Sulla figura di Sebastiano Ricci i biografi sono
concordi: la sua fu una vita vissuta “alla grande”. Artista instancabile, acuto
e frenetico, Ricci era pittore, disegnatore, caricaturista, mercante di opere
darte e restauratore; uomo del suo tempo, un personaggio contraddittorio – al
servizio di chiese e confraternite e al contempo inguaribile seduttore e “maneggione”
– ma in ogni caso convinto e responsabile delle proprie ambizioni professionali.
Appassionato di teatro musicale, musicista anchegli, scenografo in almeno due
occasioni, Ricci fu, finalement,
impresario dopera ed è a questultima veste che Gianluca Stefani dedica il suo lavoro Sebastiano Ricci impresario dopera a Venezia nel primo Settecento.
Uno studio, quello di Stefani,
che presenta il frutto di lunghe e accurate ricerche archivistiche e
bibliografiche. Non solo lautore ripercorre e in parte riscrive la carriera di
Ricci, dando la giusta considerazione allimpegno come impresario – sinora
considerato alla stregua di uno sfizio, la passione per la musica di chi fu e
restò innanzi tutto pittore – ma getta una nuova luce sulla società veneziana,
sulle sue stagioni operistiche e sulla gestione delle sale teatrali nei primi
trentanni del secolo.
Nel capitolo iniziale Stefani
tira le fila delle indagini condotte dalla critica riccesca,
ricostruendo soprattutto la sua attività di pittore, beneficiante di
committenze autorevoli che gli fruttarono incarichi prestigiosi e remunerativi sia
in Italia che allestero. Un paragrafo assai divertente è riservato agli
episodi che lo videro protagonista di avventure amorose in cui egli sembra
sempre gettarsi a capo fitto rischiando persino, in unoccasione, di vedersela
tagliare quella testa, a seguito di una condanna alla decapitazione (p. 23).
Il secondo capitolo spiega il suo
avvicinamento al teatro e alla scenografia, debitore principalmente della
protezione farnese e di una fitta rete di conoscenze aperta su Roma. Una volta
inserito nellentourage del duca di
Parma, assimilato linsegnamento del maestro Ferdinando Bibiena, Ricci si calò appunto nella cerchia romana dove
imparò ben altra lezione dallamico Giuseppe
Calvi, professione impresario, il
quale secondo gli indizi raccolti da Stefani, gli affidò nel 1694 lallestimento
del Roderico di Francesco Gasparini e dellOrfeo di Aureli e Sabadini. Tra
Venezia e Firenze, titolo del terzo capitolo, Ricci consolidò la sua carriera
di pittore, rafforzò laffetto riservato al nipote prediletto, Marco Ricci, e si ritrovò dedicatario di
una satira musicale di Osvaldo Funese.
Senza dubbio però è col quarto
capitolo che lo studio di Stefani entra nel vivo, affrontando la stagione
veneziana 1705-1706, la prima che Ricci visse da impresario. Le ricerche
dellautore contribuiscono a ridefinire limmagine del SantAngelo, sfatando i
pregiudizi che si sono accumulati su di esso, idee che lo vorrebbero teatro
“secondario”, affidato alla gestione di impresari “stagionali” sulle cui decisioni
i “compatroni” (i tanti proprietari della sala) non intervennero. La
documentazione raccolta da Stefani, in gran parte inedita, dimostra invece come
il teatro, estremamente competitivo grazie ad una proposta musicale a buon
mercato e pur rischiando di fallire sotto il peso di insuccessi e scandali,
fosse una fucina di sperimentazione, un trampolino di lancio per nuovi cantanti
e un esempio di cooperazione tra proprietari ed impresari i cui interessi
economici coincidevano. Con lo stesso acume critico lo studioso affronta
lanalisi del mestiere di impresario e anche in questo caso lo fa a partire dai
luoghi comuni che lo disegnano come un «povero cristo affogato dai debiti,
vittima del nevrotico ambiente teatrale che si illude di poter gestire» (p. 117),
un po come appare Ricci nella successiva caricatura ad opera di Anton Maria Zanetti che Stefani elegge
a copertina del volume.
Per lautore è comunque chiaro
come il pittore, in quanto tale, sia stato sempre o un sostituto o un
coimpresario. Ricci entrò in gioco o per risollevare stagioni partite male
(come nel caso dello stesso anno comico 1705-1706) o da semplice procuratore finì
per prendere il posto del “titolare”. Accadde così nel 1717-1718, come si legge
nel quinto capitolo, in occasione del suo ritorno al SantAngelo. Stefani
ricava molte delle notizie sulla conduzione dellimpresa da una serie di
documenti inediti riguardanti controversie giudiziarie che vedono Ricci
scontrarsi con laltro impresario, Giovanni
Orsatto e la stessa analisi delle carte
fornisce informazioni, prima sconosciute, relativamente a cast, contratti ed
emolumenti. Anche sui periodi della parabola riccesca che
decide di non trattare, lautore non rinuncia a precisare alcuni aspetti degni
di nota. Si veda laccenno al soggiorno londinese del 1712.
Lultimo capitolo è dedicato al
fallimento dellanno teatrale 1728-1729. Il rischio corso per finanziare la
stagione del San Cassiano fu condiviso da Ricci con la cantante Faustina
Bordoni, ma a nulla servì questa coimpresa, che aveva puntato sulla scrittura
di un agguerrito gruppo di talenti canori, a fronte del successo di Farinelli,
il castrato più celebre allepoca, accolto trionfalmente in città e al San
Giovanni Grisostomo.
Completa il volume la ricca
appendice dei documenti e delle illustrazioni a conferma di un lavoro di prima
mano grazie al quale «lidentikit» del
professionista appare sempre più definito e invita lo studioso a proseguire, in
virtù degli ottimi risultati, la ricerca sul quondam «Bastian Rizzi».
di Caterina Nencetti
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