se la prima guerra del Golfo è stata accompagnata da una certa reticenza, con le eccezioni di The Gulf Between Us (1992) di Trevor Griffith e di In the Heart of America (1994) di Naomi Wallace, per i conflitti del nuovo millennio sono da ricordare anzitutto i lavori dei citati Churchill, Ravenhill e Stephen.

La rappresentazione dei nuovi conflitti comporta scelte etiche: l'onestà diventa spesso un tema centrale. Non sono pochi i teatranti per i quali, per raccontare le guerre iper-mediatizzate della contemporaneità, occorre avviare un lavoro di “demistificazione”. Si pensi all'intervista-manifesto rilasciata dal drammaturgo David Hare al «The Guardian». Emblematici sono i verbatim plays del Tricycle Theatre: The Permanent Way (2003) e Stuff Happens (2004) del già citato David Hare; Justifying War: Scenes from the Hutton Inquiry (2003), Bloody Sunday: Scenes from the Saville Inquiry (2005) e Called to Account (2007) di Richard Norton-Taylor; Guantanamo: “Honour Bound to Defend Freedom” (2004) di Nicolas Kent e Sacha Wares; My Name is Rachel Corrie (2005) di Alan Rickman

Sempre più centrali, d'altronde, sono i valori della parola e del vissuto personale, al punto da dar forma, sostiene l'autrice, a una vera e propria retorica della testimonianza, figlia del cinema e del teatro documentari. Alla base di tale tendenza vi è una crescente fiducia nella «memoria individuale quale depositaria di narrazioni alternative» (p. 109): la figura del testimone è una specie di «risorsa contro la totale smaterializzazione dei fatti e le lampanti inadeguatezze epistemologiche dei documenti» (p. 110). Pertengono al filone della “memoria” tre spettacoli nati in risposta agli attentati terroristici di Londra: il ciclo Shoot/Get Treasure/Repeat (2008) di Mark Ravenhill, Yesterday Was a Weird Day: Reflections on July 7th 2005 (2005) di Look Left, Look Right e Talking to Terrorists (2005) di Robin Soan.

Un altro aspetto caratterizzante delle “nuove guerre” è la mancanza di comunicazione tra i contendenti: nelle guerre globali una semplice distorsione comunicativa può essere alla base del conflitto. Di qui l'importanza crescente della figura del traduttore. L'attacco in Iraq ha «assestato un colpo finale e fatale alla nozione tradizionale di traduzione come trasferimento di un contenuto semantico e del traduttore come un canale neutro» (p. 163). Come nelle istituzioni belliche, in teatro il ruolo di traduttori e interpreti diventa centrale: si pensi a Attempts on Her Life (1997) di Martin Crimp e alla Iron Curtain Trilogy di David Edgar (The Shape of the Table, 1990; Pentecost, 1994; The Prisoner's Dilemma, 2001). A questi spettacoli si ispirano, più o meno direttamente, il già citato Pornography, Homebody/Kabul (2001) di Tony Kushner e Betrayed (2010) di George Packer.

La reinvenzione del teatro documentario in Gran Bretagna e l'ampia circolazione raggiunta dalle nuove drammaturgie a cavallo tra i due millenni ha saputo non solo rappresentare in maniera efficace i conflitti, latenti e non, degli ultimi venti anni, ma anche stimolare un proficuo dibattito. Il libro, innestando abilmente le analisi delle singole performances su una base teorica interdisciplinare e compatta, vuole ribadire il ruolo del teatro nell'interpretazione della realtà politica in cui viviamo: una constatazione che è anche, allo stesso tempo, una speranza.



Forms of conflict. Contemporary Wars on the British Stage

Indice




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                                     INDICE

Acknowledgments

1. Introduction: Scenes of War

2. This is Not a War: Mimesis in the Age of Simulacra

            2.1 Presages

            2.2 Far away, so close

            2.3 Media narratives

3. War without Conflict / Theatre without Drama

            3.1 Fragments from a warrior’s discourse

            3.2 The rest is silence

            3.3 There’s method in this randomness

4. ‘Why Fabulate?’

            4.1 Documenting war

            4.2 The tribunal play: extending the code

            4.3 Uneasy coaltions

5. The Performance of Witnessing

            5.1 The talking cure

            5.2 The artist is present

            5.3 Technologies of recollection

6. Figures of Mediation

            6.1 The translation turn

            6.2 The mediator’s invisibility

            6.3 The combat linguist

            6.4 Uncanny bodies

Appendix: New War Plays on the British Stage, 1990-2010

Works Cited

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