Leclettismo,
spesso confuso con la superficialità del tuttologo, quando si sposa con una
fervida curiosità e incontra una solida struttura culturale crea profili non
convenzionali intorno ai quali, con naturalezza, prendono a gravitare i
fenomeni. Si tratta di una ricerca reciproca: la curiosità delleclettico lo
spinge verso i fenomeni, le novità, a loro volta sembrano attratte dalla sua
aura.
Il
grande eclettico
è il titolo che Adela Gjata sceglie per questo volume frutto di un lungo
e faticoso lavoro di ricerca e di ricostruzione intorno alla
biografia artistica di Renato Simoni; tratteggiando lindividuo la
studiosa delinea anche uno schizzo del panorama artistico-culturale italiano
tra fine Ottocento e le due guerre mondiali. «Personaggio centrale della cultura italiana
della prima metà del Novecento […], drammaturgo, critico teatrale, regista,
librettista per lopera seria e buffa, sceneggiatore per il cinema,
ritrattista, oratore, autore di riviste di satira politica, balletti,
elzeviri, articoli di costume, epigrammi, anacreontiche e facezie rimate» (p. 9),
questo e altro
ancora fu Simoni. Gjata assolve al compito
di sbattere i tappeti della polverosa dimora dell«uomo più grande di tutti nel
Teatro»
(p. 9) (così
Ridenti in un articolo commemorativo) e facendo entrare
aria buona dona ad ogni soprammobile la giusta collocazione.
Lautrice
struttura il suo studio in sei capitoli che definiscono la parabola artistica
del critico veronese,
gestendo la cronologia con sapiente flessibilità. Renato Simoni nasce nel 1875
e muore nel 1952. Seguire il suo percorso biografico vuol dire ripercorrere
la storia dItalia, scontrarsi con eventi epocali e
cambiamenti politico-sociali e culturali – tra i quali lavvento del cinema – particolarmente
significativi. Da qui la traiettoria cronologica tracciata nel primo
capitolo (pp. 9-50) dedicato agli esordi del giovane Simoni. Si parla poi del
suo precoce approccio alla scrittura drammaturgica (argomento centrale del
secondo capitolo, pp. 51-89) e delle interferenze liriche. Si pensi alla
collaborazione per il libretto della Turandot di Puccini (1921). Non secondario, poi, lamore,
da veronese insediatosi a Milano, per il proprio dialetto e per la tradizione
letteraria ad esso legata: da Goldoni a Gallina, agli attori
veneti con i quali si troverà a collaborare.
Il
terzo capitolo (pp. 91-125) è dedicato alla critica. «Simoni era già nel 1903
lautorevole critico teatrale del “Corriere della Sera”» (p. 91). Il suo
profilo si staglia, contraddittorio, nel panorama dei palcoscenici ufficiali,
indagati con un atteggiamento borderline. Il punto di vista, infatti, è
quello delluomo di scena, del drammaturgo, delladdetto ai lavori “pericolosamente”
vicino
alle sperimentazioni dei meccanismi registici. Tale sguardo gli permette di
cogliere e precorrere le ventate di novità e i percorsi di cambiamento che
serpeggiano in quel mondo teatrale del primo Novecento che avrebbe traghettato
lera del “Grande Attore” verso il “Teatro del Regista”. Linnovazione
di questo uomo di scena fu di tipo particolare, non dirompente, ma afferente,
come suggerisce lautrice, al «principio damichiano» (una lunga
amicizia legò Simoni e Silvio DAmico)
«dell“innovare conservando”» (p. 196). Il nostro «critico “buono”» (p. 102) cominciò ad applicare
uno sguardo diverso al fatto teatrale, più organico, più attento agli elementi
costitutivi dello spettacolo: nel suo caso un teatro di parola, un teatro dattore.
Sono riflessioni, queste, che fanno luce sullidea di teatro di
Simoni (capitolo quarto, pp.
127-168) e sulla sua attività
registica, preponderante in età matura (capitoli cinque e sei, pp. 169-284).
Attraverso analisi e ricostruzioni degli spettacoli, dalla Biennale di Venezia
al Maggio Fiorentino, le regie del critico verificano e spiegano il côté teorico da cui si generano.
“Regia critica” la definisce Meldolesi
nei suoi Fondamenti (p. 128), che tuttavia non
registra
leclettico veronese nella rosa dei “registi critici”. Nonostante ciò
è indubbio che latteggiamento di questo operatore culturale abbia avuto un
profilo moderno, non di rottura, ma prolifero e a tratti “sfuggente”; Strehler lo definì «maestro di qualcosa
che a molti sfuggiva» (p. 131). Eppure su di lui la storiografia novecentesca non è
stata priva
di pregiudizi. Non bisogna perdere di vista il contesto storico: le regie
mature di Simoni coincisero con il pieno imporsi dellegemonia fascista
(1936-1942). Il regime apprezzò lattività del critico del «Corriere», il quale
aderì alle più importanti iniziative culturali del periodo: dalle Biennali ai
Maggi, passando per le monumentali rappresentazioni allaperto care alla mission propagandistica
del fascismo.
Simoni spiccò decisamente in queste imprese, eppure non ci fu, nel suo caso e
nel suo teatro, una predominante visione socio-politica; la sua era piuttosto
una riflessione interna allarte stessa (cfr. p. 168). Nel secondo dopoguerra il «critico “buono”» pagherà a caro
prezzo il costo della connivenza con il regime, una tacita
accettazione analoga
a quella di molti altri colleghi che avevano continuato ad operare nella
“serie
A” dello spettacolo o nei GUF studenteschi. Basti ricordare il cast della
sua prima regia goldoniana per comprendere la portata e la centralità
di quegli allestimenti: Il ventaglio debuttò nel 1936; tra gli attori
troviamo Benassi, Adani, Pagnani, Ricci, Zacconi. Il meglio della scena ufficiale
italiana.
Lo studio di Adela Gjata
– arricchito da una vasta sezione di apparati di cui fanno parte raccolte
di lettere, di documenti e immagini di scena ed una corposa bibliografia – rappresenta, con la
giusta distanza prospettica, un momento di riflessione necessario a restituire
il profilo di un uomo pratico, inserito nel suo contesto storico ma non da esso
travolto – «un
anello di congiunzione fra le interpretazioni mattatoriali e la stagione della
regia critica del secondo Novecento» (p. 174) – e, non da ultimo, di un curioso
studioso: il Museo teatrale alla Scala di Milano
conserva oggi la Biblioteca Livia Simoni, un fondo inventariato di trentasettemila
volumi che il critico ha accuratamente formato nel corso della sua lunga vita
nel teatro.
di Chiara Schepis
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